Justin Bieber dai vandalismi alla conversione

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     «A qualcuno nella vita bisogna pure ispirarsi» diceva Woody Allen in «Manhattan» a chi l’accusava di credersi Dio. Justin Bieber fa più o meno lo stesso, ispirandosi nientemeno che a Cristo. Ma ha la bontà di specificare che non si sente come lui. «Gesù aiutava la gente e la amava, io vorrei fare altrettanto. Vorrei diventare un esempio». Le madri tremano. Con il curriculum di risse, festini, minacce, vandalismi che la ventunenne popstar canadese si ritrova, ci sarebbe di che preoccuparsi. Eppure ad incontrarlo negli studi di «X Factor» subito dopo la registrazione di «What do you mean», il brano con cui interverrà alla puntata di domani sera, i modi, gli sguardi e gli argomenti usati sembrano raccontare un’altra storia rispetto a quella borderline data in pasto ai media in questi anni da scaramucce, festini e giorni in pretura. La stessa impresa che si propone il nuovo album «Purpose», sul mercato dal 13 novembre, con la complicità di Skrillex, Ed Sheeran, Ariana Grande e Diplo. Il nuovo singolo «Sorry», realizzato in collaborazione con lo stesso Skrillex, segue la pubblicazione «What do you mean» e un duetto con l’ex fidanzata Selena Gomez poi rimasto fuori dal progetto. Intanto Justin è già ripartito sul suo jet privato alla volta del Canada con la valigia appesantita dai cinque Mtv European Music Awards alzati al cielo domenica scorsa al Forum di Assago, festeggiati fino alle prime luci dell’alba in un crocevia della movida milanese come il Byblos e l’Old Fashion in compagnia dell’ex modella Cara Delevigne. Justin, dopo tre anni di lontananza dal mercato, nell’incidere «Purpose» ha patito un po’ di ansia da prestazione? «No, lo studio è il mio posto sicuro e lì non mi sento mai sotto pressione». Ma qual è realmente il suo obiettivo? «Trovare il mio scopo di vita, il mio progetto. L’avevo perso un po’ e l’ho ritrovato. Il mio ultimo album è stato ”Believe”, credere, e quindi i due titoli si danno un po’ la mano». Si è saputo che la copertina dell’album, con una foto a mani giunte e la croce tatuata sul petto, le ha dato qualche grattacapo. «Effettivamente in alcuni Paesi musulmani uscirà con un’altra immagine. La croce è quella su cui è morto Cristo, penso infatti che esista un altro mondo oltre la vita. Ora sto facendo questo viaggio ma mi concentro anche sul dopo». Oggi lei ha un potere enorme su quei ragazzi che l’hanno resa ricco e famoso. Ma il tempo passa per tutti. «Michael Jackson piaceva a tutte le età e pure io non vorrei avere il bollino di scadenza». Fatica molto a proteggersi dal meccanismo dello star system che le gira attorno? «Prima ero una marionetta nelle mani dell’industria, non avevo il controllo sulle cose come ora. Molti altri vivono situazioni analoghe e ci rimarranno finché non troveranno la forza di dire basta». Si mai chiesto: perché io? «Me lo chiedo ogni giorno. È stato Dio a volerlo». Rimpianti? «Non ho fatto cose di cui avere rimpianti veri. Non mi sono sposato, non ho fatto figli». Con gli One Direction continuate a pungervi? «Dobbiamo tutti ringraziare di fare questo mestiere. E molti ragazzi amano sia me che loro. Non ho fatto altro che scherzare su una rivalità che in realtà non è stata creata da noi». Come si vede fra vent’anni? «Vorrei fare questo mestiere fino a 35 anni e poi starmene dietro le quinte facendo l’autore e il produttore». E il cinema? «Mi piace e ci sono proposte, vedremo». Sembra che si liberi il ruolo di James Bond… «Chiamatemi, sono qui!»Andrea Spinelli, Il Mattino

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