Riconquistare il sorriso della terra: le arti in difesa della bellezza

Il teatro Verdi guarda all’opera contemporanea ospitando una particolare rilettura della Dante-Symphonie di Liszt. Vincente l’interpretazione dell’opera multimediale da parte dell’ensemble strumentale e vocale, che ha firmato insieme al regista Antonio D’Addio, la prima assoluta de’ Le cantiche di Gaia

Di Olga Chieffi

Come il vento sul mare – ora lieve e impetuoso, acquietato – il mutare dell’espressione musicale occorre nel tempo attraverso un susseguirsi incessante di crisi, ripudi, violazioni e rinunzie. Quanti usi giudicati, per così dire canonici, formule, tradizioni, sacramentari, tenuti come avvenuti, mai esistiti e negati all’improvviso ghirlande spazzate via, “specchi in frantumi”, pur di seguitare a irrompere nella vita e in essa nuovamente esordire. E’ il caso di questa speciale rilettura e trascrizione della Dante-Symphonie di Franz Liszt, in cui il pensiero espresso dal genio ungherese sul concetto di sinestesia e corrispondenza tra le arti, ovvero l’ osmosi tra i diversi linguaggi artistici è stato ne’ “Le cantiche di Gaia”, poema sinfonico multimediale, per la regia e la direzione creativa di Antonio D’Addio, una co-produzione Giorgia Vaj, Ways S.p.A. andata in scena in prima assoluta al teatro Verdi di Salerno, è stato omaggiato e ampliato. La Dante-Symphonie, ultimata nel 1856, nell’arrangiamento per due pianoforti, ensemble vocale e percussioni di Johann Von Vègh, è stata rivisitata da Nicola H. Samale e affidata al pianoforte ensemble, composto da Imma Battista, Tiziana Silvestri, Massimo Trotta e Rosalba Vestini al quale si sono aggiunte le percussioni di Gerardo Zitarosa e ad otto voci femminili dirette da Marilù De Santo, supportata da un progetto visivo strutturato in capitoli che hanno rispettato la composizione dei movimenti dell’opera lisztiana, sottolineati dalla fotografia di Marina Marchesi, con protagonista il performer Rocco Serio, e i movimenti di scena creati da Massimo Vinti, e lo Styling e Set Design di Alexa Chirila. Il viaggio multimediale non ha tradito affatto la musica: l’ Inferno, che ben rappresenta lo scontro dialettico presente nella poesia dantesca tra dannazione e pietà, tra condanna e commozione, è risultato ampio, articolato, caratterizzato da quei due gruppi tematici che lasciano pensare ad una micro sinfonia, il motto ripetuto tre volte, il tutto giocato tra i due pianoforti, l’Allegro frenetico della prima parte, il tempo lento, il secondo tema, ispirato all’episodio di Francesca da Rimini, il movimento di Scherzo che Liszt annota “come un’empia risata di derisione”. Nel “Purgatorio” si è colta la profonda interiorità dell’attesa, sospesa nell’eternità, della gioia futura, il movimento si è “snodato” lentamente, quasi senza tempo, verso il Paradiso, di cui il Magnificat ci ha prefigurato un assaggio di estatica contemplazione. Le immagini erano proiettate su di un cilindro che avvolgeva l’ensemble, con l’effetto che simboli e personaggi sembrassero uscire dalla coda dei due pianoforti. E’ questa un’opera, un modo di lettura, sia del testo dantesco che della musica, che ci lascia al contatto immediato, con la visione di creatore e interpreti, in veste di testimoni del nostro tempo. E basta un punto comune al testo e alla partitura per avere una specie di fonte solare d’illuminazione toccante un’intera catena cosmica di rispondenze velate, che parte dai guasti provocati da noi stessi a Gaia, per trasformarsi nel finale in bianca fune per cercare di avvicinare il divino e riconquistare il sorriso. Quella fune è fatta di un segno iridescente, che apre al dialogo e alla parità, il più democratico, che è alla base di un linguaggio a momenti indecidibile, a volte perentorio, per cui non vi è veramente nulla da contrapporgli, in altri modi disperato o umile o glorioso, universale e sognante, che è quello della musica. “Tra sensazioni contraddittorie, la musica non è tenuta ad optare” scrive Jankelevitch in “La musique et l’ineffable” e il suo simbolo che per natura genera e reca significati molteplici e nuove figure, che da un verso è qualcosa di dato all’uomo e dall’altro è qualcosa che l’uomo si foggia, inscenando magari un rito. Col più forte simbolo di pace, quello della musica e dell’arte tutta, noi dovremo restituire il sorriso di Gaia, trasformando questo tramonto umano che stiamo vivendo, in una nuova alba, ponendoci a difesa della Bellezza.

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