Peste suina, è allarme in Italia. Altri casi in Liguria e Piemonte

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    Peste suina, è allarme in Italia. Altri casi in Liguria e Piemonte

    A settembre 2018 il Belgio ha segnalato i primi casi di malattia nei cinghiali selvatici, facendo registrare un preoccupante balzo in avanti della PSA verso l’Europa occidentale. Grazie a un rigoroso piano di controllo, il Paese ha eradicato la malattia a fine 2020. A settembre dello stesso anno però il virus è arrivato in Germania, ed è stato rilevato in alcune carcasse di cinghiale nelle zone immediatamente a ridosso del confine con la Polonia.

    Fuori dall’UE, la PSA sta interessando alcuni Paesi africani, Russia, Ucraina, Moldova, Cina, India, Filippine e diverse aree dell’Estremo Oriente.

    Ad oggi sono stati registrati migliaia di focolai negli allevamenti di suini domestici e nei cinghiali selvatici. In Italia, fino al rilevamento del virus nelle carcasse rinvenute in Piemonte e in Liguria , la malattia era presente unicamente in Sardegna dal 1978. Il numero di focolai di malattia in Sardegna è sempre stato estremamente variabile nel corso degli anni, tra ondate epidemiche critiche e periodi di calma totale.

    Cos’è la Peste Suina Africana

    Ma di cosa si tratta esattamente? Proviamo a fare chiarezza. La Peste suina africana (PSA) è una malattia virale, altamente contagiosa e spesso letale, che colpisce suini e cinghiali, ma che – ed è fondamentale sottolinearlo – non è trasmissibile agli esseri umani.

    La PSA è causata da un virus della famiglia Asfaviridae, genere Asfivirus, incapace di stimolare la formazione di anticorpi neutralizzanti, aspetto che rappresenta l’ostacolo più grande alla preparazione di un vaccino, che attualmente non è disponibile in commercio.

    La presenza del virus nel sangue dura dai 4 ai 5 giorni e spesso conduce l’animale alla morte in tempi rapidissimi. Nel sangue prelevato è rilevabile fino a 18 mesi. Il virus è anche dotato di una buona resistenza in ambiente esterno e può rimanere in vita anche fino a 100 giorni, sopravvivendo all’interno dei salumi per alcuni mesi o resistendo alle alte temperature.

    Come spiega il Ministero della Salute, è una malattia con un vasto potenziale di diffusione, ecco perché una eventuale epidemia di PSA sul territorio nazionale comporta pesanti ripercussioni sul patrimonio zootecnico suino, con danni ingenti sia per la salute animale, perché diventa necessario abbattere gli animali malati e sospetti tali, sia per il comparto produttivo e il commercio di animali vivi e dei loro prodotti (qui tutte le conseguenze su export, turismo e lavoro).

    L’Organizzazione mondiale per la sanità animale d il Nuovo Regolamento di sanità animale della Commissione Europea annoverano la PSA nella lista delle malattie denunciabili: qualunque caso, anche sospetto, deve essere assolutamente denunciato all’autorità competente. Dai Paesi infetti scatta immediatamente il divieto di commercializzare suini vivi e prodotti derivati.

    I sintomi della Peste Suina

    sintomi principali negli animali colpiti sono:

    • febbre
    • perdita di appetito
    • debolezza del treno posteriore con conseguente andatura incerta
    • difficoltà respiratorie e secrezione oculo-nasale
    • costipazione
    • aborti spontanei
    • emorragie interne
    • emorragie evidenti su orecchie e fianchi.

    Gli animali che superano la malattia possono restare portatori del virus per circa un anno, giocando dunque un ruolo fondamentale per la persistenza del virus nelle aree endemiche e per la sua trasmissione.

    Come si trasmette

    Spesso, quella che viene percepita come la fase di invasione, dopo il primissimo rilevamento di una carcassa infetta, rappresenta in realtà l’esordio, se non persino il picco, di un’epidemia silente con un gran numero di carcasse infette già presenti.

    La peste suina si diffonde direttamente per contatto tra animali infetti oppure attraverso la puntura di vettori, come le zecche.

    La trasmissione indiretta si verifica invece attraverso attrezzature e indumenti contaminati, che possono veicolare il virus, oppure con la somministrazione ai maiali di scarti di cucina contaminati, pratica vietata dai regolamenti europei dal 1980, o smaltendo rifiuti alimentari in modo non corretto, specie se contenenti carni suine.

    Lo smaltimento efficace e sicuro delle carcasse infette di animali morti svolge un ruolo cruciale, vista l’estrema resistenza ambientale del virus che sopravvive, per esempio, nelle carni infette, fino a 4 anni.

    Proprio per questo motivo, la presenza di carcasse sul territorio rappresenta una delle maggiori cause di mantenimento della malattia sul territorio, e il loro smaltimento è uno degli obiettivi più rilevanti per il contenimento della patologia.

    E’ pericolosa per i cani?

    Come spiega ENCI-Ente Nazionale Cinofila Italiana, nessun rischio esiste per i cani. Come per gli uomini, anche per i cani la malattia non può essere trasmessa e quindi non rappresenta un pericolo.

    ENCI sottolinea anche che i rapporti dell’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) suggeriscono di impiegare cacciatori e silvicoltori, riconosciuti come i principali conoscitori delle aree di presenza del cinghiale, per la ricerca attiva delle carcasse.

    Quali misure per sradicarla

    Nei Paesi infetti il controllo si effettua attraverso l’abbattimento e la distruzione dei suini positivi e di tutti gli altri suini presenti all’interno dell’allevamento infetto.

    Fondamentali sono non solo l’individuazione precoce dell’ingresso della malattia, ma anche la delimitazione tempestiva delle zone infette, il rintraccio e il controllo delle movimentazioni di suini vivi e dei prodotti derivati, le operazioni di pulizia e disinfezione dei locali e dei mezzi di trasporto degli allevamenti infetti, l’effettuazione delle indagini epidemiologiche volte ad individuare l’origine dell’infezione.

    A causa del contagio provocato dalle carcasse, la semplice riduzione del numero di cinghiali non è risolutiva se le carcasse non vengono rinvenute e rimosse in modo sicuro. La presenza di carcasse infette consente la continua persistenza del virus nell’ambiente anche se la popolazione di cinghiali infetti viene gestita a densità estremamente bassa. Durante questa fase, le probabilità di eradicare la malattia sono estremamente basse a causa dell’elevato numero di cinghiali infetti presenti.

    È solo nella successiva fase endemica che l’infezione ha una certa probabilità di essere eradicata, ma se e solo se, oltre ad una drastica riduzione degli animali vivi, viene effettuato anche una corretta rimozione delle carcasse.

    Essere in grado di rilevare rapidamente le carcasse dei cinghiali risulta, pertanto, fondamentale, nell’ambito delle strategie di prevenzione e controllo della PSA. A questo proposito ENCI ha realizzato un progetto sperimentale per la preparazione di cani da detection, addestrati al rilevamento delle carcasse di cinghiale.

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