Diversi casi in Costiera amalfitana di contagio dopo il “booster” . Il mio Covid dopo la terza dose foto

Diversi casi in Costiera amalfitana di contagio dopo il “booster” . Casi di contagi con il coronavirus Covid – 19 ne abbiamo avuti segnalati a Positano, Amalfi, Ravello e in Penisola sorrentina che seguiamo. Qualche caso aveva già un contagio in famiglia, altri non riescono a spiegarsi come mai . Alcuni casi addirittura il giorno dopo si sono riscoperti, facendo un tampone , positivi. Qualche medico consiglia di farsi prima dei tamponi , per essere sicuri di non avere già il Covid, altri di verificare se si hanno gli anticorpi alti e aspettare, almeno finchè è attivo il green pass,  poi ricordiamo gli assembramenti che ci sono stati durante le vaccinazioni in hub come Villa Fondi e la diffusione della variante Omicron per capire che in questo momento vaccino o no si rischia tantissimo, anche dopo poche ore dalla terza dose, se non si ha già il contagio, e quindi se si ha un contatto positivo, non si può pensare di essere immunizzati totalmente…Non sappiamo , se non per quello che ci dicono gli esperti, quanto possa proteggere da Omicron la terza dose,  che serve da rinforzo e richiamo  ( “booster) delle altre due dosi prese l’anno scorso contro il Coronavirus Covid-19, se non serva un altro vaccino ad hoc, cosa comporta e altro ancora, stando alle linee guida il “booster” è necessario per limitare il contagio e senza, scaduti i sei mesi, scade anche il Green Pass, quindi è assolutamente necessario farsi la terza dose stando agli autorevoli pareri istituzionali.  Noi vogliamo solo avvertire i nostri lettori, con certezza,  che ci sono persone che sono state contagiate anche subito dopo la terza dose, quelli che conosciamo noi stanno tutti bene, ma è sempre meglio essere prudenti !  Proponiamo un articolo di  Alfonso Bianchi un collega giornalista ha scritto un bellissimo articolo su EuropaToday .

Il mio Covid dopo la terza dose.

Dopo aver fatto la terza dose ci si sente abbastanza invincibili. “Vuoi vedere che mi so fatto tre iniezioni e mi prendo pure il Covid?”. E così un po’ per questa (falsa) convinzione, un po’ perché onestamente credo che abbiamo diritto di tornare a vivere, nel periodo di Capodanno ho abbassato a dir poco la guardia. Ovviamente non essendo affatto invincibile il coronavirus me lo sono beccato. Ora, non per giustificare il mio comportamento non proprio prudente, ma il Covid ormai sta dappertutto, sono rimaste solo poche riserve indiane che non se lo sono ancora preso, e vivono circondate da zombie ammalati tipo Rick Grimes ad Alexandria in The Walking Dead.

Un pomeriggio un amico, con cui avevo passato una giornata insieme due giorni prima, mi dice di avere la febbre alta. Ormai da quando ero tornato a Napoli da Bruxelles, per le vacanze di Natale, avevo avuto almeno un contatto a rischio ogni due giorni, ormai era uno slalom continuo. E così ho deciso di continuare a bere fuori al bar in cui mi trovavo con gli amici (altro comportamento non proprio corretto, lo so, faccio ammenda). La sera tornando a casa già non mi sentivo benissimo. “Sarà che ho bevuto troppo”, ho pensato. La mattina dopo quando mi sono svegliato mi sentivo male, chiaramente avevo la febbre e ho iniziato a preoccuparmi. Come prima cosa mi sono misurato la temperatura: 37,6 non è altissima, ma me lo sentivo che qualcosa non andava. Mi faccio portare un test rapido, mia madre è medico di base e ne ha un pacco a casa. Ormai sono un esperto a farmi i tamponi da solo, a Londra, dove ho vissuto gran parte della pandemia, in farmacia li distribuiscono gratuitamente e tutti se li fanno a casa. Mai però fino ad allora avevo visto comparire due strisce. Normalmente il test mi dava sempre e solo C (che non so manco che vuol dire). Stavolta è uscita anche la T, che in linguaggio tecnico credo significhi: “Mò so cazzi”.

La prima reazione è stata di panico onestamente, non tanto per me, ma perché stavo a casa dei miei (entrambi over 60), insieme alle mie due sorelle, di cui una ha avuto un bambino da pochi giorni. Il piccolo Christian che io, amante del dark humor e delle battute ciniche, avevo denominato Piccolo Omicron, perché come la pandemia ci ha sconvolto la vita. La cosa mi faceva molto ridere, ma ora che ho paura di passarglielo davvero il virus, più che da ridere mi viene da piangere. “Ma che hai nel cervello idiota? Dovevi fare più attenzione, se non per te almeno per lui”. Vabbè ormai è fatta. A quel punto abbiamo messo a punto il ‘piano di emergenza’. Dopo una veloce consultazione in casa decidiamo che io mi trasferisco nella stanza dei miei genitori, visto che c’è il bagno in camera e così non dobbiamo nemmeno condividere i servizi o il corridoio. I miei fanno le valige come se stessero partendo, e facciamo cambio.

Da quel momento sono iniziate le mie prigioni, un’esperienza da novello Silvio Pellico del Covid (mi perdoni l’esimio scrittore per il paragone azzardato). E sono cominciati anche i comportamenti che tutto sommato, a guardarli col senno di poi, mi sembrano un po’ da matti, ma vabbè, è tutta una follia sta situazione. La porta era sempre chiusa, veniva aperta solo a orario pasti quando mi lasciavano il mangiare sull’uscio della porta. Prima di prenderlo aprivo la finestra per far areare la stanza, poi mettevo la mia Ffp2, aprivo la porta e raccoglievo da terra il cibo messo in un piatto di carta (poi hanno messo un tavolino di fronte alla porta per risparmiarmi l’umiliazione…). Quando volevamo chiacchierare lo facevamo attraverso la porta stessa. Mia madre (che è il medico di base del quartiere) mi ha fatto trovate sul comodino il Brufen e lo Zitromax di ordinanza, ibuprofene e antibiotico. Quest’ultimo per fortuna non l’ho mai usato. La tosse non mi è venuta, se non qualche colpetto, la febbre è durata un solo giorno. L’unico altro sintomo fastidioso, ma tutto sommato sopportabile (soprattutto se si pensa alle persone che stanno intubate in ospedale), una persistente e fastidiosa emicrania che non passava mai.

Dopo i primi due giorni oltre al Covid mi ha preso pure la sindrome di Greta. “Non posso consumare tutti questi piatti e bicchieri di carta, il pianeta ha bisogno di me!”. Quindi mi sono fatto dare piatti, posate e bicchieri normali che poi mi lavavo da solo in bagno ogni volta. Quando dovevo mangiare li lasciavo sul tavolino fuori la porta, e i miei amorevoli carcerieri li riempivano con tutte le leccornie che cucinavano per me. I primi tre giorni la preoccupazione non mi (e non ci) ha lasciato. La paura di averli contagiati non era poca. Ma per fortuna nessuno in casa si è preso il Covid insieme a me. Ora io non sono uno scienziato, ma voglio credere che le tre dosi (che anche i miei hanno avuto) hanno reso per me la malattia molto più leggera e meno contagiosa, loro erano protetti a loro volta, e così il contagio non si è diffuso.

Le altre importanti notizie del giorno
Nel quartiere invece è inarrestabile. Mia madre riceve telefonate in continuazione, dalle sette di mattina a mezzanotte e oltre. La maggior parte sono casi molto leggeri come il mio, ma per alcuni è abbastanza dura. Proprio la settimana scorsa Stefania, l’ottica del quartiere, una persona meravigliosa da cui ho sempre comprato i miei occhiali, è morta dopo un lungo ricovero in intensiva. Il padre del pizzaiolo sotto casa pure è finito da poco in ospedale, speriamo esca presto. Entrambi non erano vaccinati. Io invece stavo davvero bene tutto sommato, a parte la fastidiosa emicrania e un senso di oppressione a stare chiuso in una stanza come un carcerato, non mi potevo lamentare. Il settimo giorno, come da protocollo, ho fatto il test e sognavo la libertà. Ma purtroppo sono rimasto deluso e la maledetta linietta sulla T è comparsa di nuovo.

L’ottavo giorno non ho riprovato, pensavo fosse inutile. Temevo di finire come la mia amica Federica, che è rimasta positiva per 19 giorni. “Se mi succede mi sparo”, pensavo. Per fortuna non c’è stato bisogno di azioni così drastiche, e il nono giorno è arrivata la buona notizia: messuna linea sulla T, sono negativo. Urla di giubilo per tutta la casa. “Calma però”, avverte mia madre, “ora vatti a fare un test anche in farmacia, per conferma, e così il risultato finisce anche nel sistema”.

Intanto io pulisco e disinfetto la stanza (altro comportamento un poco folle, lo so, ma insomma come si dice in Inghilterra “better safe than sorry”, meglio essere cauti che pentirsene dopo. Qualche comportamento un po’ folle val bene la certezza di non rischiare di contagiare i miei cari). In farmacia per fortuna il risultato è confermato: dopo nove giorni sono finalmente di nuovo libero e posso tornare alla mia vita. Il piccolo Omicron intanto dorme beato nella sua culletta. Vado a saltarlo guardandolo da lontano e vorrei tanto prenderlo in braccio. Ma meglio di no, non si sa mai, non ancora. Avrò tempo per spupazzarmelo a dovere quando sarò certo di non potergli fare del male.

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