Piano di Sorrento, il racconto del lunedì del Prof. Ciro Ferrigno: “Dieci lire di ghiaccio”

Piano di Sorrento. Riportiamo l’odierno racconto del lunedì del Prof. Ciro Ferrigno che, con la sua bravura e maestria, ci conduce per mano alla scoperta di antiche tradizioni legate al nostro territorio: «Il caldo e le temperature africane di questa estate del ventidue, passeranno alla storia, forse come ulteriori e drammatici segnali di un mondo in sofferenza, malato grave, sull’orlo del precipizio. Pure in passato avevamo dei lunghi periodi di forte caldo, ma caratterizzavano principalmente il cuore dell’estate ed in particolare il periodo del solleone, a cavallo tra la seconda metà di luglio e la prima di agosto. La controra era il momento più difficile, quando il mondo era fermo in attesa di un alito di vento che facesse muovere le tende del balcone, per svelare un po’ di corrente d’aria. Non c’era altro segno di vita intorno, se non il canto delle cicale, sempre uguale, sempre la stessa nota, sottofondo musicale delle ore di luce, al quale subentrava, a notte fonda, il cri cri dei grilli e tutto intorno giravano le smorte fiammelle delle lucciole.
In quelle ore di forzato riposo, quando ognuno si metteva in salvo come poteva, chi sulla sdraio, chi disteso su una stuoia sul pavimento, chi a sventagliarsi e bere in continuazione, spesso mia madre mi chiamava perché collaborassi a realizzare un atteso ed infallibile rimedio. Aveva deciso di preparare il sorbetto al limone! Io dovevo solo recarmi di fronte, da Anna la verduraia, per acquistare dieci lire di ghiaccio! Nelle case non c’erano ancora i frigoriferi, ma il ghiaccio, ottenuto a Faito con la neve invernale, era in vendita in diversi negozi. La verduraia conservava le bacchette di ghiaccio in un vecchio lavatoio, al buio, ben coperto e usava un grosso martello per staccarne dei pezzi. Dieci lire di ghiaccio bastavano per fare il sorbetto per tutta la famiglia!
Tornavo a casa frettolosamente col prezioso elemento, in velocità salivo le scale, ben sapendo che pochi minuti in più e si sarebbe liquefatto! Mia madre con altrettanta velocità lo poneva dentro un panno bianco fresco di bucato e, dopo averlo avvolto e chiuso perfettamente, cominciava a martellarlo, per ridurlo in pezzetti piccolissimi. Poi versava tutto in una zuppiera, ci metteva lo zucchero e vi spremeva alcuni limoni, il cui profumo già ci dissetava. Era un sorbetto delizioso, un balsamo per il corpo e per lo spirito! Certe volte al posto del limone usava lo sciroppo di amarena, comunque squisito, ma meno dissetante, perché dolce. Anche il latte di mandorla ben si adattava al sorbetto, come la menta, ma il re dei re era il limone e in quegli anni Cinquanta e Sessanta quanti ancora ne partivano dalla nostra terra, verso i porti di mezzo mondo!
Un limone tagliato al centro restituisce l’immagine stessa del sole alto nel cielo, in quei giorni di insopportabile calura. A Napoli i sorbetti avevano i loro banchi per le strade, spesso gestiti dagli acquaioli, da noi si vendevano in occasione delle feste di paese in piena estate, progenitori dei gelati, erano delizie per un popolo creativo e capace di non farsi mancare niente e tutto con poche lire! Oggi tanti bar offrono sorbetti, chiamati più semplicemente granite, ma quelli fatti dalle mani delle nostre mamme avevano il sapore e la genuinità delle cose semplici, quando la casa era anche un bar e poi, un pezzetto di quella candida neve, conservata con cura per attraversare intatta le stagioni, costava solo dieci lire!».

 

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