LA NINNA NANNA DEL 1880 presentata dal gruppo di Ciro Ferrigno. video e foto foto video

Domenica 20 dicembre 2020, Presso la chiesa di San Liborio,Il Gruppo Culturale di Ciro Ferrigno presenta:
LA NINNA NANNA DEL 1880
Recital natalizio modulato su un racconto di Ciro Ferrigno
Con la partecipazione di Alfonso M. delli Franci (chitarra) e Annabella Severi (voce)
I posti disponibili sono solo 20 ed è obbligatorio indossare la mascherina e mantenere il distanziamento interpersonale. Per partecipare è indispensabile prenotarsi
Il Recital sarà trasmesso in diretta sul Canale di Positano News
Generico dicembre 2020

LA NINNA NANNA DEL 1880
Il detto popolare “Natale con i tuoi”, mai come quest’anno è pura verità e necessità, perché la pandemia ci costringe a rimanere tutti a casa. Se il trasferimento nello spazio non è possibile, nessuno può impedirmi di spostarmi nel tempo, fare un salto nel passato per vedere come Carotto viveva la Vigilia di Natale nel lontano 1880. Basta fissare intensamente una vecchia fotografia, una cartolina d’epoca, meditare, pensare, immaginare, fino a finirci dentro.
Mio Dio, com’è tutto diverso! L’unico angolo che è rimasto uguale al passato è il Palazzo Maresca, quello con le grandi arcate, a Piazza Cota, per il resto sono quasi tutte case senza intonaco, coi mattoni di tufo a vista. Neanche una macchina, dico una sola, ma tante carrette, da quelle piccole alle grandi dove vendono di tutto. Manca la frutta, è vero, perché a quattro passi da qui c’è il mercato del Vallazzano, in Piazza Mercato, poi chiamata Cota, dove trovi tutta la frutta e la verdura che desideri. Ci sono i lampioni a petrolio per la pubblica illuminazione e tante “puteche” con i portoni dai battenti color verde bottiglia e grandi teloni bianchi parasole. Sono caffetterie, coloniali, rivendite di vino ed olio, negozi di tessuti ed abbigliamento, barbieri, arrotini e ciabattini, il bancolotto e principalmente salumerie. La gente veste in maniera dimessa ma dignitosa, le donne hanno gonne lunghe e camicette coi volant sotto pesanti mantelle e cappelli di varia foggia, mentre le contadine coprono il capo con i “maccaturi” ed hanno scialli di lana sulle spalle.
Ecco la musica che mi aspettavo! Sono gli zampognari: salgono da San Michele. Un’altra coppia suona in piazza, altri li sento che sono nella parte bassa del Corso, che chiamano Via Provinciale. Parecchie botteghe hanno messo all’ingresso “la frasca”, un arco di rami fronzuti, di quercia e di lauro, con nastri colorati. Una figura antica si avvicina, è una ragazza con una cesta, dice di venire dalla montagna, da Arola, chiede un’offerta e porge rametti di pungitopo, agrifoglio e ginepro legati con nastrini. Un altro signore, bardato con un vestito che sembra uscito da un antico dipinto, vende i pastorelli di creta di San Gregorio Armeno. Man mano che il tempo passa, più la strada si anima, mi verrebbe di pensare all’assembramento, ma per fortuna ora non ci sono problemi. Le pescherie traboccano di pesci d’ogni specie, messi in mostra in grandi contenitori azzurri, alcuni colmi d’acqua marina, i capitoni sono ancora vivi e c’è tanta abbondanza di frutti di mare; pure le chiassose pescivendole mostrano le “spaselle” piene di ben di Dio. Le persone discutono, gridano, si abbracciano per lo scambio degli auguri, acquistano, vendono, litigano e fanno pace, mentre tocco con mano l’eterna anima mercantile di Carotto.
Appena arrivo in Piazza subito noto il Gran Caffè Marianiello, una bottega come le altre, ma quanta gente entra ed esce, è un’emozione vedere l’unico nome destinato a durare nel tempo! La Piazza è la stessa o forse non ha nulla del mio tempo, in un mondo dove tutto muta e tutto resta uguale. Che meraviglia! Il baraccone, i traini, la folla, il fumo di castagne abbrustolite che riempie l’aria con quello delle pigne sul fuoco. Vedo melograni, uva, noci e nocciole, “chioppe”, “pesulilli” di pomodorini dei Colli e meloni appesi con l’imbragatura di cordicelle di paglia. Una popolana con la tammorra canta e chiede ‘a ‘nferta, passa il Sindaco Domenico Cota ed ossequia un gruppetto di preti che sopraggiunge, quante ceste piene di mandarini! L’ovaiola, un fuoco è acceso dove alcuni si stanno scaldando, gli zampognari, ceste coi broccoli di Natale, cani randagi, galline in libertà, sento le voci dei venditori, un mendicante che canta “Quanno Nascette Ninno”, mucche, pecorelle e caprette, asinelli, un uomo trasporta un presepe tenendolo in equilibrio sul capo e poi improvvise, trasognate, eteree, le campane di mezzogiorno, in tanti fanno il segno della croce. San Michele, Mortora, la Madonna del Lauro, Santa Teresa, Trinità, tutte suonate a mano! Quanto mi piacerebbe sentirle stanotte, quando “abbìano” a Gloria!
Ad un certo punto, mi colpisce la fisionomia di un signore distinto. Chi è? Ha un viso noto. Posso mai conoscere qualcuno che vive la vigilia di Natale del 1880? Ma certo, è Gaetano Amalfi! L’ho riconosciuto per una vecchia fotografia che ho a casa! È in giro perché raccoglie con pazienza i Canti del Popolo di Piano di Sorrento, un libro che sarà pubblicato nell’83. Mi accosto, voglio ascoltare. La vecchietta, seduta su una sedia di paglia fuori la bottega del “cravunaro”, coi piedi poggiati sul bordo del braciere, canta una Ninna Nanna che Egli trascrive su un taccuino.
Dolce melodia d’una voce antica, come la sua maternità che non ha mai ceduto un palmo di terra al tempo che passa, integra nella sua freschezza, giovane per sempre. Dolce come il Natale, come la festa del miele, come la vergine Madre che ora dorme nella cappellina di Cassano, aspettando che venga luglio per salire in paese col piccolo tra le braccia. Canta ed è come ascoltare un coro angelico, o forse la voce di tutte le mamme della nostra terra, del mondo intero: “Nonna nonna nonna nunnarella… chi coglie sciure e chi ruselle belle… Ruselle belle i’ ne vurria ‘na fronna. Quanto la ronca a chesta capa jonna… Capa jonna e capa spettinata… Ogni capillo va ciento rucate”… Canto mille volte sacro perché, quando nasce un bambino, quale dono di Dio, torna Natale, torna il Bambino Gesù.
Ecco, si è fatto tardi, devo tornare al più presto nel mio tempo e la strada è lunga! Nella corsa, per la fretta maledetta perdo il mazzetto di pungitopi e agrifogli della ragazza di Arola, perdo il suono delle zampogne, delle antiche campane, il canto della Ninna Nanna e la serenità del buon tempo antico, le antiche botteghe ed il basolato della strada, il baraccone e la sua allegria, perdo tutto quel bene, ricchezza dei nostri giardini e del nostro mare e pure il profumo delle castagne e delle pigne sul fuoco, i carri, gli asinelli, i muli e i cavalli, l’acquaiolo ed il venditore di pastori, perdo persino gli abbracci ed i baci degli auguri di Natale, perdo tutto, poco alla volta, perdo tutto.
Il racconto del lunedì di Ciro Ferrigno
Angela Aprea, Maria Pepe and 125 others
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