Caccia sull’Isola d’Ischia: Il paradosso delle zone SIC

Si tratta proprio di un vero paradosso: i cacciatori ischitani invocano l’annullamento dei limiti delle attività venatorie attuali, previsti nelle aree SIC, in quanto a loro parere si  verifica una concentrazione di cacciatori nelle restanti zone franche, quindi una pressione venatoria che in aree limitate come quelle isolane, mette a serio rischio l’incolumità dei cacciatori stessi, oltre a quella degli altri avventori del bosco.

La notizia che giunge dall’isola è quella di una nota fatta al Ministero dell’Ambiente, Regione Campania, Ente Parco Campi Flegrei ed ISPRA, con la quale i comuni dell’isola, guidati dal presidente del consiglio comunale di Forio Giovanni Mattera, propongono l’aggiornamento e la riperimetrazione delle zone SIC, per una deroga del divieto di caccia ad ottobre, novembre e dicembre, od in alternativa, la cancellazione vera e propria del divieto.

Le zone SIC sono individuate dalla Direttiva n.92/43/EE, in una rete ecologica europea di Siti, comprendenti tutte le Zone Speciali di Conservazione e di Protezione speciale, e rispondono al “Regolamento Direttiva CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche”.

Il club ACCEL di Ischia, rappresentativo della categoria dei cacciatori, con relazione tecnico-fotografica, ha trasmesso il 23 settembre scorso alla Regione Campania, la richiesta di attività di monitoraggio e/o modifica delle zone SIC dell’isola (Corpo centrale dell’isola, Pinete, Rupi Costiere, Stazione di Cyperius Polystachyus).

In sostanza si rileva che alla luce delle condizioni di salvaguardia e tutela delle specie, la limitazione dell’attività venatoria prevista nelle aree SIC, provoca una concentrazione della caccia nelle restanti aree, creando di fatto un pericolo.

Secondo i cacciatori tale limitazione inficerebbe la finalità perseguita, cioè quella di evitare forti concentrazioni verso la fauna selvatica migratoria.

Il territorio dell’Isola d’Ischia, seppur intensamente antropomorfizzato, nonostante le innumerevoli ferite dovute alla speculazione edilizia ed al deterioramento delle aree boschive ed agricole, possiede ancora dei microambienti naturali di flora e di fauna, che rappresentano delle vere e proprie risorse economiche, turisticamente attrattive per molti viaggiatori.

La caccia ogni anno, nonostante l’apporto di cospicui incassi di tasse allo stato da parte dei cacciatori, comporta la decimazione di milioni di piccoli animali, ed anche di alcune decine di vittime umane, tra morti e feriti per incidenti, nonché lo sperpero di milioni di euro pubblici, per il ripopolamento degli animali selvatici, il perpetuarsi di interessi economici legati all’industria delle armi, nonché incalcolabili danni ambientali alla biodiversità.

La fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale, dalla Legge n.157/1992 e successive modifiche, e l’esercizio dell’attività venatoria viene consentito purché non contrasti con l’esigenza di conservazione della fauna selvatica e non arrechi danno.

Auspichiamo che la Regione Campania e poi il Ministro dell’Ambiente Gilberto Fratin, colgano l’occasione per estendere finalmente il divieto venatorio, non solo su tutto il territorio isolano, ma in tutti quei territori della nostra regione intensamente abitati ed a vocazione turistica, martoriati da uno sfruttamento indiscriminato da parte dell’uomo, a cui bisogna offrire finalmente una meritata tregua.

Nel 2023 la caccia, se non il qualche caso ed in specifiche parti del territorio nazionale, non è più una necessità ma solo un passatempo crudele: 8milioni di animali uccisi a scopo di intrattenimento e sport, con intere specie messe a rischio tra atroci sofferenze.

Com’è possibile non chiedersi come sia possibile tollerare oltre questa sorta di guerra, che tra l’altro finisce per svolgersi anche su terreni privati di ignari proprietari, spesso anche contrari a questa pratica?

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