L’ex Ministro Beatrice Lorenzin torna a Positano, la tappa in Chiesa dalla Madonna per dimenticare la contestazione no vax

L’ex Ministro Beatrice Lorenzin torna a Positano, la tappa in Chiesa dalla Madonna per dimenticare la contestazione no vax  E’ venuta a cercare un pò di serenità nella perla della Costiera amalfitana a Villa Tre Ville la residenza che è stata di Franco Zeffirelli .  La visita nella Città Verticale è consueta, come pure la tappa dalla Madonna Nera di Positano come di consueto fa dal 2018. L’ex ministro della Salute Beatrice Lorenzin, è stata qualche giorno fa ospite del convegno del Pd in Gran Guardia sul futuro della Marangona, è stata contestata da un gruppetto di attivisti di Verona per Libertà, movimento contrario fra le altre cose all’obbligo vaccinale e convinto che i vaccini contro il covid abbiano aumentato la mortalità. Ricordiamo che na parte degli atti della maxi indagine della Procura di Bergamo sul Covid è stata trasmessa alla Procura di Roma per competenza territoriale. Secondo quanto si apprende, gli atti riguardano il mancato aggiornamento del piano pandemico e vedono indagati a Bergamo gli ex ministri della sanità Roberto Speranza, Beatrice Lorenzin, Giulia Grillo e una serie di tecnici del Ministero. I Pm romani ora vaglieranno le posizioni e decideranno se procedere ad una nuova iscrizione anche a Piazzale Clodio.

La posizione dell’ex ministro Speranza è stata trasmessa al Tribunale dei ministri di Brescia. I tre ex ministri relativamente al mancato aggiornamento del piano pandemico sono indagati a Bergamo per omissione d’atti. Speranza sempre a Bergamo risponde anche della mancata attuazione del piano pandemico e per questo la posizione di Lorenzin e Grillo appare più attenuata.

I 7 funzionari di vertice del ministero della Salute sono indagati per omissione di atti d’ufficio in relazione al mancato aggiornamento piano pandemico. Nel fascicolo viene indicato come responsabile di false comunicazioni all’Oms anche l’ex numero due dell’Organizzazione mondiale della sanità, Ranieri Guerra. Posizione diversa inviata a Roma per il presidente dell’Istituto superiore della sanità, Silvio Brusaferro, indicato come responsabile di truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche.

Per la procura di Bergamo, che ha trasmesso per competenza territoriale, sono ritenuti “responsabili per i dati falsi comunicati a Oms e Commissione europea attraverso appositi questionari”. Gli altri indagati oltre a Guerra sono “direttori generali della Prevenzione del ministero della Salute e direttori dell’ufficio 3, in qualità di focal point di Oms, e dell’ufficio 5”, si tratta di Claudio D’Amario, Francesco Maraglino, Loredana Vellucci e Mauro Dionisio.

Tre i filoni dell’indagine chiusa mercoledì dalla procura di Bergamo: si tratta della mancata zona rossa, il mancato aggiornamento del piano pandemico e l’ospedale di Alzano Lombardo. Per la procura di Bergamo, sulla base della consulenza affidata al microbiologo Andrea Crisanti, la zona rossa a Nembro e Alzano avrebbe potuto risparmiare migliaia di morti.

Non meno centrali gli altri due aspetti dell’indagine durata quasi tre anni: da una parte il mancato aggiornamento e la mancata applicazione del piano pandemico, fermo al 2006, che avrebbe potuto frenare l’avanzata del virus e garantire quei dispositivi – guanti, mascherine e tamponi – introvabili per giorni. Dall’altra parte la vicenda dell’ospedale di Alzano. I dubbi non riguardano tanto la chiusura e la riapertura del Pronto soccorso del 23 febbraio 2020, dopo la scoperta del primo caso, ma l’assenza di interventi nei reparti dove i contagi salivano costantemente.

“Non sono stata informata. Non so nulla, dunque non posso rilasciare dichiarazioni”, il commento all’Adnkronos Salute dell’ex ministra della Salute, Giulia Grillo.

Il piano antipandemico non rinnovato
Già il “15 settembre 2017”, quando ministro della Salute era Beatrice Lorenzin, la Direzione generale prevenzione sanitaria del ministero aveva inviato una “nota” con la quale “si informava il ministro pro tempore della necessità di predisporre un nuovo piano nazionale di preparazione e risposta a una pandemia influenzale”, aggiornando quello datato 2006. Lo si legge in un “appunto”, agli atti dell’inchiesta di Bergamo, della stessa Direzione generale del ministero, firmato da Claudio D’Amario e trasmesso nell’agosto del 2018 al capo di gabinetto del nuovo ministro dell’epoca, Giulia Grillo.

Sia Lorenzin che Grillo, come emerso nei giorni scorsi contestualmente alla chiusura indagini, sono indagate in uno stralcio romano dell’inchiesta avviata da Bergamo e, in particolare, per il capitolo del mancato aggiornamento del piano pandemico, assieme all’ex ministro Speranza, la cui posizione è già al Tribunale dei ministri di Brescia per la mancata attuazione dello stesso piano.

I pm bergamaschi, ascoltando Giulia Grillo nel marzo del 2021 come teste, le hanno chiesto conto proprio di quell’appunto del 2018. “Non ricordo il documento che mi mostrate (…) non ricordo che ci sia stato qualche dirigente che sia venuto fisicamente a rappresentarmi la necessità strategica di aggiornare” il piano pandemico.

Lorenzin, dal canto suo, ha raccontato, ascoltata dai pm nello stesso periodo, che non fu “notiziata”, quando divenne ministro, dagli uffici ministeriali sulla necessità di aggiornare il piano risalente al 2006. Glielo disse Ranieri Guerra, “solo alla fine del 2017”, spiegandole che “stavano procedendo all’aggiornamento del piano”. Quando “è scoppiata la pandemia da Covid-19”, ha aggiunto, “io credevo che già ci fosse il nuovo piano pandemico”.

Denunce dei familiari delle vittime: archiviate le posizioni di Conte, Speranza, Lamorgese
Nel frattempo, il Tribunale dei Ministri di Roma ha archiviato la posizione dell’ex premier Giuseppe Conte e degli ex minsitri Roberto Speranza, Luciana Lamorgese, Lorenzo Guerini, Luigi Di Maio, Roberto Gualtieri e Alfonso Bonafede finiti indagati in seguito alle denunce da parte di associazioni dei familiari delle vittime, di consumatori e di alcuni sindacati relativamente alla gestione della pandemia.

Gli ex rappresentanti dell’esecutivo erano indagati, tra l’altro, per epidemia colposa e omicidio colposo in seguito alle denunce presentate a partire già dal marzo 2020 in cui si ipotizzavano “le inefficienze e i ritardi del governo nell’adozione delle misure organizzative e restrittive necessarie a fronteggiare l’emergenza Covid”.

L’ex Ministro è stata poi intervista dall’Avanti il 24 aprile  sullo stato della Sanità da LIVIO VALVANO
Dall’editoriale della scorsa settimana ho deciso di intraprendere un viaggio nel pianeta sanità per verificarne il suo stato di “salute”, condizione influente sull’esercizio del nostro diritto alla salute.
Durante la drammatica esperienza della pandemia dovuta al covid-19, ci siamo convinti che il sistema sanitario italiano è più fragile di quanto ci si immaginava. Nel dibattito pubblico abbiamo registrato prese di posizione e impegni a tutti i livelli, da parte dell’intero arco costituzionale, tanto da farci sperare in una sorta di “new deal” della sanità italiana post-pandemia.
Con l’avvio della nuova legislatura, l’approvazione del DEF, con cui si programma addirittura la riduzione della spesa in rapporto al PIL a partire dall’anno 2024, insieme agli orientamenti del nuovo governo sulla materia dell’autonomia differenziata, si respira un’aria diversa.
Per capirci qualcosa di più, ho pensato di farvi una sorpresa gradita, coinvolgendo una personalità di spessore che ha piena contezza della materia: Beatrice Lorenzin, Senatrice della Repubblica per il Partito Democratico, ha svolto l’incarico di Ministro della Salute dal 2013 al 2018.
Con Lei ho avuto la possibilità di avere questa piacevole “chiacchierata-intervista”

Senatrice, Lei ha svolto l’incarico di Ministro della Salute nel periodo della spending review e dei rigidi vincoli del Patto di Stabilità, che speravamo alle nostre spalle dopo la pandemia.
Ma dopo il DEF approvato dal Governo qualche giorno fa, secondo Lei in che direzione stiamo andando?

◦ Dico subito che sono sconfortata. Dopo quello che è successo con la pandemia, pensavo ci fosse una consapevolezza piena, di tutte le forze politiche, del rischio di implosione del servizio sanitario nazionale universalistico, nato dalla riforma del 1978. IL DEF, invece, traccia una strada di non ritorno, verso il collasso del sistema, visto che la spesa programmata in rapporto al PIL, dal 6,9% del 2022, scenderà al 6,2% del 2026. Si consideri che per l’OCSE un sistema sanitario è considerato sostenibile se la soglia della spesa pubblica non scende al di sotto del 6,6%. Non siamo scesi sotto questa soglia neanche durante il periodo “horribilis” dei tagli alla spesa pubblica dell’agenda Monti dovuti come tutti sanno a condizioni drammatiche per il bilancio pubblico molto diverse dalla situazione attuale.
E’ evidente che il Def esprime la scelta politica di questo Governo che non persegue il potenziamento della sanità pubblica in coerenza con la crescita del PIL. L’incremento nominale di 4 miliardi previsto per il solo 2023 riuscirà a malapena ad assorbire l’incremento degli aumenti retributivi programmati lo scorso anno e a finanziare, solo in minima parte, l’incremento della spesa dovuta all’impennata dell’inflazione.
◦ Una manovra del tutto insufficiente per affrontare le note criticità del sistema sanitario italiano che rischia di condannare le regioni ad una nuova stagione di commissariamenti e piani di rientro, per la sanità del sud poi è un colpo letale.

Ricerca scientifica e nuove tecnologie modificano di continuo i trattamenti sanitari e puntano sulla iper-specializzazione dei professionisti e quindi dei luoghi di cura.
Ha ancora un senso avere 20 sistemi sanitari regionali affidatari dell’onere di garantire uguaglianza e uniformità delle prestazioni?

I limiti del regionalismo sanitario sono emersi in questi anni, innanzitutto per il conflitto permanente tra Stato e Regioni per l’attuazione delle norme decise a livello centrale che troppo spesso sono disattese o realizzate a macchia di leopardo a livello regionale; penso al piano nazionale di prevenzione,al piano nazionale cronicità o ai piani diagnostici terapeutici realizzati in modo parziale o non omogeneo.
L’ultimo, per esempio, è il mancato utilizzo del fondo nazionale per lo smaltimento delle liste di attesa, istituito dal Ministro Speranza, che non è stato utilizzato completamente da alcune regioni.
Anzichè parlare di autonomia differenziata spinta ,come la Calderoli ,che perde di vista la strategia nazionale e le sfide in campo,dovremmo cercare di affrontare i nodi irrisolti del federalismo regionale, tra cui la mancata realizzazione piena dei livelli essenziali di assistenza, così come la riduzione dei SSR a meri centri di costo che costringono le regioni ad esigenze di puro bilancio senza tener conto di una programmazione pluriennale che miria qualità e sostenibilità dei servizi erogati. In soldoni la coperta sempre più stretta e regole immaginate per tagliare la spesa hanno finito per costruire un girone infernale da cui sembra non si possa uscire.
Non credo si possa tornare indietro sul regionalismo, ma si può andare avanti, rafforzando il ruolo centrale del Ministero della Salute, soprattutto in materia di prevenzione e sul controllo delle strutture di erogazione sul territorio, attraverso agenzie sotto il controllo del Ministero per adeguare i modelli di programmazione ed erogazione sul territorio.
Il rafforzamento del Ministero è un tema complesso in grado di incidere sull’intero sistema delle Regioni, che aiuterebbe a superare il “ragionamento a silos”, tra Stato e Regioni. Diversamente, proseguendo con l’attuale divisione delle competenze tra Regioni e Stato, se un Ministro della Salute non è particolarmente forte la politica sanitaria la farà il Ministero dell’Economia e delle Finanze che ha per suo DNA l’obiettivo di ridurre la spesa, non di curare i pazienti.

Durante il suo lungo incarico di Ministro della Salute, ha mai avuto il desiderio di fare a meno del decentramento regionale della gestione dei servizi?
Se si, in quali circostanze particolari?

Ogni volta che nascere in una città invece che in un’altra fa la differenza in termini di assistenza sanitaria!quando ho visto genitori perdere il lavoro per assistere i figli fuori regione.. e la lista è lunga .
Ma ci sono stati molti episodi che denunciano la necessità di rivedere la distribuzione delle responsabilità per evitare che alla fine le disfunzioni ricadano sui cittadini.
Tengo anche a ricordare che da Ministro della Salute, con i Presidenti dell’epoca, riuscimmo a fare un ottimo lavoro per il patto per la salute grazie al quale facemmo politiche importanti e invertimmo per legge la logica perversa dei tagli lineari, consentendo ad esempio che i risparmi restassero nel SSN.
Con la consapevolezza di chi sa che non si può tornare indietro, bisogna rivedere il modello di decentramento delle funzioni, con pragmatismo, senza la benda sugli occhi delle ideologie, in esecuzione dell’art.32 della Costituzione.

L’Italia è un Paese di piccoli Comuni dove aumenta la dispersione demografica, a vantaggio delle grandi città metropolitane.
Sotto la logica della razionalizzazione della spesa, da anni le popolazioni delle aree interne, dopo aver vissuto la chiusura di numerosi piccoli ospedali e punti nascita, si sentono penalizzate in termini di presenza e accessibilità dei servizi.
Cosa bisognerebbe fare, secondo Lei?

Dobbiamo parlarci con onestà: alcuni servizi sanitari possono essere erogati solamente nelle strutture dove si garantiscono determinati numeri, altrimenti quei servizi non sono sicuri. Per esempio se in un punto nascita si fanno 50 parti all’anno l’epidemiologia ci dimostra che in quel punto nascita il rischio di un incidente fatale è altissimo.
Molti servizi territoriali sono stati abbandonati per “definanziamento”, sotto la scure dei tagli senza sostituirli con altro.Il PNRR ridisegna una diversa sanità territoriale con le “case di comunità e gli ospedali di comunità”, con circa 10 miliardi dedicati dei 20
Nelle case di comunità devono ruotare tutti i servizi per la salute e di assistenza socio-sanitaria, mentre gli ospedali di comunità dovrebbero riattivare alcuni servizi intermedi.
Su questo, però, abbiamo registrato in questi giorni le parole del Ministro Fitto e della maggioranza nella commissione affari sociali che sostengono la volontà di tornare indietro sulle case di comunità.
Dicono di non voler più fare le case di comunità perchè sostengono di non avere il personale da metterci dentro.
La criticità del personale ci sarebbe in ogni caso; o dentro le case di comunità o sul territorio, i professionisti bisogna prenderli comunque per farlo funzionare.
E’ sempre più difficile reclutare nuovo personale (medici, infermieri etc..) per la qualità del lavoro, le retribuzioni. Il nostro sistema sta perdendo attrattività e con il definanziamento del fondo sanitario programmato dal DEF e l’idea di abbandonare la strategia delle Case di Comunità finanziate dal PNRR, andrà peggio.
Bisogna attuare il disegno del PNRR perchè con le case di comunità si realizzano hub attorno al quale far convergere nuove attrezzature, strumenti moderni , l’aiuto dell’intelligenza artificiale e delle nuove tecnologie che se messe in rete innoveranno in modo profondo il modo di fare programmazione e prevenzione sui territori e miglioreranno la qualità del servizio e quindi l’attrattività del lavoro per i professionisti.

Le lunghe liste di attesa nei servizi sanitari pubblici materializzano una barriera sempre più alta per l’accesso alle cure: la disciplina delle prestazioni extra del personale medico delle strutture pubbliche sono una delle cause?

E’ un tema complesso, presente anche nelle altre nazioni e per onestà difficile da scardinare, anche perchè bisogna trovare un punto di equilibrio per non far scappare i professionisti.
C’è anche un evidente problema di capacità delle Regioni di organizzare lo smaltimento delle liste di attesa, come dimostra il mancato utilizzo in questi ultimi due anni di 160 milioni su 500 del fondo per le liste di attesa.
Ci sono azioni sperimentali che possono essere adottate come buone pratiche, come quella dell’Emilia Romagna. Quel modello prevede che il medico può accedere all’intramoenia (a pagamento per il cittadino-utente), solo quando è stata smaltita la lista di attesa, nel senso che il tempo di attesa rientra entro tempi fisiologici.

Destra e sinistra: secondo lei ci sono differenze nell’attività di governo del sistema sanitario o è il sistema stesso che induce le scelte?

Oggi, come dovrebbe funzionare un servizio sanitario moderno gli addetti ai lavori lo sanno, ma può esserci un diverso approccio su alcune scelte.
La destra sembra spingere verso il privato e la sanità complementare, con il rischio di perdere l’universalismo del nostro servizio sanitario.
Negli ultimi anni abbiamo notato, inoltre, che la destra tende a sposare tesi antiscientifiche, rendendosi responsabile di una cultura che non si basa sulle evidenze scientifiche (da stamina ai vaccini).
E poi è evidente che, a differenza della sinistra, per la destra la sanità non è una priorità.
Lo dimostra la riduzione del finanziamento programmato per i prossimi anni con il DEF approvato dal Governo; spero di essere smentita nei fatti per il bene di tutti.

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