Il terziere di Meta nel 700: il saggio del prof. Vincenzo Russo

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In occasione del 200° anniversario dell’autonomia amministrativa del Comune di Meta si era deciso di pubblicare un libro speciale commemorativo. Purtroppo a causa dell’epidemia di Covid-19 il progetto è stato quantomeno rimandato. All’interno di questo libro il coordinatore del progetto Dr. Mariano Lardaro aveva affidato allo stimato e noto Storico locale Prof. Vincenzo Russo un capitolo inerente la situazione socio-economica a metà del XVIII secolo a Meta dopo la riforma fiscale che fu promossa dal grande Re Napoletano Carlo di Borbone (poi divenuto Carlo III sul trono di Spagna). Il Prof. Russo ha pubblicato questo interessante studio sulla Rivista “Terre delle Sirene” e ne ha edito un elegante quanto interessante opuscolo. La Riforma di Re Carlo tentò quantomeno di mettere un po’ d’ordine per un riordinamento finanziario e fiscale del Regno di Napoli, tentando di sottrarre ai privati la gestione delle entrate pubbliche e abolendo per quanto possibile gli sterili privilegi a classi alte già avvantaggiate. In questa operazione politica e fiscale il catasto del tempo fu chiamato onciario poiché la valutazione dei beni e delle imprese del tempo veniva fatta in once, facendo corrispondere una certa quantità di denaro per ogni oncia. Re Carlo, tra le altre iniziative positive, cui era solito, aveva firmato nel 1740 alcuni storici trattati di pace con l’Impero Ottomano ed i suoi possedimenti nordafricani, per cui, seppure in maniera parziale aveva facilitato un ulteriore sviluppo dei commerci marittimi tra il suo Regno ed il Mediterraneo centro-orientale. In quest’ottica storica va inquadrato l’eccellente lavoro di ricerca del Prof. Russo; Meta, all’epoca terziere di Sorrento ed il resto della Penisola Sorrentina ebbero i giusti presupposti per un ulteriore sviluppo del commercio marittimo che determinò un’incredibile espansione dell’attività mercantile marittima e dell’indotto relativo quali costruzioni navali, produzioni agricole, artigianali-manifatturiere e quant’altro. Le statistiche rilevate con estrema capillarità dal Prof. Russo mettono in luce dati decisamente interessanti. Ad esempio a livello demografico la popolazione metese passa dai 1756 abitanti del 1650 ai 4325 abitanti del 1754 con un incremento di quasi il 250 % della e nella piramide d’età relativa si nota con estrema facilità che l’aspettativa di vita dei metesi fosse notevolmente aumentata. Si nota, altresì, che i fuochi famigliari fossero costituiti in quel frangente da famiglie numerose e spesso l’aggregazione famigliare era multipla, ovvero i figli di famiglia aggregavano le proprie mogli (ed in taluni casi i propri mariti) all’abitazione dei genitori. Questi dati del catasto onciario spiegano abbastanza facilmente la ragione di detto sviluppo. Con la possibilità di sviluppare commerci marittimi, i metesi si impegnarono con maggiore solerzia e determinazione nelle costruzioni navali, tanto che nel 1754 si registravano ben 48 imbarcazioni metesi di una certa portata (tartane per la maggiore ma anche mezze tartane, pinchi, bastimenti e brigantini), circa la metà di esse erano di proprietà dei tanti armatori-comandanti Cafiero, 8 appartenevano ai Cacace, le altre ai vari Trepena (poi traslitteratisi in Trapani), Starita, Fienga, di Martino, Lauro, Miccio, Romano, Ruggiero, Scarpato e Soverato (poi traslitterato in Suarato). Si pensi che al censimento per professioni ben 813 metesi vengono definiti come marinari, 39 come “padroni di tartane”, 34 garzoni di tartane, 11 maestri calafati, 3 piloti ed 1 tagliavele. Probabilmente tra i marinari erano compresi anche i maestri d’ascia ed i lavoratori del comparto delle costruzioni navali dei cantieri di Alimuri e del Purgatorio oltre ai pescatori. Possiamo quindi affermare che quasi l’80% della forza lavoro del tempo a Meta era impegnato nel settore marittimo. Il secondo settore produttivo, ovviamente dopo la marineria, era costituito dall’agricoltura con ben 79 “bracciali”. Probabilmente il binomio navigazione-agricoltura costituiva il piatto forte dell’economia metese, che già nel secolo precedente (XVII) aveva avuto un certo sviluppo. Fino all’arrivo del Re Carlo e quindi all’indipendenza del Regno di Napoli vi era già una certa esportazione dai porticcioli della costa sorrentina di commestibili e manufatti verso Napoli; questa attività commerciale-marittima si sviluppò ulteriormente nel XVIII secolo quando Napoli assunse a tutti gli effetti il titolo di capitale del Regno. A livello di produzione agricola sorprende invece che il 47% dell’arativo metese fosse coltivato a vigneto, pur non avendo Meta esposizione a sud, a seguire il 22% era coltivato ad oliveto ed il 10% ad agrumeto e probabilmente nel 10% considerato boscoso si intendeva la coltivazione a gelseti, infatti il gelso aveva un ruolo importante per l’allevamento del baco da seta e per la filatura e la produzione di manufatti in seta; infatti nel catasto onciario del 1754 risultano operativi 9 filatoi. Quindi le coltivazioni di agrumi hanno sostituito lungo tutto il XVIII secolo le coltivazioni dei gelsi a Meta come negli altri comuni della Penisola Sorrentina. Questo spaccato socio-economico della metà del XVIII secolo a Meta è di estremo interesse per capire l’evoluzione del piccolo comune peninsulare verso il suo secolo d’oro, ovvero il XIX secolo e ringraziamo il Prof. Russo per la passione e lo scrupolo profusi nel condurre questo studio.

Il terziere di Meta nel 700: il saggio del prof. Vincenzo Russo

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