‘A morte ‘e Surriento, una tradizionale festa di Carnevale ormai scomparsa

Ne “Lo cunto de li cunti“, una raccolta di fiabe napoletane della prima metà del XVII secolo, Giambattista Basile cita «la Morte de Sorriento», nella storia “Li due fratielle”, per descrivere lo stato pietoso in cui versa una ragazza: «le masche erano così rezucate, che pareva la Morte de Sorriento».
‘A morte ‘e Surriento è una tradizione ormai scomparsa, ma che doveva essere molto sentita nei secoli passati a Sorrento. Riportiamo la narrazione del 1883 di Gaetano Canzano: «Fino agli ultimi anni del secolo scorso, serbavasi, in una rimessa dell’antico palazzo Mastrogiudice (in via P. Reginaldo Giuliani) , un gigantesco scheletro, di legno e cartone, armato della sua falce, rappresentante la Morte, e serviva al seguente uso. Per antica costumanza si eseguiva dai popolani di Sorrento una specie di commedia Atellana. Si personificavano il Carnevale e la Quaresima.
Un grosso fantoccio fornito di enorme ventraia, circondato di tutti i cibi più succolenti, fra i quali dominavano tutti i prodotti del porco, sdraiato su di un carro, rappresentava Carnevale, partiva dalla via san Cesareo ( all’epoca non esisteva il C. So Italia ), si portava avanti fino a Piazza Castello.
Dal Borgo ( ncopp’ o’ Buller ‘) odierno C.so Italia lato Piazza A. Lauro una vecchia lunga lunga, scarna, lurida, avendo all’intorno salacche, baccalà, legumi e tutti gli altri emblemi del magro, assisa su un altro carro, era seguito sempre da popolo, stavolta vestito quasi a lutto con canti di chiesa e dal tono più serioso e, «volgendo alla rocca la chioma … », rappresentava Quaresima. Muoveva Carnevale da Sorrento e si avviava verso la porta (abbattuta nel 1863), in atto di uscire, mentre che Quaresima dal lato del Borgo, dirigevasi alla medesima porta, in atto di entrare in città. Proprio allo squillare della mezzanotte dovevano incontrarsi, Carnevale e Quaresima, sotto la suddetta porta. Intanto, sotto l’arco della medesima, tenevasi truce, immobile il gigantesco scheletro rappresentante la Morte, e allo giungere di Carnevale, rotava la sua inesorabile falce e ne mieteva la vita. Qui urli, fischi, schiamazzi. La plebe si scagliava furente sull’ucciso Carnevale, ne dilaniava le membra, e finiva la baldoria con un gran falò, a cui erano dannati i resti dell’estinto Carnevale, mentre Quaresima entrava trionfando in città. Finita la scena, la Morte veniva gelosamente custodita, per servire allo stesso ufficio ogni anno.
Accorrevano a questo spettacolo, non solo tutti i sorrentini, ma moltissimi dei contadini vicini; sicché la Morte di Sorrento divenne proverbiale, ed ogni persona molto lunga, molto scarna, era paragonata alla morte di Sorrento. Mi assicurano che un tale Cav. Delle Noci, altissimo, spolpato, morto verso il 1846, per la sua figura, nel suo vivente, ebbe il soprannome di morte di Sorrento. La descritta usanza si tenne in vigore fino al 1799. Alla venuta dei Francesi fu abolita o proibita, sia per progredita civiltà, sia per quel sospetto, in cui, i nuovi governi, tengono le riunioni notturne. Ciò che vi è di notevole nella mia scoperta è questo. Fin da quando chiesi della morte di Sorrento pura e semplice, nessuno seppe darmene certezza; quando poi procurai di approfondire le ottenute notizie, qualche vecchio prete, vari vecchi coloni mi assicurarono averne inteso il racconto dai loro maggiori. Tanto è vero che per ricavare qualche notizia dal volgo, fu mestieri cambiar la natura della domanda, e presentarla sotto diversi aspetti».

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