Il rito del  Venerdì Santo

Questa sera, alle ore 19, III appuntamento della stagione concertistica “In cordis cordae” promossa dall’Associazione Culturale Emiolia, che proporrà nella chiesa di San Giorgio, lo Stabat Mater di Giovanni Battista Pergolesi e la  Sinfonia in si minore “Al Santo Sepolcro”, RV 169 di Antonio Vivaldi

Di Olga Chieffi

Barocco nel barocco, questa sera, con l’Associazione Culturale Emiolia, presieduta dal controtenore Pasquale Auricchio, con una serata speciale, per il III appuntamento   del cartellone della stagione concertistica 2022 dal titolo “In cordis cordae”, in collaborazione con l’Arcidiocesi salernitana, col patrocinio morale del Comune di Salerno, in sinergia con l’Associazione Gestione Musica, che nella Chiesa di San Giorgio, alle ore 19, saluterà l’esecuzione dello  Stabat Mater di Giovanni Battista Pergolesi e della  Sinfonia in si minore “Al Santo Sepolcro”, RV 169 di Antonio Vivaldi. La celebrazione del Venerdì Santo era detta “delle Tenebre” in ricordo degli antichi riti notturni attraverso i quali si intendeva rievocare l’oscurità che discese sulla terra alla morte di Cristo e l’immagine della Chiesa che brancola nel buio senza il suo Dio. Sul far delle tenebre, si potrà assistere all’esecuzione dello “Stabat Mater” di Giovanni Battista Pergolesi. Quest’opera, per soli e strumenti verrà eseguita dal soprano Teresa Ranieri, dal controtenore Pasquale Auricchio, che si cimenterà nella parte del contralto, con Maddalena Alfano all’organo e l’ Ensemble Lirico Italiano composto da Ilario Ruopolo e Mattia Cuccillato al violino, Paolo Di Lorenzo alla viola, Francesco D’Arcangelo al violoncello e Giuseppe Di Martino al contrabbasso. Lo Stabat Mater viene da sempre considerato, il testamento spirituale di Pergolesi. In questa opera emerge la bellezza pura, malinconica ma non drammatica, che risplende in tutta la sequenza. È una musica non pretenziosa, si direbbe umile, dove sono eliminati ogni sorta di virtuosismo esteriore fine a se stesso ed ogni sorta di artificio. A distanza di ben 286 anni dalla prima esecuzione, le incrostazioni romantiche depositate in strati sempre più spessi nei secoli, verranno azzerate, lasciando, così ritrovare, l’ unitaria compostezzadell’opera. Verrà infatti eseguita l’edizione critica di casa Ricordi, redatta filologicamente sul manoscritto che conta notevoli differenze anche nel testo, con l’edizione comunemente proposta. Pergolesi, da un punto di vista stilistico approda ad una prospettiva più squisitamente sentimentale, la celebrata Teoria degli affetti, incentrata sul pathos del testo sacro e, da un punto di vista tecnico-compositivo, alleggerisce gli austeri toni presenti nella versione scarlattiana. Pergolesi offrì un approccio moderno all’intonazione della sequenza latina, attribuita a Jacopone da Todi: il testo liturgico è trattato come “musica sacra da camera” e il clima espressivo rifugge l’austerità che l’aria da chiesa, aprendo così al nuovo gusto tardosettecentesco, a una sensibilità patetica, comunicativa, “galante”. Le immagini liriche e il significato semantico del testo, trovano una corrispondenza, nella trasposizione sonora, nelle lunghe frasi dei violini, che restano spesso dolorosamente sospese, o nei lunghi pedali, nelle aspre dissonanze, nei passaggi dinamici a contrasto: molti e vari sono gli espedienti musicali accuratamente selezionati per esprimere la sofferenza della Vergine, una sofferenza umana, materna, universale. Oltre alla celebre apertura, particolarmente degni di nota sono i passaggi in forte dissonanza nel duetto O quam tristis et afflicta, l’incedere degli archi nell’aria del soprano Cujus animam gementem, o ancora la placida accettazione che rischiara Quae moerebat et dolebat: la sospensione delle tinte fosche circostanti rende ancora più incisivo lo scenario funereo del seguente Quis est homo, qui non fleret, enfatizzato dalla ben nota linea cromatica discendente del basso, espediente retorico assai comune per simboleggiare la Passione cristiana. Il basso è di nuovo particolarmente in vista nell’irruento duetto Fac, ut ardeat cor meum, in cui partecipa con le due voci ad uno spettacolare fugato; il rigore contrappuntistico torna – dopo il lungo e teatrale Sancta Mater, istud agas – nel duetto finale, Quando corpus morietur: a cercare una simbolica chiusura del cerchio, un’accorata preghiera intreccia vari spunti imitativi, che diventano un’ingegnosa fuga a tre voci sul tradizionale Amen conclusivo. Per quanto essenziale, composta, efficace, la pagina finale dello Stabat Mater non poteva non attrarre la maestria contrappuntistica di Bach, che nella sua parodia estende la fuga al doppio della lunghezza originale. Il concerto sarà sigillato  dall’esecuzione della Sinfonia in si minore RV 169 «Al Santo Sepolcro» di Antonio Vivaldi, datato 1730. La sua struttura, formata da un Adagio e una Fuga, è piuttosto anomala nella produzione vivaldiana, nella quale il contrappunto è sempre un elemento secondario dell’invenzione. Il movimento introduttivo crea un’atmosfera di sospensione, che riesce nello stesso tempo a esprimere raccoglimento religioso e forte attesa per un evento imminente. Da notare  il rifiuto del basso continuo: Vivaldi si premura di precisare “Senza Organi o Cembali”, quasi a voler prendere le distanze da certi effetti di fascino sonoro che potevano generarsi dall’impiego del basso continuo come fattore propulsivo della discorsività musicale. Tutta la tensione sfocia nell’Allegro ma poco, il quale tesse con lenta sofferenza una fuga nella quale convivono due soggetti cromatici di natura opposta: uno ascendente e l’altro discendente. Questa scelta ha certamente qualcosa di icastico, nella sua capacità di incrociare temi che si muovono in direzione opposta, proprio come gli elementi strutturali della Croce, simbolo della Passione di Cristo.

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