Terremoto in Nepal. Quattro gli italiani morti ma altri quaranta sono irreperibili. Allarme della Farnesina

Più informazioni su

    L'inesorabile contabilità dei morti nel terremoto del Nepal non si ferma ancora. Il primo bollettino del 25 aprile, quando in Italia erano le nove del mattino, registrava solo tanti gravi danni a monumenti e infrastrutture, molti feriti e «almeno un morto». Ieri il ministero dell'Interno da Katmandu ha comunicato che i morti accertati sono 4.138. Ma già la Caritas stima in seimila le vittime. E anche questo numero terribile si teme che sia prudente. Non si sa quanti alpinisti siano stati inghiottiti dai dirupi tra i ghiacciai dell'Everest. Non si è fermato lo sciame sismico, quasi cinquanta sono state le scosse in tre giorni. Ieri la più forte, di magnitudo 5,1, ha colpito la stessa area devastata sabato scorso. E gli esperti avvertono che potrebbero esserci ancora scosse. Spiegando che la faglia in movimento è lunga 150 chilometri ed è proprio accanto a quella che provocò il terremoto del 1934. Ma non è questo a spaventare. Non ci sono nuovi crolli di palazzi abitati: due terzi delle case di molti villaggi sono state già rase al suolo sabato. E la gente che ha la casa ancora in piedi preferisce dormire in strada. A spaventare è l'emergenza sanitaria, il rischio molto probabile di epidemie: sono esplose le fogne della capitale Katmandu e questo ha quasi certamente contaminato l'acqua potabile. Fuori dagli obitori della capitale ci sono corpi in attesa di essere sepolti o cremati. Negli ospedali non c'è abbastanza gasolio, manca l'energia elettrica perfino per illuminare le sale operatorie. Molti feriti sono curati all'aperto perché non ci sono posti letto. Da uno a due milioni sono i bambini in strada, martoriati dalla pioggia battente. C'è emergenza di acqua, elettricità, cibo. I feriti, secondo il ministero dell'Interno di Katmandu, sono oltre settemila. Tra le migliaia di vittime è stata anche accertata la morte di quattro italiani, ma almeno 40 sono attualmente irreperibili. Due facevano parte del gruppo di quattro speleologi di cui si erano perse le tracce e dei quali fino a domenica non si sapeva nulla. I loro nomi sono Gigliola Mancinelli e Oskar Piazza, si trovavano in un villaggio quasi completamente distrutto, Langtang. Sono stati travolti da una valanga di neve, ghiaccio e sassi che si è staccata dall'Everest a causa del sisma. I loro compagni di viaggio sono riusciti a salvarsi. Poco distante sono morti Renzo Benedetto e Marco Pojer, due escursionisti che facevano parte di un altro gruppo, e sono stati sorpresi da una slavina a 3.500 metri di quota, nella Rolwaling Valley. Benedetto e Pojer avevano lasciato i loro amici, che si sono salvati, per portare dei medicinali a un'anziana malata. Nel tratto di strada che li portava a casa dell'anziana li ha sorpresi la slavina. Uccidendoli. Non si hanno notizie, tra gli altri, di due trentini di Arco che hanno raggiunto il Nepal per fare escursioni e che al momento del sisma erano nella zona colpita. Non si conoscono i loro nomi, ma solo la loro giovane età. Sono due dei trecentomila turisti che in questo momento dell'anno raggiungono il Nepal per sfidare l'Everest o per fare trekking. Non stanno meglio gli altri Paesi, costretti ad aspettare qualche notizia. È il caso della Francia, alla quale mancano all'appello 676 concittadini. Mentre la Farnesina ha stilato un elenco di italiani «irreperibili», che arriva a circa quaranta nomi. «Le segnalazioni pervenute alla Sala Operativa dell'Unità di Crisi nel corso delle ore successive di sabato hanno consentito di rintracciare sinora più di 300 connazionali non registrati» avverte il nostro ministero degli Esteri. L'Italia ha stanziato circa un milione di euro e ha mandato un team dell'Unità di crisi. La Cina, che come l'India ha avuto vittime del sisma anche all'interno dei suoi confini (rispettivamente 42 e 66) ha inviato 58 medici. (Fabio Morabito – Il Mattino) 

    Più informazioni su

      Commenti

      Translate »