I gadget di Natale imposti dai clan da Agerola a Gragnano

I gadget di Natale imposti dai clan da Agerola a Gragnano , la vicenda è riportata sul Mattino di Napoli il principale quotidiano della Campania dall’esperto e precisa collega giornalista Dario Sautto
Il clan Gentile imponeva il pizzo attraverso i gadget pubblicitari: condannati il boss e il tipografo. Si è chiuso con due pesanti condanne il processo di primo grado per le estorsioni ai danni di commercianti ed imprenditori di Agerola. Per il 39enne Vincenzo Gentile è arrivata la condanna a otto anni per due episodi di estorsione aggravata dal metodo mafioso. Per il tipografo di Castellammare Marco Assante la pena inflitta è di sei anni e mezzo per lo stesso reato. La vicenda era emersa nel corso delle indagini condotte dai carabinieri della compagnia stabiese e coordinate dalla Direzione distrettuale Antimafia di Napoli, partite all’indomani dell’omicidio di Filippo Sabatino, l’autista del boss Francesco Di Martino alias Ciccio o pecoraro, ucciso il 3 maggio 2018 a Pimonte. Nel corso delle intercettazioni, è emerso come il clan Gentile di Agerola costola degli Afeltra di Pimonte imponesse l’acquisto di gadget pubblicitari ad una serie di imprenditori e commercianti agerolesi, che erano costretti a rivolgersi alla tipografia stabiese gestita da Assante per le fatture e i pagamenti, obbligati a subire prezzi più alti e quantità superiori alle richieste. Giubbotti, maglie, felpe, penne e calendari con i loghi delle aziende venivano letteralmente imposti nelle consuete date della riscossione del pizzo, a Pasqua e Natale in particolare.
IL METODO
Nel corso delle indagini, un imprenditore convocato in caserma per essere ascoltato disse candidamente ai carabinieri: «Non vi dirò nulla sulle forniture di materiale pubblicitario e negherò tutto. Ad Agerola abbiamo paura e quindi non farò nessuna denuncia». Da quella ammissione a metà da parte di un imprenditore agerolese era arrivata la conferma del modo subdolo utilizzato dal clan Gentile per imporre le estorsioni. Un’azienda aveva pagato mille euro per 30 magliette personalizzate (34 euro l’una). Un’altra era stata costretta ad acquistare 400 tra t-shirt e polo, nonostante ne avesse chieste solo 50. «Facciamo come a Natale» la conferma dell’ordine, con la vittima che chiedeva «almeno stavolta dimmi il prezzo prima». «Di questo rispondeva Assante al cliente-vittima devi parlare con Vincenzo». Poi, però, c’era chi tardava nei pagamenti e quindi Assante chiamava Vincenzo Gentile: «Passaci tu perché questi non vogliono pagare». A capo della gang delle estorsioni che impone il pizzo anche sui carichi di legname ci sarebbe stato proprio Vincenzo che, scarcerato da poco, era stato «spronato» a mettersi in gioco per sopperire all’assenza del fratello Giovanni Gentile, nel frattempo arrestato dopo una breve latitanza nell’ambito dell’inchiesta Olimpo. «Se scendi tu, lo sai, sei il numero uno» gli diceva un amico, nonostante i dubbi dei fratelli. Secondo l’Antimafia, il contatto tra Vincenzo Gentile e Marco Assante avrebbe portato quest’ultimo a raccogliere almeno una ventina di clienti ad Agerola, anche se a processo erano contestati solo due episodi precisi.

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