Sorrento . D’Onofrio “Accuse infondate” . Interrogatorio confrontato con quello di Di Leva, Lauro e D’Aniello

Sorrento . D’Onofrio “Accuse infondate” . Interrogatorio confrontato con quello di Di Leva, Lauro e D’Aniello . L’inchiesta partita da Castellammare di Stabia ( Napoli ) che coinvolge la Penisola sorrentina per una vicenda legata a presunti favori, si parla di biglietti per la partita, per le tratte per Capri o Ischia, per avere informazioni da processi sta facendo clamore in tutta la Campanina, ne ha parlato Repubblica, Corriere, Il Fatto Quotidiano e il Mattino a firma di Leandro Del Gaudio
«Sono addolorato per il coinvolgimento in questa vicenda che, per quanto mi riguarda, non trova alcun fondamento. Tengo solo a chiarire un concetto: non ho mai speso la mia funzione, nel corso della mia carriera, neppure per le cose ordinarie che riguardano la mia famiglia».
Eccolo Vincenzo D’Onofrio, ex pm anticamorra, attuale numero due della Procura di Avellino, costretto a difendersi nel corso di un’inchiesta nata a Napoli e coltivata a Roma. Indagato per concussione e corruzione, nel corso del fascicolo aperto a carico dell’armatore Salvatore Di Leva, D’Onofrio offre chiarimenti, ricostruisce rapporti, fa riferimento a date e a circostanze legate a rapporti di amicizia, a frequentazioni e a passioni sportive.
Ma andiamo con ordine, partire dall’accusa di concussione, a proposito delle presunte pressioni per ottenere il rimessaggio di una barca, per altro in possesso di un amico, l’attuale vicesindaco di Piano Pasquale D’Aniello ( estraneo all’inchiesta, coinvolto solo come persona informata dei fatti, che ha confermato che per cortesia e spirito di ospitalità nei confronti di personaggi di rilievo ha sempre mostrato disponibilità, ma non è mai andato oltre la possibilità di concedere un giro con la barca, ndr ) .
IL RIMESSAGGIO
Non ha mai fatto leva sul proprio ruolo di magistrato sotto scorta. Non ha imposto una manutenzione gratuita della barca di un amico all’imprenditore Salvatore Di Leva, né ha mai provato a condizionare le sue scelte manageriali, magari ricordandogli la sua funzione di ex pm anticamorra e di attuale procuratore aggiunto di Avellino. Quattro ore e mezza, è il suo giorno. Difeso dal penalista Mario Terracciano, parla al cospetto di tre pm del pool mani pulite della Capitale (gli inquirenti Affinito, Marone e Tucci), si ritrova al cospetto delle dichiarazioni messe nero su bianco dall’imprenditore sorrentino Salvatore Di Leva, che ha raccontato di aver percepito un atteggiamento di pressione da parte di D’Onofrio. C’erano rapporti confidenziali, gioviali – ha spiegato -, ma non ho mai preteso alcuna manutenzione. Poi è entrato nel merito dell’uso di un gommone, prelevato dal cantiere Di Leva: sarebbe stato usato due o tre volte al massimo – ha spiegato – nel 2017 e avrebbe sempre riempito di tasca sua il serbatoio di benzina. In un secondo momento – ha chiarito D’Onofrio – avrebbe sempre provato a sdebitarsi in un rapporto di cordialità e di amicizia».
Ma non è l’unico punto su cui D’Onofrio ha risposto alle domande dei pm. Agli atti, anche un’accusa che nasce da alcune intercettazioni telefoniche e ambientali a carico di soggetti che hanno intrattenuto rapporti di frequentazione con l’ex pm anticamorra. È il capitolo Juventus-Napoli. In sintesi, D’Onofrio è accusato di corruzione per aver accettato il biglietto della partita del Napoli, nella trasferta a Torino contro la Juventus, del settembre del 2018. Secondo l’accusa avrebbe accettato un omaggio dall’imprenditore Luigi Scavone, ex patron di Alma, a sua volta finito al centro di indagini per frode fiscale (in un’altra vicenda giudiziaria, coordinata dal procuratore aggiunto Vincenzo Piscitelli). Stando alle accuse, si tratta di una corruzione nell’esercizio della sua funzione, rispetto alla quale il procuratore aggiunto irpino offre la sua ricostruzione dei fatti: «Quel biglietto mi venne regalato da un amico (probabilmente si tratta di un finanziere, ma non risponde al nome di Gabriele Cesarano, indagato in questa vicenda, ndr), non ho mai avuto rapporti diretti con Scavone, che non conosco». E la notte in albergo a Torino? Stando alla ricostruzione difensiva, si sarebbe trattato di un omaggio non richiesto: «Andai a pagare, ma mi accorsi che la notte era stata saldata. Si trattava di un conto di poche decine di euro, trattandosi di un albergo non di lusso, ho anche insistito più di una volta e comunque, quando sono tornato a Napoli, ho fatto un dono compensativo per chi mi aveva omaggiato della stanza d’albergo».
Ma quello che ha investito D’Onofrio è solo uno dei filoni di un’inchiesta più ampia, saldamente radicata a Napoli. Indagine condotta dai pm Giuseppe Cimmarotta e Henry John Woodcock, che puntano a verificare la condotta del maggiore della Guardia di Finanza Gabriele Cesarano, a sua volta nominato capocentro Aisi a Salerno e in Basilicata. Difeso dalla penalista Ilaria Criscuolo, Cesarano viene indicato come un soggetto potenzialmente in grado di fornire informazioni riservate nel corso di un processo a carico dell’armatore Salvatore Lauro, socio e amico dell’imprenditore sorrentino Salvatore Di Leva. Un filone investigativo che scava nei rapporti di conoscenza tra imprenditori ed esponenti delle istituzioni, di affari e interessi su cui ora sono in corso verifiche da parte degli inquirenti.
Indagini che ruotano attorno al materiale di informazioni ricavato dalle conversazioni captate tramite un trojan, un virus spia inoculato sul cellulare dello stesso Di Leva. È da qui che prende corpo uno scenario investigativo che da Marina di Stabia tocca soggetti legati all’Aisi e i loro contatti sul territorio.

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