Un busto a Castel Capuano per Giuseppe Abbamonte, quel caffè a casa sua e il fascino delle lezioni di diritto amministrativo

La notizia della giusta e doverosa inaugurazione di un busto per il professor Giuseppe Abbamonte a Castel Capuano a Napoli, tempio del diritto della Campania e del Sud Italia, ci ha fatto pensare ai nostri ricordi dell’epoca dell’Università , quando ho frequentato la Federico II per laurearmi in Giurisprudenza e intraprendere il lavoro di avvocato, dopo la pratica con l’avvocato sempre di Napoli , Claudio Cretella, per poi concentrarmi sul lavoro giornalistico con Positanonews, diventato troppo assorbente per fare entrambe le cose, come insegnava anche lo stesso Abbamonte.

I ricordi con il professor Abbamonte sono fra i ricordi più belli della mia vita, invitò un gruppo di studenti, fra cui io, a casa sua, per far lezioni davanti a un caffè ( obbligatoriamente con la curcuma) ,  ci mostrava tomi e tomi di libro di diritto amministrativo per poi dirci che bisognava capire i meccanismi del diritto amministrativo non conoscere tutte le leggi “Ogni giorno imparo qualcosa di nuovo, non si può sapere tutto…” e continuava a dirlo alla sua veneranda età . Classe 1923, è morto sulla soglia dei 94 anni e continuava a lavorare, a insegnare, e a imparare.

Di pochi professori universitari ho un ricordo così bello, parlava di concetti “Il diritto amministrativo è come una piramide, fatto di vari livelli, ma alla base di tutto c’è la Costituzione, se questa non viene rispettata crolla tutto..!”, ovviamente i miei ricordi sono molto vaghi, ma nello specifico , per quanto riguarda la Costiera amalfitana e Penisola Sorrentina, fu in grado di far abrogare un articolo del PUT dove bloccava qualsiasi intervento su case realizzate prima degli anni Sessanta ( vado a memoria ) per un fabbricato di Massa Lubrense, un vincolo troppo rigido in effetti la legge, la 35/87, è ancora vigente , su basi cartografiche di un ventennio prima, i principi sono validi , ma il resto no.

Giurista di rilievo nazionale tra i più apprezzati in ambito accademico e istituzionale, De Luca ne ha fatto un elogio particolare , non a caso, fu salvato dalle incompatibilità proprio da Abbamonte, e chi altri sennò? el 2015 è stato consegnato alla Presidenza del Consiglio, al Ministero dell’Interno ed al Ministero per gli affari regionali un suo parere legale a firma congiunta con l’avvocato Pietro Rescigno secondo cui la legge Severino non era applicabile al governatore della Campania Vincenzo De Luca. Avvocato cassazionista e professore ordinario di Diritto amministrativo e costituzionale all’Università degli Studi di Napoli Federico II, Giuseppe Abbamonte ha partecipato a molti processi nei settori di competenza e nel 1987 gli è stato conferito il premio “Aldo Sandulli”, altro padre del Diritto Amministrativo italiano. Era presidente della Società Italiana degli Avvocati amministrativisti e docente all’Accademia Pontaniana.

Ricordo ancora con piaere le sue affascinanti lezioni di diritto amministrativo, come riusciva a farti comprendere con semplicità la complessità di questo settore del diritto e la burocrazia ( il “Moloch” di Hobbes), come ci faceva trasmettere la passione , e il rispetto, per i principi del diritto. Non so cosa avrebbe pensato dell’applicazione delle normative in questo periodo di emergenza con rotture costituzionali sulle libertà personali, giustificate dalla pandemia di Covid prima , e delle rotture per la guerra in Ucraina, che ha fatto prendere altri provvedimenti di Stato d’emergenza, a favore di una guerra che l’ Italia “ripudia”, ci avrebbe fatto piacere sentire la sua voce.

Per comprendere la linearità del suo pensiero riprendiamo da LeItalia.it un suo scritto

GIUSEPPE ABBAMONTE
(Ordinario di diritto amministrativo nell’Università di Napoli –
Presidente della Società Italiana degli Avvocati amministrativisti)

L’ingresso del fatto nel processo amministrativo

(Testo della relazione al Convegno organizzato dalla Società Italiana degli Avvocati amministrativisti – Sezione della Sicilia orientale su “La legge n. 205 del 2000 e l’ingresso del fatto nel processo amministrativo”, Aula congressi del T.A.R. Catania18 maggio 2002)

SOMMARIO: 1.- Il rilievo del fatto ed il riferimento allo spirito della legge consentono di andare oltre il testo dell’atto. 2.- Discrezionalità e mezzi di prova. Il sindacato sulla discrezionalità tecnica reso possibile dal progresso della scienza e dei mezzi di informazione. 3.- La preparazione della causa deve concorrere nella maggior misura possibile ad acquisire i fatti ai processi. La cronologia e la localizzazione dei fatti. Illiceità ed illegittimità concorrono ad evidenziare l’antigiuridicità. 4.-Segue. La partecipazione al procedimento amministrativo e la competenza dei Tar sulla domanda di risarcimento allarga l’area dell’indagine del giudice amministrativo. 5.- Si fa riferimento al dettato degli artt. 1, 2, 7 e 16 della L. 205/2000 sulla estensione dei mezzi di prova nel processo amministrativo. C.T.U. e discrezionalità tecnica. I limiti testuali del rinvio al c.p.c. ed il rilievo dell’azione di risarcimento. 6.- Si contesta la pregiudizialità dell’azione di annullamento rispetto al risarcimento. Vantaggi della connessione delle due azioni. Riforme in corso e necessità di colloquio. 7.- Rinverdire l’eccesso di potere attraverso l’ingresso del fatto. Il principio di proporzionalità ed il rilievo della dimensione degli interessi. 8.- La tripartizione tradizionale dei vizi e le integrazioni possibili. Rilievo dei principi di sussidiarietà, nonché degli ordinamenti sovranazionali e dei vincoli di forma e procedimento. Motivazione e giustificazione. Si ritorna all’ingresso del fatto nel procedimento e nel processo. Incidenza della proporzionalità (pag. 17). 9.- Considerazioni finali.

1.- Il problema dell’ingresso del fatto nel processo amministrativo nasce con l’istituzione stessa della giustizia amministrativa e si presenta per qualsiasi tipo di processo specie da quando al sistema delle prove legali si va sostituendo il principio, salutare, del libero convincimento del giudice.

Per il processo amministrativo le cose si complicano perché si tratta di ricondurre a giustizia l’esercizio del potere che trova, forse, i limiti più significativi nelle realtà di fatto sulle quali opera, dato che come ricordavano Farinaceo, Lenin nonché, recentemente, il Ruoppolo, — persone molto lontane tra loro ma ben vicine nella concezione del valore del fatto — fatti hanno la testa dura.

Ed ai fatti deve anzitutto rivolgere l’attenzione chi intende assumere un qualsiasi tipo di iniziativa giudiziaria perché, specie dai particolari, emergono le indicazioni più valide, in positivo o in negativo.

Sono, infatti, i particolari che spesso risultano decisivi per identificare e qualificare il fatto, in modo da poter ricostruire la disciplina che il sistema appresta per gli interessi configgenti.

Per il processo amministrativo, il fatto assume una rilevanza del tutto particolare, perché è nelle pieghe del fatto che spesso si annidano le deviazioni del potere e/o le malizie del singolo.

Basterà ricordare in proposito che agli albori della giustizia amministrativa si discuteva se si potesse andare oltre i limiti del fatto così come rappresentato dalla pubblica amministrazione e fu lo Spaventa che, con le sue profonde convinzioni ed alte intuizioni, tagliò corto dicendo, fin dall’inizio dell’ultimo decennio dell’ottocento, che spettava al giudice amministrativo accertare se l’amministrazione aveva osservato lo spirito della legge, superando fin dall’allora, almeno per chi aveva occhi ed intelletto, lo schermo che l’atto, così come formalmente redatto, rappresentava per le reali finalità e per l’incidenza della funzione pubblica. Riferimento allo spirito della legge che schiudeva gli orizzonti della giustizia amministrativa all’affinamento delle tecniche interpretative delle leggi e degli atti di amministrazione nonché alle indagini istruttorie che già le prime leggi sulla giustizia amministrativa significativamente ed emblematicamente indicavano come richieste di schiarimenti all’amministrazione! Era sostanzialmente una istanza di verità che sorreggeva l’atteggiamento della giurisprudenza amministrativa che, è inutile negarlo, si è scontrata con le resistenze del Potere, che non sempre sono state superate.

2.- Ovviamente il problema esiste non solo da noi e tuttora si avverte, anche se con formulazioni che via via cambiano, magari dettate dalle circostanze.

In Francia, oltre cinquant’anni addietro, il Lemasurier affermava, e non era solo, che il potere discrezionale non esiste ma è l’insufficienza del regime delle prove nel processo amministrativo che accredita la discrezionalità.

Affermazione evidentemente eccessiva, ma che è indicativa di uno stato d’animo più che di una convinzione, essendo evidente che la discrezionalità è uno dei coefficienti di elasticità del sistema basato sul principio di legalità: sistema che potrebbe infrangersi contro la realtà se non esistesse, in concreto, la possibilità di adattare il diritto al fatto, attraverso l’interpretazione in funzione di applicazione, spettante all’operatore che, secondo più moderne formulazioni, compie opera di implementazione, secondo le chiarificazioni che dal fatto vengono per lo stesso dettato dalla norma, governandone la traduzione in atti idonei a regolare i casi particolari.

Ciò però non significa che ci si possa ridurre all’uso del solo metodo empirico nella quotidiana attività di gestione degli interessi ultraindividuali, sottratti, proprio perché aventi dimensione ultraindividuale, alla negoziazione privata, perché l’esperienza ci mette di fronte ad un continuo progredire di conoscenze, insegnandoci che, via via che i singoli rami della scienza progrediscono, si acquisiscono nuove regole che, in realtà, già governavano le vicende umane prima di essere tradotte in norme di diritto, o comunque recepite come giuridicamente rilevanti: a cominciare dalle ricerche che, ad un certo punto, mettono a disposizione strumenti più idonei ed economici a soddisfare determinati bisogni e/o per accertare situazioni di fatto, limitando corrispondentemente la discrezionalità nella scelta dei mezzi.

E lo stesso dicasi quando si pervenga alla determinazione di regole e mezzi che rendano certi determinati risultati circa lo stato di un organismo vivente o dei sensi di cui si avvale.

Si è così cominciata a delineare in giurisprudenza la sindacabilità della discrezionalità tecnica in quei campi in cui le regole tecniche, con la precisione dei risultati che derivano dalla applicazione di esse, servendosi dei mezzi adatti, limitano la sfera di apprezzamento del Potere (Ad. Plen. n. 16/89, IV, n. 601/99).

Altre indicazioni per indirizzare e controllare la discrezionalità sono fornite dalla sempre crescente disponibilità di dati statistici che limitano l’elasticità di apprezzamento dei fenomeni socio-economici. Più in genere è la diffusione delle informazione e l’affinamento dei mezzi di indagine che limita l’incidenza delle valutazioni politiche o personali dei soggetti investiti di potere ed accrescono l’area della indagine del giudice, sostanzialmente intese a rendere una giustizia che sia il più possibile eguale per tutti.

 3.– Giunti a questo punto, la panoramica deve cedere il posto a più particolari indicazioni, in modo che questo scritto possa tornare utile nella quotidianità del lavoro di coloro che chiedono giustizia e si affaticano alla ricerca di mezzi più idonei per ottenerla in tempi ragionevoli. Ebbene, proprio per l’accento che, fin dal titolo, si è posto sull’importanza decisiva del fatto nella ricostruzione delle forme e dei limiti della tutela che può chiedersi al giudice, ci si deve soffermare sulla preparazione della causa per quanto attiene all’acquisizione dei fatti al processo a cura di chi ricorre e, per quanto possibile, già prima di formulare o depositare il ricorso.

Non si tratta di pervenire a prospettazioni più o meno eleganti ma dell’indispensabile, per quanto possibile, chiarificazione dei fatti attraverso le prove disponibili e quelle che possono essere chieste, in modo da accreditare, su basi aggettive, la domanda di tutela proposta al giudice attraverso una sequenza di atti ragionevolmente acquisibili, in modo da evidenziare specialmente il danno, ora che al sindacato di legittimità si affianca l’azione risarcitoria, sicché illiceità ed illegittimità ben possono concorrere ad evidenziare l’antigiuridicità di atti e comportamenti della P.A. E poiché la funzione pubblica è normalmente procedimentalizzata, non piccolo aiuto verrà, sia agli effetti della chiarificazione dei fatti che della formazione del convincimento del giudice, dall’ordine cronologico dell’esposizione e dalla localizzazione degli eventi perché gli occhi migliori per l’analisi delle vicende umane guardano alla scansione dei tempi ed alla localizzazione dei fatti.

 4.– La recente legge 205/2000, e già la legge 241/90 sul procedimento, hanno sostanzialmente recepito l’esigenza di dare ingresso al fatto nella formazione e nella valutazione dei rapporti tra il cittadino e il Potere. La sintesi di questo atteggiamento è nell’accettazione del principio di trasparenza, tradottosi in non poche disposizioni, a cominciare dalla pubblicità degli atti del procedimento e dall’obbligo di motivazione come elementi caratterizzanti della funzione amministrativa (artt. 1 e 3 L. 241/90); per non dire poi dell’accelerazione dei processi determinati dall’indebito silenzio (art. 2 L. 205/2000): silenzio che rappresenta ancora una forte riserva di potere dei soggetti pubblici. Ora l’ingresso del fatto, fermo quanto finora detto, è ancora più significativamente espresso dall’art. 7 lett. b) n. 1 L. 205/2000 che devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie avente ad oggetto: “gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche …”.

Disposizione che se pur riferita soltanto all’uso del territorio ha in realtà, a ben considerare, una portata ben più generale, nel senso che si è ritenuto di esplicitare il triplice possibile oggetto del processo amministrativo laddove l’esperienza aveva evidenziato deviazioni della funzione pubblica che assumevano forme anche atipiche, nel senso che la decisione dell’organo non veniva esplicitata in provvedimenti ma, spesso, in comportamenti emissivi, mentre, per le altre materie, è sembrato sufficiente delimitare l’oggetto delle controversie, che derivano, anche storicamente, dall’esplicitazione del voluto attraverso provvedimenti formali regolativi di settori economici, traslativi di potestà pubbliche etc.

Del resto, l’aver previsto la competenza del Tar sulle domande di risarcimento anche in forma specifica per l’intera giurisdizione del Tar, significa aver necessariamente esteso l’intera giurisdizione amministrativa alla cognizione di ogni fatto lesivo causalmente collegabile con l’esercizio della funzione pubblica che sia andata contro o oltre le leggi che la governano, in attuazione del principio di legalità, fondamentale caratteristica degli ordinamenti democratici.

Non si può, cioè, a meno di non negare la coerenza logica e sistematica dell’ordinamento processuale amministrativo, affermare il principio di risarcibilità per la lesione di qualsiasi situazione giuridicamente tutelata e negare, nello stesso tempo, che la cognizione del giudice amministrativo sia estesa ai comportamenti, mentre, in realtà, deve escludersi che lo schermo dell’atto possa limitare detta cognizione. Deve, cioè, ammettersi che il fatto è entrato nel processo amministrativo ed è decisivo per l’identificazione delle questioni da prospettare e da risolvere e per la determinazione dei contenuti dei provvedimenti conseguenti.

5.– In un discorso che si riferisce all’ingresso del fatto nel processo amministrativo ci si sarebbe forse aspettati un esordio immediatamente riferito ai mezzi di prova ma in realtà un accenno alla normativa sulla delimitazione dell’oggetto del processo compiuta estendendo la cognizione dall’atto al fatto è la migliore spiegazione dell’ampliamento dei mezzi di prova previsto negli artt. 1 n. 2, 7 lett. e) comma 3 e 16 della L. 205/2000.

A cominciare dalla generalizzazione della consulenza tecnica (art. 1 n. 2 e 16 I. cit.) che va ad arricchire le verifiche, ispezioni richieste di schiarimenti e di documenti già previste dall’art. 44 T.U. 1054/1924: istruttoria velocizzata, estendendo la competenza per disporla, dal collegio al presidente o magistrato da lui delegato.

Ammissione della consulenza tecnica che rappresenta, nella sostanza delle cose, la convalida legislativa dell’estensione del controllo di legittimità alla discrezionalità tecnica; e, cioè, non essendo il giudice in possesso delle cognizioni tecniche molte volte necessaire per decidere questioni tecniche, gli è stata concessa la facoltà di avvalersi dell’ausiliare per eccellenza che è appunto il consulente tecnico.

Particolare attenzione deve, poi, essere rivolta all’ammissione dei mezzi di prova previsti dal c.p.c., secondo le disposizioni dell’art. 7 lett. e) n. 3 L. 205/2000.

Infatti non si tratta di un rinvio al c.p.c. testualmente valido per l’intera giurisdizione del Tar né per tutti i mezzi di prova; ma alcune considerazioni sono opportune. In primo luogo stando al testo dell’art. 7 il rinvio alle prove regolale dal c.p.c. è limitato, nell’art. 7 lett. e) 3° comma, alle controversie di cui al primo comma. questo riguardo c’è da precisare che l’art. 7 è una delle norme meno comprensibili dal punto di vista dei riferimenti in essa espressi perché è diviso in tre parti, indicate con tre lettere minuscole a), b) e e).

Nella lettera a) si dichiara di sostituire l’art. 33 del d.leg. 80/98, nella lett. b) il successivo art. 34 e nella lett. e) il successivo art. 35; all’interno di ciascuna di queste lettere vi sono i commi di ciascuno degli articoli;
commi indicati con numeri progressivi 1, 2 etc. ed
all’interno dei singoli commi vi sono le lettere minuscole
in cui si ripartisce ciascun comma.

quanto è dato di intendere, poiché ciascuno degli articoli riportati all’interno dell’art. 7 è indicato sia con le lettere a), b) e e) ma anche con il numero che aveva all’interno del d.leg. 80/98 e cioè, 33, 34 e 35, ognuno di detti articoli è rimasto nella sua conformazione iniziale; la verità è che, pur parlandosi nell’art. 7 di sostituzione degli originari articoli del d.leg.80 con i testi incorporati nell’art. 7 L 205/2000, il legislatore del 2000 ha risolto il problema dell’illegittimità per eccesso di delega degli articoli contenuti nel decreto legislativo 80/98 perché incidevano nella materia della giustizia amministrativa ed erano stati impugnati innanzi alla Corte Costituzionale assumendosi che la delega in base alla quale era stato adottato il d.leg. 80/98 non consentiva di operare in tale campo (cfr. art. 11 L. 15/3/97 n. 59). Se così stanno le cose, il rinvio alle prove previste dal c.p.c., contenuto nel comma 3 della lett. e) dell’art. 7, che incorpora l’originario art. 35, essendo contenuto nel testo di detto art. 35, riprodotto appunto nell’art. 7 lett. e), non può che riferirsi alle controversie relative al risarcimento del danno previsto dal primo comma dello stesso art. 7 lett. e) già art. 35.

Con la conseguenza che, per le controversie relative alla legittimità degli atti e comportamenti della P.A., l’estensione delle prove dovrebbe riguardare la sola consulenza tecnica.

Se però si considera che, stando alla dizione della legge, esiste almeno connessione tra l’impugnativa per illegittimità ed azione di risarcimento (cfr. art. 7 lett. e) sub art. 35 nn. 1 e 4), la situazione, se ed in quanto vi sarà un reale sviluppo dell’azione al risarcimento, sembra destinata ad evolversi nel senso che non si vede come potranno scindersi, in pratica, gli accertamenti sul danno da quelli dell’illegittimità, a meno di non volere affermare una scissione – non consentita dalla legge e del tutto fuorviante – tra ricorso per illegittimità ed azione di risarcimento, nel senso che il primo debba concludersi vittoriosamente prima di proporre la seconda.

6.- E così parlando delle prove si è accennato al problema posto in giurisprudenza e, per verità, risolto già dalla legge, della pregiudizialità tra annullamento per illegittimità ed azione di risarcimento; pregiudizialità che, però, urta contro il tenore dell’art. 7 lett. e), perché, ad avviso di chi scrive, la pregiudizialità obbligatoria deve essere espressamente sancita e la legge prevede invece, per ben due volte (art. 7 lett. e), 1° e 4° comma) la competenza del Tar a conoscere “anche” delle azioni di risarcimento, sia per la materia di giurisdizione esclusiva che nell’ambito della giurisdizione generale di legittimità. Competenza per connessione ben esercitarle su domande simultaneamente proposte o anche indipendentemente.

Piuttosto c’è da ribadire che, scindendo illegittimità e risarcimento, si frappone un non lieve ostacolo all’ingresso del fatto nel processo ed all’evoluzione in positivo dell’area e della presenza della giurisdizione amministrativa, nonché all’incisività, funzionalità ed articolazione delle pronunce, perché, tra l’altro, il risarcimento, specie se preso in esame contemporaneamente all’impugnazione per illegittimità, potrebbe essere accordata condizionandolo in tutto o in parte alla correzione della illegittimità, migliorando così il prodotto della funzione pubblica e salvaguardandone la finanza; sicché la giurisdizione amministrativa accrescerebbe la propria presenza sia verso l’apparato che verso il cittadino.

E l’adeguata preparazione dei ricorsi per illegittimità e risarcimento potrebbe operare in questa duplice direzione; sicché si deve davvero meditare sull’attuale stato delle cose e sulla funzione che il foro potrebbe svolgere e/o sollecitare e certo, in questa fase, che non è esagerato definire di rifondazione della giustizia amministrativa anche per il susseguirsi dei provvedimenti legislativi fortemente incisivi – è già intervenuto un nuovo disegno di legge per ulteriori riforme – il colloquio dovrebbe essere intensificato in termini di evidenziazione di esigenze e di proposte. Il campo della funzione pubblica è in continua evoluzione e la giustizia amministrativa recepisce continuamente nuove istanze di tutela che l’evoluzione di uomini e cose comporta; il ritorno alla fattualità può essere un metodo che consente, almeno, risposte pertinenti.

7.– E poiché ho parlato di proposte vorrei riproporre un mio antico voto; approfondire l’indagine sull’eccesso di potere ed utilizzare le indicazioni che vengono da altri paesi della comunità sul criterio della proporzionalità, nonché sulle considerazione della dimensione degli interessi.

Sono, sostanzialmente, altrettante strade per agevolare lo svolgimento pratico del tema proposto dell’ingresso del fatto nel processo amministrativo.

A cominciare dall’indagine sull’individuazione dell’ eccesso di potere che, per definizione, supera il testo dell’atto, risalendo ai precedenti, soffermandosi sulle misure adottate dall’amministrazione, sugli effetti prodotti: elementi tutti che vanno accertati attraverso l’approfondimento dei fatti in tutti i particolari possibili, studiando la proporzione dei mezzi rispetto ai fini, attraverso l’uso di cognizioni tecniche che illuminino sulla natura e sulla dimensione degli elementi rilevanti. Sono indagini per le quali la fase della preparazione della causa è molte volte decisiva e lo è certamente per indirizzare le richieste istruttorie. In questa indagine il peso dell’esperienza è ovvio e nella stessa prospettiva si riportano in nota ben 13 fattispecie di eccesso di potere individuate già nel 1909 dal Navarra (1).

Comunque, l’area dell’eccesso di potere è in perenne divenire ed è attraverso l’eccesso di potere che il giudice amministrativo può cogliere e reprimere le nuove forme che, col progredire dei mezzi, delle sensibilità, delle istanze, con il cambiare della politica, possono assumere via via le deviazioni della funzione amministrativa e proprio in questa indagine possono essere utili le forme di deviazione già tipizzate, come altrettanti strumenti per guidare l’indagine sui casi controversi.

8.– In realtà, la delimitazione aggettiva dei vizi denunciabili, anche se rimane, nei suoi elenchi, fedele alla tripartizione tradizionale (incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere), si va allargando per i possibili, ulteriori riferimenti, perché, ad esempio, a proposito dell’incompetenza, bisogna tener conto del principio della sussidiarietà, ormai affermato nella nostra legislazione (vedi L. 59/97 art. 4). Ed in base a questo principio le stesse istituzioni chiedono o favoriscono la collaborazione dei singoli o delle comunità minori per lo svolgimento di compiti che gli apparati non riescono più ad affrontare.

Sono note le vicende del volontariato e l’apertura a forme di organizzazione integrate dagli apporti della base attraverso statuti idonei a recepirli, senza appesantire gli apparati.

Per converso è pur vero che i nuovi indirizzi tardano ad affermarsi perché gli apparati sono restii alla semplificazione e così per esempio mentre l’art. 6 L. 724/94 migliorava la collaborazione tra istituzioni private ed istituzioni pubbliche nel ramo della sanità, l’art. 8 quater L. 265/99 ha fatto marcia indietro rispetto al principio di parità, affermato nell’art. 6 della L. 724/94, tra istituzioni sanitarie e pubbliche quanto all’esecuzione delle prestazioni da parte del servizio sanitario; e ciò nonostante che l’art. 4 L. 59/97 sia stato ritenuto legittimo dalla Corte costituzionale (sentenza 408/98) la quale ha significativamente escluso che da esso derivassero lesioni all’autonomia degli enti locali. Ma non è questo il luogo per affrontare le vicende del metodo dell’accreditamento che poteva concepirsi come un’attuazione del principio della sussidiarietà delle istituzioni private accanto alle competenze pubbliche, bastando rinviare al testo dell’art. 8 quater L. 265/99, anche agli effetti delle interferenze che possono cogliersi sul piano della competenza e tanto per dimostrare come i parametri per delimitare il vizio di competenza si vadano complicando alla stregua dei nuovi principi di organizzazione pubblica.

In realtà, i parametri indicati dal legislatore per individuare i vizi degli atti amministrativi hanno un valore soltanto indicativo ed i riferimenti al sistema devono essere continui per attuare soluzioni coerenti, bastando pensare che lo stesso valore residuale della violazione di legge rispetto all’incompetenza ed all’eccesso di potere, risponde all’esigenza di fornire un’indicazione dei vizi, se non precisa, almeno integrabile secondo il sistema. E se è vero che l’incompetenza ha una sua più precisa delimitazione come violazione dell’ordinamento delle competenze e l’eccesso di potere, seguendo il Benvenuti, può sinteticamente indicarsi come vizio della funzione, la violazione di legge apre sostanzialmente all’allargarsi del sistema ai precetti di altri ordinamenti, specialmente
sovranazionali, per quanto possano costituire parametri
di valutazione.

E’ pur vero però che allorquando si allargano le aree del sindacato di legittimità quali ad esempio l’allargamento alla discrezionalità tecnica, l’eccesso di potere è la figura di maggiore elasticità che consente di recepire i nuovi principi che possono vincolare l’azione amministrativa, ma non sempre la soluzione è agevole. Sono per esempio le circostanze di fatto che ci indicano se la deviazione dalle norme sul procedimento deve configurarsi come eccesso di potere o violazione di legge, perché se una norma di legge sul procedimento non è applicata e la disapplicazione di quella norma evidenzia delle deviazioni in fatto, la norma stessa dovrà funzionare piuttosto come indice della deviazione che non ritenersi direttamente violata: il che può essere rilevante sul terreno delle prove.

Vero è che indagini del genere interessano più il teorico che il pratico, ma sono comunque utili per comprendere come l’evoluzione della legislazione in senso garantistico anche quando non fornisce regole perfettamente aderenti alla fattispecie concreta, può renderla controllabile sotto il profilo della deviazione da quelle regole.

Queste considerazioni possono farsi soprattutto a proposito delle norme che generalizzano l’obbligo della motivazione (art. 3 L. 241/90) che vanno lette in relazione alla funzione garantistica che la motivazione deve svolgere non sino al punto, però, di codificarne i vizi; ed è forse quest’elemento dell’atto che meglio illumina sulla possibile integrazione del sindacato attraverso il duplice riferimento all’eccesso di potere ed alla violazione di legge.

Può anche osservarsi che è stata proprio l’esperienza del sindacato sulla motivazione a costituire la base dell’imposizione dell’obbligo di motivazione che nello scorrere dei tempi si è dimostrato elemento rilevantissimo per individuare illogicità, contraddittorietà, ecc. … E già le decisioni del Consiglio di Stato del 3/11/1906 e del 27/6/1913 in Giurisprudenza Italiana, 1906, III, 69 e 1913, III, 400, avevano individuato il vizio di motivazione non soltanto nel contrasto tra atto e fatto, ma anche in via logica e specialmente avendo riguardo alla contraddittorietà fino al punto che la sentenza del 27/6/1913 considerava la motivazione al centro dei problemi sulla legittimità dell’atto.

Ma ritornando al tema dell’ingresso del fatto nel processo amministrativo, è anche il caso di rinverdire la distinzione che nel 1933 poneva lo Iaccarino nel suo noto studio sulla motivazione, distinguendo tra giustificazione e motivazione, sensibilmente cogliendo la differenza tra la premessa di fatto, che costituiva la giustificazione, ed il ragionamento, che costituiva la vera e propria motivazione.

Riviveva così l’esigenza di una sintetica rappresentazione di fatti, ragionamenti e richiami legislativi per poter conoscere sia i fatti alla base dell’atto, sia la reale funzione svolta dall’atto. Valore centrale della motivazione, riaffermato nell’importante parere dell’Adunanza Generale 17/2/87, recepito dall’art. 3 L. 7/8/90 n. 241.

Inutile dire che la spinta all’ingresso del fatto nel processo amministrativo, se ha ricevuto il suo riconoscimento nelle già citate disposizioni della L. 205/2000, in particolare nell’art. 7, lett. e), specialmente laddove affermano la proponibilità dell’azione di risarcimento del danno innanzi al giudice amministrativo con le prove ammesse nel processo civile, trova le sue basi negli artt. 24, co. I, 103, co. I, e 113 Cost. in relazione all’art. 100 Cost. per i quali, come ho più volte sostenuto, il sindacato giurisdizionale ha compiuto un salto di qualità, oltre che di quantità, nel senso che la Costituzione ha aperto la strada ad una più pertinente verifica da parte del giudice sull’operato dell’amministrazione.

Tutto ciò specialmente considerando che gli articoli sulla tutela giurisdizionale sono compresi nel testo costituzionale che contiene anche l’art. 97, che codifica il vincolo dell’imparzialità e del buon andamento dell’amministrazione. Vincoli dell’imparzialità e buon andamento da coordinare con il principio dell’eguaglianza di fatto che pone molti interrogativi sui limiti tradizionali posti al giudice amministrativo circa il merito dell’azione amministrativa che, ormai, vanno cedendo ai nuovi principi del sindacato sulla discrezionalità tecnica e delle indagini sulla proporzionalità.

Ed è su questo principio della proporzionalità – appartenente all’ordinamento comunitario in cui ormai siamo inseriti – che occorre soffermarsi per un istante se si vuole un produttivo esercizio delle funzioni giustiziali al pari delle altre funzioni pubbliche, considerando che il prodotto della giustizia è accettato dalla generalità per quanto renda operante nella convivenza sociale razionalità di concezioni e funzioni, nonché equilibrio di soluzioni e considerando che la giustizia, per sua natura, esprime al massimo grado l’esigenza di razionalità della funzione pubblica, oppure, almeno, della riconduzione a razionalità delle negoziazioni private e pubbliche.

E si ritorna al fatto perché eguaglianza di fatto, buon andamento ed imparzialità, che sono principi costituzionali dello stato democratico e forniscono i contenuti fondamentali del principio di legalità che lo caratterizza, esigono adeguate indagini di fatto per poterne verificare l’attuazione e sono sempre le verifiche del fatto nei suoi elementi caratterizzanti, che consentono di stabilire se le misure adottate abbiano determinato un sacrificio proporzionato all’interesse pubblico da perseguire, controllando, ad esempio, la dimensione di un’espropriazione rispetto all’intervento da realizzare: sicché proporzionalità, razionalità e giustizia dell’azione amministrativa finiscono, sostanzialmente, col fondersi e ritorna l’esperienza umana e professionale di coloro che operano nell’esercizio della funzione pubblica amministrativa e giudiziale, ove occorra, fino a pervenire alla sintesi che si esprime definitivamente nella soluzione adottata dal giudice.

Ragionevolezza, proporzionalità di mezzi al fine, eguaglianza anche di fatto ben possono riguardarsi come componenti idonei a garantire l’imparzialità ed il buon andamento dell’amministrazione voluto nell’art. 97; ed il sistema di Costituzione lunga si dimostra, così, non un calepino in cui chiunque possa trovare tutto quello di cui ha bisogno, bensì una vitale concatenazione di regole destinate ad inserirsi nel tessuto vivo della comunità che le istituzioni pubbliche hanno il compito di far progredire, secondo la fondamentale affermazione ora espressa per gli enti locali nell’art. 3 del TU 267/00 che affida ai comuni – unici enti rimasti a finalità generali secondo l’ultima riforma costituzionale – il compito di promuovere il progresso ed il benessere delle comunità.

9.– Ora ci si domanda, avviandoci alla conclusione, se secondo il sistema costituzionale e le sue recenti modifiche, nonché secondo la stessa L. 205, possa ancora parlarsi, almeno stando al sistema normativo, di uno sbilanciamento della posizione del cittadino rispetto alla posizione dell’amministrazione.

Intanto, è venuta meno la irresponsabilità dell’amministrazione, essendosi generalizzata la regola della risarcibilità dei danni causati in occasione dell’esercizio della funzione pubblica (SS.UU. 500/99 e art. 7 L. 205/00).

E’ venuta meno la possibilità di negare i documenti poiché l’art. 25 L. 241/90 prevede una procedura sostanzialmente coercitiva di rilascio. Nello stesso senso l’art. 1 della L 205/00.

Inoltre, i mezzi previsti dall’art. 44 TU 1054/1924 sono stati estesi per l’intera giurisdizione amministrativa alla consulenza tecnica e, considerando che la funzione pubblica si svolge soprattutto attraverso documenti, i mezzi previsti, se adeguatamente usati, possono ritenersi, se non esaustivi, almeno idonei ad acquisire, salvo casi particolari, le realtà controverse, fermo restando quanto innanzi osservato circa i miglioramenti che potranno derivare dalla proposizione in unico giudizio delle domande di annullamento e di risarcimento, concorrendo le prove sul danno ad illuminare l’illegittimità dei provvedimenti.

E se tutto questo si vede nell’ambito di un sistema sostanzialmente inquisitorio, potendo il giudice prendere l’iniziativa per l’acquisizione degli elementi che ritiene necessari, il quadro normativo può, in definitiva, non dirsi insoddisfacente, specie se i ricorsi vengono impostati dopo un’attenta istruttoria, predisposta in privato anche con l’ausilio dei procedimenti ex L. 241/90, che non vanno visti solo come strumenti coattivi di acquisizione di documenti, ma come strumenti collaborativi per la partecipazione ai procedimenti che prevedono (artt. 4 e ss. L 241 cit.).

Ma le norme sulla partecipazione e sulle prove vanno guardate anche come regole che consentono di meglio conoscere il modo di operare della funzione di amministrazione attiva e della funzione giustiziale che, in realtà, attraverso gli strumenti partecipativi ed inquisitivi, rappresentano, forse, l’espressione più significativa dei modi in cui il nostro sistema risponde all’istanza costituzionale di giustizia nell’amministrazione.

C’è da domandarsi se, dati gli elementi acquisiti al processo, la giurisdizione non debba svolgersi tanto nel senso dell’annullamento quanto nel senso dell’indirizzo all’amministrazione, considerando così la giurisdizione amministrativa come funzione di alta amministrazione; senza trascurare la possibilità che le domande congiunte di annullamento e di risarcimento consentirebbero l’uso, ad esempio, di una condanna al risarcimento condizionata alla mancata rettifica dell’atto illegittimo, eliminando così preoccupazioni di sbilanci finanziari. Ed ancora una volta ritorna l’antica concezione della giurisdizione amministrativa come continuazione dell’amministrazione che non è affatto un modo di svalutare la giustizia amministrativa, ma, al contrario, di apprezzarla in tutta la sua possibilità produttiva nell’interesse dei cittadini e delle comunità.

Produttività che tanto meglio si evidenzia considerando la funzione, sia degli avvocati che dei giudici, come un’intermediazione che la più recente dottrina (Varrone) arricchisce cogliendo l’esigenza dei limiti alla proprietà ed all’impresa; richiamando, in effetti, una realtà e, cioè, che, a certe dimensioni proprietari ed imprese si presentano come potere economico, sicché una prima mediazione tra le esigenze dei singoli e delle comunità ed i portatori del potere economico viene necessariamente compiuta nell’esercizio della funzione amministrativa; ma la delimitazione definitiva dei contenuti delle soluzioni possibili viene trovata appunto nella sede della giurisdizione amministrativa. Realtà che, a ben considerare, è la vera motivazione dell’estensione dell’area della giurisdizione esclusiva ed anche questa è un’illuminazione che viene dal fatto, nel senso di considerare il diritto di proprietà e di impresa economica per gli effetti che possono produrre sugli interessi della generalità, quando assumono certe dimensioni.

Vorrei continuare ancora, ma vi sono dei limiti per un lavoro come quello che sto concludendo, che è soltanto un’occasione di colloquio sugli aspetti forse più significativi dell’apparato giustiziale amministrativo che i miei studi più recenti mi hanno suggerito.

Accenno soltanto che anche il problema di sempre di ogni tipo di giustizia quello dei tempi, dovrebbe essere avviato a soluzione sia per il passaggio del pubblico impiego al giudice ordinario, sia attraverso l’istituto dei giudici aggregati che pur progettato, sembra si scontri, per la giustizia amministrativa, con problemi finanziari. Ringrazio l’uditorio per la pazienza e mi auguro che quanto esposto fornisca occasione di riflessione in modo che ciascuno possa, per proprio conto, raggiungere le soluzioni possibili e derivarne le applicazioni utili a chi chiede giustizia che, se vi ha diritto, soffre parecchio per le attese e per gli errori.

 

Abstract

II Prof. Giuseppe Abbamonte ha trattato la scottante tematica dell’ingresso del fatto nel processo amministrativo, richiamando la realtà della disinformazione del cittadino e le difficoltà da affrontare prima dell’ottenimento di giustizia. Difficoltà in via di superamento per i recenti orientamenti giurisprudenziali che utilizzano ogni elemento, comprese le regole tecniche, per penetrare la realtà dell’esercizio della funzione pubblica.

Sforzo realistico da sostenere con la collaborazione del ceto forense, specialmente all’atto della preparazione dei ricorsi, svolgendo per quanto possibile un preliminare lavoro di acquisizione di dati, in modo da collaborare con i giudici anche per la puntualizzazione degli elementi da richiedere alle amministrazioni.

La giurisdizione amministrativa si pone come elemento equilibratore tra potere economico, espresso dalla proprietà e soprattutto dall’impresa economica, da un lato, e potere politico-amministrativo; in un ordinamento pluralistico come il nostro la legge deve essere sempre adattata al momento dell’applicazione alla varietà degli interessi ed alla multiforme tipologia dei soggetti che li puntualizzano e li esprimono ai vari livelli.

La razionalità connaturata alla funzione giudiziaria deve impegnarsi per individuare soluzioni plausibili, produttive almeno di equilibri, ma altresì idonee alle esigenze attuali e future.

(1) Atti fondati su apprezzamenti che contengano qualcosa di illogico, irrazionale o contrario allo spirito della legge;

2) quando l’atto si riveli in contraddizione ai criteri di legge determinato da tutt’altro fine che quello di favorire il pubblico interesse;

3) quando l’atto ritiene il fatto in contraddizione con le risultanze degli atti;

4) quando i motivi addotti non rispondano né alla lettera né al voto della legge o l’autorità amministrativa si ispirò a criteri diversi da quelli dalla legge determinati;

5) quando l’atto amministrativo non è giustificato da fatti certi, obbiettivi e legittimamente provati;

6) quando il fatto ritenuto è in aperta contraddizione con le risultanze degli atti ed è indubbiamente contrario alla verità;

7) quando le risultanze degli atti sono state in modo aperto travisate mediante apprezzamenti evidentemente irrazionali ed illogici e traendone conseguenze contrarie allo spirito e alla lettera della legge;

8) quando l’atto amministrativo si trova in contrasto con una evidente ed indiscutibile situazione di fatto;

9) quando siano state omesse circostanze essenziali e decisive a determinare la natura della statuizione amministrativa;

10) quando vi sia mancanza di nesso logico tra le premesse ed il provvedimento (nei contratti qui si pone un problema di interpretazione da risolvere col potius valeat quam pereat)’,

11) quando i provvedimenti oltrepassino ogni ragionevole limite di equità;

12) quando il potere è stato esercitato fuori dai casi e contro i fini per i quali venne conferito;

13) quando l’ingiustizia larvata con aspetto di legalità apparisce dimostrata sino all’evidenza (applicazione ipocrita della legge, secondo la terminologia di Hauriou, n.d.r.).

 

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