Amalfi, il giornalista Sigismondo Nastri racconta dell’antica tradizione del fantoccio della Quaresima

Amalfi. Riportiamo l’interessante racconto del giornalista Sigismondo Nastri sull’antica tradizione del fantoccio della Quaresima: «Ricordo bene che, finito il Carnevale, si vedeva – appesa a balconi, finestre o porte – una pupata [cioè una bambola: me n’è rimasta impressa nella mente una, in via Pietro Capuano, ad Amalfi, sul balcone di una signora conosciuta come “Trapenarella”], con le sembianze di una vecchia, pacchianamente vestita di nero [in segno di lutto, evidentemente, per la morte di Carnevale], raffigurazione della Quaresima appena iniziata. Nelle mani stringeva lana e fuso: simbolo dello scorrere della vita fino alla morte. Da sotto l’ampia gonna le fuoriuscivano sette lunghe penne di gallina, conficcate in una patata, fissata tra le gambe. Penne da sfilare una per settimana, fino a Pasqua: l’ultima, il Sabato Santo quando si svolgeva in chiesa il rito della “Gloria” e, sull’altare, veniva scoperta la statua del Cristo trionfante, nascosta da un sipario, e si scioglievano le campane, rimaste mute e legate nei giorni della Passione, facendole suonare a festa. A quel punto si distruggeva anche il fantoccio, con lo scoppio di un piccolo petardo nascosto nell’imbottitura.
Nel Cilento – lo lessi una volta su facebook – toccava [non so dire se è ancora così] al più piccolo della famiglia strappare una di quelle penne, perché “il bambino rappresenta la vita che sboccia ed il suo è un vero e proprio rito propiziatorio: strappando le penne annullava i giorni di penitenza nell’attesa della rigenerazione”.
Ho sempre pensato che l’usanza, ormai perduta, servisse per stabilire il tempo della Quaresima, che dura sette settimane e complessivamente quarantasei giorni, dal Mercoledì delle Ceneri al Sabato Santo [nei quaranta giorni prescritti per il digiuno e l’astinenza non sono comprese le domeniche]. Un modo per sottolineare che il tempo delle gozzoviglie, culminato nella lasagna (e tutto il resto…) del Martedì Grasso, era ormai scaduto.
Oggi queste limitazioni imposte dalla Chiesa (digiuno = un solo pasto al giorno; astinenza = niente consumo di carni) valgono solo per il Mercoledì delle Ceneri e per il Venerdì Santo.
Quanto al fantoccio della Quaresima, in un testo di Gianni Gugliotta, cultore di tradizioni popolari e collaboratore di Roberto De Simone, trovo le seguenti spiegazioni. La patata, alla quale accennavo prima (ma potrebbe essere un limone o un’arancia), “ha un significato magico-sessuale. Che lo si associ spesso al sesso lo conferma il fatto che il primo tentativo di seduzione di cui si ha notizia avvenne per il tramite di una mela; che nel nostro dialetto con alcuni frutti si indicano anche gli organi sessuali femminili e maschili (fico, banana, ecc.); che anticamente in alcune feste si vendevano le limuncelle (grossi limoni) con le quali i ragazzi dichiaravano il loro amore ad una ragazza; che nelle cosiddette voci intonate dai venditori ambulanti ricorrono continue allusioni sessuali ed erotiche. Non va dimenticato poi – nota Gugliotta – che un frutto, solitamente un limone, è spesso impiegato per le fatture d’amore. In questi casi lo si trafigge con spilli e fili di ferro per affrettarne il deperimento e dunque per accrescere gradualmente le pene del cuore di chi s’intende colpire. “È per questo che le sette penne conficcate nell’agrume del fantoccio sembrano anch’esse una fattura, un divieto, un’astinenza insomma tipica della Quaresima”.
Come si vede, nella nostra cultura il sacro si confonde facilmente col profano».

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