Amalfitanità: personaggi, tradizioni e situazioni della città nello zibaldone di Carlo De Luca

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Amalfitanità: personaggi, tradizioni e situazioni della città nello zibaldone di Carlo De Luca. Ne parla Erminia Pellecchia in un articolo dell’edizione odierna del quotidiano Il Mattino.

Amatruda, Amendola, Anastasio, Barbaro, Camera, Cavaliere, Colavolpe, Cretella, Criscuolo, De Luca, Dipino, Esposito, Gambardella, Milano… eccoli in perfetto ordine alfabetico i cognomi delle famiglie storiche di Amalfi. Metteteli insieme a quelli di peso degli amalfitani trapiantati nel resto d’Italia, come Pierino Florio, direttore della Biblioteca Sormani di Milano e ambasciatore della sua terra nei salotti culturali che contano, o Gaetano Afeltra, giornalista e scrittore, una carriera di prestigio all’interno del Corriere della Sera e il merito di aver lanciato firme come quelle di Gatto, Parise, Rea. Arbasino, o, ancora, il monello Angelo Tajani, seconda patria in Svezia, firma autorevole di Oggi e Gente e un medagliere di premi importanti come il Molinello. Aggiungete personalità come l’onorevole Francesco Amodio, per la verità nato a Maiori ma di diritto amalfitano soprattutto per l’aver ideato la Regata delle Quattro Repubbliche, o Francesco Gargano, cavaliere di Malta, podestà, uomo di grandi iniziative come l’essersi adoperato per restituire dignità agli Antichi Arsenali, oppure Ezio Falcone, storico dell’enogastronomia della Costiera. Mescolateli a personaggi pop come i cocciuti Segaforte, Paolo di Conca, barbone capace di fare calcoli matematici più di un astrofisico, Massimo, profugo dalmata e abile musicista, O Poerio, fruttivendolo per conto terzi, Alfredo Laudano inventore degli spaghetti ai sette odori, e otterrete quel cocktail straordinario che Carlo De Luca, il più amalfitano di tutti, ha battezzato amalfitanità.

SANTI MERCANTI E NAVIGANTI Ovvero l’orgoglio di discendere da patrizi romani, il senso di appartenenza a un popolo ingegnoso di santi, mercanti e naviganti, l’amore sviscerato per la città di Sant’Andrea che è molto più di panorami mozzafiato ma, come scriveva Enrico Caterina, «è ricca di gloria e di primati, calda di sole e di affetti». Rissosi a volte, gran cultori della «cazzanguleria», cioè una certa propensione all’astuzia, e dell’ospitalità intesa come «il sapersi inchinare a schiena dritta», gli amalfitani hanno sempre superato ogni avversità. Il manager, collezionista d’arte e mecenate salernitano, ha dato vita volume Amalfitanità (440 pagine, con oltre cento illustrazioni tra stampe, dipinti e foto d’epoca, la presentazione di Giovanni Camelia e un testo di Virginio Quarta), pubblicato recentemente dalla De Luca editore col patrocinio del Centro di Cultura e Storia amalfitana. Uno zibaldone di cronache, storie, figure caratteristiche, situazioni, luoghi e tradizioni – vi figurano anche i forestieri come i cilentani Enrico Bastolla e Geppino Liuccio, e i vicini di casa come il cosmopolita Vittorio Perrotta di Atrani, i Caruso di Ravello, il marchese Paolo Sersale di Positano – dedicato «A quei d’Amalfi andati e mai tornati», scritto, come sottolinea nell’introduzione Carla Errico, con «la grazia del tempo ritrovato», più che come ricerca del tempo perduto. «Stavolta Carlo – avverte la giornalista che ha già prefatto Carlo racconta Carlo, opera prima di De Luca – non scrive di sé e per sé, nutre bensì il desiderio di arrivare (dolcemente) al cuore di coloro che la vita ha portato lontani dal loro sé. Il luogo dei ricordi infranti da ritrovare è sempre lo stesso, Amalfi, che è il posto perfetto di una infanzia storica collettiva che nel tempo si è trasformata – anche grazie all’intraprendenza della De Luca dynasty – in una meta eccelsa del turismo internazionale».

L’ALFA E L’OMEGA La persistenza della memoria e l’amnesia digitale titola il suo intervento Carmen Paolillo che plaude all’opera di De Luca, che «ha voluto attingere al suo hangar di ricordi, regalandoci una carrellata gustosissima e commovente di un mondo che non c’è più… la testimonianza di un vivere diverso… L’alfa e l’omega della vita coincidevano in un unico luogo, il lettone di casa dove si nasceva e dove il cerchio si chiudeva in un addio corale che era rito, solennità familiare e catarsi». Bello il ritratto di Carlo De Luca fatto da Armando Cerzosimo e che campeggia nell’aletta della copertina che inquadra una veduta ottocentesca di Giovanni Battista. L’autore sembra parlare al lettore, invitandolo a ritrovare nella memoria le ragioni della speranza. «Oggi con il Coranavirus – enuncia nell’incipit – viviamo il nostro secondo 43… Allora si pianse oggi si geme… In un mattino di primavera, in piena quarantena, vidi una Amalfi bella, divina, luminosa, trasparente… Quando finirà? Come sarà? Bisogna aver fiducia. Sicuramente andrà tutto bene».

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