Martedì in Albis: la tradizione che non scompare a Santa Maria del Castello di Vico Equense si perde nella notte dei secoli

Articolo aggiornato dagli inviati di Positanonews con diretta video da Santa Maria del Castello, martedi in Albis 2021.

Antologia di brani di letteratura dedicata a Santa Maria del Castello

Santa Maria del Castello – La prima notizia controllabile sull’esistenza

di questa cappella, posta, sui monti di Positano, all’estremo

limite meridionale dell’ex diocesi equense, è del 1484: ci è fornita da

un istr. del notaio R. Palescandolo, stipulato il 2 aprile di detto anno

per sancire un accordo tra le autorità municipali di Vico e quelle di

Agerola per l’accomodo e la manutenzione della strada, che per la parte bassa della Conocchia e per i Campi Reali univa i due comuni.

Che questa cappella alla data indicata esisteva da secoli, è cosa certa,

sebbene per mancanza di documenti non è possibile determinare quando precisamente sorse. Una tradizione popolare, ricordata in un pubblico parlamento tenuto 1’8 maggio 1774 (378), riteneva che questa cappella era stata fondata dagli abitanti del comune di Vico dopo il ritrovamento della statua della Madonna. Questa tradizione, però, non precisava nè il tempo di questo rinvenimento, nè quello della erezione della cappella. A nostro avviso, la fondazione di questa cappella va posta verso il secolo IX, allorchè nel luogo dove si trova, divenuto confine di Stati – per l’occupazione da parte dei Longobardi di Salerno del ducato di Amalfi che comprendeva anche Positano – fu

eretto un posto fortificato, un castello – donde il nome dato alla

cappella di « s. Maria del Castello » – per controllare le due strade

che portavano, l’una per la parte bassa della Conocchia e l’altra per la

Veterina, nel territorio che poi sarà il comune di Vico, allora territorio

appartenente a Sorrento. E’ questa, lo ripetiamo, una nostra opinione,

che però non ci sembra destituita di un probabile fondamento. Ad ogni modo la vera storia di Santa Maria del Castello comincia nel secolo XV, da quando cioè abbiamo le prime notizie su qusta cappella. Alla metà circa del secolo seguente era in cattive condizioni (379), ed alla fine, addirittura, diroccata: « invenimus eam – diceva il visitatore

vescovile del 1601 (380), – dirutam radicitus et indiget maxima reparatione ». Ma quando queste radicali riparazioni furono fatte, non siamo in grado di dirlo con precisione. Se il sequestro delle rendite

della cappella, ordinato a questo scopo dal visitatore vescovile nel 1601, ebbe effetto positivo, certamente non trascorsero molti anni. Considerando però quello che scriveva mons. Repucci nel 1660 (381), siamo piuttosto propensi a ritenere che passò circa un sessantennio primache queste riparazioni fossero eseguite. Infatti il detto prelato, a

proposito di questa cappella diceva che in occasione della peste –

evidentemente, sebbene le sue parole non lo dicano, alludeva alla

peste che afflisse tra il 1656-58 la regione napoletana – c’era stato

uno straordinario afflusso di gente su Santa Maria del Castello per

chiedere protezione ed aiuto alla santa Vergine, ed in quella circostanza erano state raccolte moltissime offerte, con le quali la cappella era stata « refecta ed raedificata ».

Dopo di allora si attese con maggiore cura alla conservazione di

questo tempietto: sappiamo infatti che nel ‘700 vi erano dei custodi stabili, che erano degli eremiti – di qualcuno di essi conosciamo

anche il nome (382) – i quali abitavano in alcune stanzette annesse

alla cappella, con l’obbligo di custodirla e di provvedere il necessario

per il culto (383). Da quell’epoca – non sappiamo nulla per il tempo

precedente – questa cappella ebbe tre altari: due laterali, dedicati

rispettivamente a s. Giuseppe e a s. Anna, ed il maggiore che aveva

come titolare la Beata Vergine (384 ). Dietro di questo, in alto, in una

nicchia c’era, e c’è tuttora, una statua di marmo – raffigurante la

  1. Vergine in piedi con sul braccio sinistro il Bambino Gesù –

poggiata su di un piedistallo, anch’esso di marmo, sulla cui fronte anteriore è scolpito uno scudo araldico di forma rotonda, diviso in due

campi da una fascia trasversale. In ciascuno di essi vi è scolpita,

senza molta arte, una stella a sei punte ed un giglio. Sempre sulla

faccia anteriore del detto piedistallo, parte a destra e parte a sinistra

dello scudo, vi sono incise in carattere maiuscolo le lettere G.D.P.,

che sono comunemente interpretate « Gratia Dei Piena», ma crediamo

a torto: pensiamo invece che si tratti delle iniziali di un motto

araldico a noi sconosciuto. Circa l’età di questa statua la tradizione

non ci dice nulla; ancor meno ci fanno sapere i pochi documenti che

la ricordano, risalenti solo alla metà circa del ‘600 (385). Perciò da

essi non si ricava nulla che ci aiuti a stabilire il tempo in cui essa vi

fu posta. Qualche cosa di più concludente si riesce a stabilire considerandone lo stile. E poichè questa statua rivela una fattura rinascimentale – barocco, riteniamo che essa fu scolpita tra la fine del ‘500 e i primi decenni del ‘600: più indietro, pensiamo, non si può andare.

Anche lo stemma inciso sul piedistallo ha la sua importanza per la

storia: ricorda cioè, poichè è uno scudo gentilizio, un donatore blasonato,

rimasto purtroppo ignoto, il quale, forse, per qualche grazia

ricevuta dalla Madonna del Castello, volle ringraziarla con questa

statua che ricordasse nei secoli la Sua benevolenza di Madre.

Nel ‘700 questa cappella aveva un beneficio di libera collazione (386).

Contro questa libera disposizione dell’autorità ecclesiastica nel 1774

insorse l’amministrazione comunale di Vico, asserendo che non si

poteva disporre di esso senza il suo beneplacito, perchè ne aveva per

diritto di fondazione il patronato (387). La lite, che ne seguì, si do dovette concludere in favore dell’autorità ecclesiastica, perchè due anni dopo il beneficio di s. Maria del Castello fu, insieme ad altri, unito da mons. Pace al capitolo cattedrale di Vico (388). Ma questa unione non fu durevole, perchè qualche anno più tardi il governo di Napoli, dichiarando cappellanie regie tutte quelle istituzioni di culto, di cui

non si aveva l’atto di fondazione e di erezione in titulum (389), venne

a togliere efficacia al decreto vescovile. Così santa Maria del Castello

divenne di regio patronato, e con tale qualifica è ricordata in una

pubblicazione del governo napoletano del 1800 (390). In questa condizione

rimase fino all’incameramento dei beni ecclesiastici fatto dallo

Stato italiano nel 1866. D’allora la cappella di Santa Maria del Castello,

spogliata del suo beneficio, che rendeva circa 50 ducati l’anno,

è stata mantenuta con le offerte dei fedeli del luogo. Buono è lo

stato attuale di conservazione: gli ultimi restauri di rilievo furono

fatti negli anni 1922-23, i quali portarono, tra l’altro, alla distruzione

dei due altari laterali.

 

A Vico Equense, ridente cittadina fa111osa per

la pizza a metro e per la laboriosità dei suoi abitanti,

nella piccola chiesa di Santa Maria del Castello,

sono conservate alcune tele di recente restaurate,

tra le quali notevole un San Francesco

i111neditazione anilnato da un n1utevo]e gioco di

chiari e scuri e con il volto del santo reso alla

pari di un ritratto con ricercata

introspezione psicologica.

Classificato dalla soprintendenza

corne ignoto

caravaggesco, a nostro parere,

il quadro va considerato

più propriamente in orbita

stanzionesca, tra Onofrio

Palu1nbo, rievocato

dalla dolcezza paffuta degli

angioletti in alto e Giuseppe

Marullo, per la severa figura

del santo, ispida e legnosa;

un utile esercizio cotnparativo

per giovani studiosi

che vogliano atiinare le

proprie capacità attributive

o un 1no1ncnto di riflessione

per fedeli genuini che,

raggiunta la sagrestia della

piccola chiesetta abbarbicata

sul 1nonte, ritengano d’intrattenere un colloquio

spirituale con la sacra iln1nagine, abbandonandosi

alla preghiera cd al raccoglin1ento.

 

/ Camaldolesi di Montecorona

Tra le altre case religiose sorte nel territorio di Vico, a

questo punto ricordiamo, perché contemporanea alla precedente,

quella dei Camaldolesi di Montecorona, che fu fondata

nel casale di Arola agl’inizi del ‘600 (44). Anche di questa,

come della precedente, la prima iniziativa la si deve all’allora

feudatario del nostro comune, Matteo di Capua, che

a questo scopo nei primissimi anni di quel secolo propose ai

superiori di quella Congregazione monastica un terreno nell’ambito

del suo feudo, e s’impegnò pure a concorrere all’acquisto

del suolo su cui elevarla con la donazione da parte

sua di 1000 ducati, aumentati poi a 1500. La sua proposta,

tuttavia, incontrò subito serie difficoltà, che fecero temere per

la realizzazione dell’opera, e di queste la prima riguardò il

terreno stesso da lui messo a loro disposizione, che era situato

nella parte alta del casale di Moiano, e precisamente su

Santa Maria del Castello: zona, questa, molto aperta e povera

di boschi, ed in più allora attraversata da due strade

pubbliche molto frequentate, delle quali l’una era quella che

da Castellammare per la Sperlonga portava a Positano ed

agli altri centri della costa amalfitana, e l’altra quella, che

partendo da Sorrento e passando per il suo Piano, per Arola,

per Preazzano e per Ticciano, andava a congiungersi con la

prima proprio in quella zona: circostanze, queste, che, secondo

le costituzioni di quegli eremiti, escludevano del tutto

l’erezione in quel luogo di un loro eremo, come appunto annunziarono

i loro inviati appena che lo ebbero visto. Ed allora

quel principe, per non vedere rifiutata la sua offerta, ne do-

 

SANTA MARIA del Castello

Con i l titolo di Santa Maria, fin dai primi tempi della cristianità, furono intitolate chiese e località per le quali si sono poi resi necessari ulteriori predicati per meglio precisarne la localizzazione. E’ questo i l caso della chiesetta di Santa Ma1ia del Castello che, pur nelle pertinenze del comune di Vico Equense, si trova ai confini di quello cli Positano fra la Conocchia e monte Comune nelle giogaie dei monti Lattati. Questa località per secoli ha rivestito il ruolo di valico e confine fra il ducato cli Sorrento e quello cli Amalfi e pertanto vi fu costruito un castello che, pur nelle sue ridotte proporzioni, vi esercitava la funzione di presidio doganale di confine.

Venuta meno la necessità di presidiare quel passo, il piccolo castello andò i n rovina e v i rimase solo l a chiesetta che conserva ancora nel nome i l ricordo della piccola fortificazione di cui era parte.

Martedì in Albis: la tradizione che non scompare a Santa Maria del Castello di Vico Equense si perde nella notte dei secoli. La tradizionale passeggiata a Santa Maria del Castello di Vico Equense, in Penisola Sorrentina, dalla duplice valenza di omaggio a quella Madonna e di scampagnata, sembrerebbe avere origini antichissime.

Di seguito, un passo di alcuni documenti che la fanno risalire, addirittura, al 1600, ricercati e tradotti da don Pasquale Vanacore:

Su di un altopiano esiste una chiesa denominata Santa Maria del Castello da tempo antico con grandissima ed ossequiosa devozione onorata, dove, al tempo del contagio, confluivano da ogni parte ammalati imploranti e sofferenti ed infiacchiti per il pestifero morbo che, avanzando verso l’immagine marmorea della Santissima Vergine, che si trova nella medesima chiesa, se ne tornavano esultanti, liveri e sani proclamando l’aiuto della Vergine. Dopo aver invocato il nome di Lei, la peste, quasi atterrita, fuggiva. In virtù di questo miracolo, per le grazie ricevute, è divenuta grandissima nella venerazione presso di loro. Dalle elemosine raccolte dai fedeli fu restaurata e trasformata in una grande chiesa in memoria di un così grande beneficio: e ancor oggi prospera per il frequente accorrere da tutte le località confinanti. Quelli che si rifugiano sotto la protezione della medesima Vergine sperano e confidano che per il futuro saranno liberati da ogni male.

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