Sorrento, solo applausi per “Maschere” di Andrea Abbadia e il suo quartetto foto

Sorrento (NA) Ieri sera (17 dicembre N.d.A) “Sorrento Jazz” non ha tradito le aspettative, dopo il divertente spettacolo di Maurizio Casagrande a salire sul palco del Teatro Comunale “Tasso” è stato l’Andrea Abbadia Quartet protagonista di una performance jazzistica degna del Blue Note di Milano. Il pubblico sorrentino ha risposto presente a questo nuovo invito all’ascolto del grande jazz del Direttore artistico Antonino Esposito, del promoter Giuseppe Prudente e del Comune di Sorrento guidato dal Sindaco Massimo Coppola, rimanendo pienamente soddisfatto. Andrea Abbadia, leader del quartetto, ha presentato un progetto musicale, “Maschere” (WoW Records), colto e raffinato. Andrea Abbadia è un compositore sui generis nel senso che è difficile trovare in giro, almeno facendo riferimento al panorama musicale italiano, un virtuoso come lui del Saxphone Baritone appassionato e competente, e scendendo nei particolari, di un Conn Transitional del 1933, uno strumento tanto elegante (mi sembra di ricordare che gli americani per questo motivo lo hanno soprannominato “naked Lady”) quanto ostico da suonare, ma che ha “la più bella pasta sonora che io conosca” non sono parole mie ma di Gioachino Rossini (1844, editore Troupenas). Abbadia toglie via la maschera, quella che indossiamo tutti i giorni quando ci rapportiamo agli altri, come racconta Luigi Pirandello in “Uno nessuno e centomila”, ci invita a fare lo stesso, per mostrarci agli altri per quello che siamo, lo fa con “Walking with groove”, quindi ci sorprende con una citazione al più sorrentino dei bolognesi, Lucio Dalla. “Dialettica dell’immaginario” è il suo personale e commovente omaggio all’ex Flippers, una ballata delicata e romantica che diverte e strappa applausi. Durante lo spettacolo sono chiamati a togliersi la maschera anche gli altri maestri che fanno parte dell’Andrea Abbadia Quartet, tre personaggi che hanno trovato il loro autore: Luca Varavallo, al contrabbasso, lo fa proponendoci “Song for Nara” che firma a quattro mani con F. Girardi. Quindi all’appello rispondono presente anche Lello Petrarca col suo pianoforte e Alex Perrone alla batteria, gli arrangiamenti e le composizioni di Andrea Abbadia esaltano la loro bravura in “Blues for Dexter”, “Rolling” per finire con la struggente “Only you can dance on my heart”. Ho incontrato Andrea Abbadia a fine concerto avevo voglia di far conoscere al pubblico questo talento del Saxphone Baritone Made in Italy.
Complimenti, un concerto molto raffinato. “Maschere” è una chiara citazione a Luigi Pirandello, che scrive: “nella vita si incontrano molte maschere, pochi volti”, è così anche nel mondo dello spettacolo?
Sì, anche nel nostro mondo si incontrano molte maschere, ma c’è anche da aggiungere che l’artista, nel mio caso il musicista, quando sale sul palco, getta via la maschera. Davanti al pubblico, da solo e con il proprio strumento, che sia la sola voce o il sassofono, non si può mentire. Quando un musicista jazz si dedica ad un assolo, mette a nudo se stesso e riversa nella performance tutto quello che di vero ha dentro, diversamente l’esecuzione sarebbe un fiasco.
Quando hai conosciuto i tuoi compagni di viaggio?
Ho conosciuto per primo Alex Perroni, il batterista, a Caserta, quindici anni fa, frequentavamo la stessa scuola di musica. Abbiamo subito stretto amicizia, poi Alex mi ha presentato Luca Varavallo e Lello Petrarca. Tra noi, fin dall’inizio, si è creato un forte interplay che ci ha spinti a suonare insieme. L’ottima intesa mi è stata di grande aiuto anche nella costruzione del progetto “Maschere”, infatti, ho creato per ognuno di loro una composizione che permettesse di esaltarne le virtù personali.  Volevo che durante lo spettacolo ognuno avesse il suo momento di gloria, o meglio la possibilità di gettare via la maschera e mostrare al pubblico il proprio talento.
Siamo a Sorrento, hai omaggiato un beniamino di questo pubblico, Lucio Dalla, con uno splendido brano, raccontami di questa creazione.
La scomparsa di Lucio Dalla mi ha toccato profondamente. Stavo seguendo su You Tube dei vecchi filmati, venne fuori che Lucio aveva presentato il brano “Cara” con il titolo “Dialettica dell’immaginario” ad una casa discografica, ma l’editore gli aveva bocciato questo titolo. Quindi mi sono detto, ci provo io. Scriverò un brano dedicato a Dalla e lo intitolerò “Dialettica dell’immaginario”. Credo sia una bella ballata in cui sono presenti guizzi e richiami a lui e al suo stile. La musica di Lucio Dalla mi ha accompagnato per lunghi tratti della mia vita.
Sì, la ballata dedicata a Lucio è stata molto apprezzata dal pubblico. Il fraseggio del tuo sax mi ha riportato alla mente certi passaggi poetici, pensavo, ascoltandoti, a “Non c’è niente da capire, basta sedersi ed ascoltare /Perché ho scritto una canzone per ogni pentimento/ E debbo stare attento a non cadere nel vino… Ma torniamo alla tua arte e al tuo sax. Mi spieghi perché un musicista si innamora del sax baritono ma non di uno qualsiasi del sax Conn?
Da bambino suonavo il clarinetto in una banda. Poi crescendo ho cominciato ad ascoltare il jazz. Avevo voglia di conoscere quegli artisti e capire come riuscissero a creare quei suoni. All’epoca già c’era internet ma le ricerche e il materiale che si trovava online non era granchè. Non mi sono dato per vinto. Dal clarinetto sono passato sax alto e ho cominciato a suonare in una band, ricordo che suonavamo blues. Poi al conservatorio (di Perugia, N.d.A.) il mio insegnante Mario Raja notò che mi piaceva cercare sonorità più gravi e mi chiese, hai mai provato il sax baritono? Detto  fatto. Mi allungò uno dei sax baritono del Conservatorio. Mi devi credere, ancor oggi mi viene la pelle d’oca quando ci penso. Soffiai nel becco e ne uscì il suono che stavo cercando da una vita. Da allora non mi sono più separato del sax baritono. Il mio Conn è del 1933, è un sax impegnativo, non ha una struttura ergonomica come i nuovi, ma ha una gran bella voce che ti devi però saper conquistare con lo studio. Ho scelto questo strumento perché ero e sono innamorato della musica Gerry Mulligan e lui suonava un Conn. All’inizio è stato difficile, poi con caparbietà e tanto studio ho conquistato il mio suono. Il Conn è meraviglioso, più gli dai e lui più ti restituisce.
Nel 2019 ho conosciuto a Positano Daniele Scannapieco, si esibiva con i Dirty Six nella kermesse “Incanto Acustico”, la direzione artistica era di Salvatore Cuccaro. Mi ricordo che Daniele diceva che quando suoni il sax è come se parlassi. Nel modo in cui ottieni un suono mentre parli lo ottieni anche nel sassofono. Pensi anche tu la stessa cosa?
Sì, il sax diventa un prolungamento del tuo corpo. Quando ti lanci in un assolo, come ho fatto stasera, non è che pensi prima a quello che stai per fare, esegui e basta come in questo momento rispondo alle tue domande. Grazie all’interplay che si crea con i tuoi colleghi e il pubblico vengono fuori fraseggi straordinari. Quello che poi rende tutto ancora più magico è che gli assoli di domani, per dire, non saranno quelli di stasera.
Quest’estate sempre a Positano ho conosciuto Fabrizio Bosso, e te ne parlo perché ho letto belle parole da parte sua nei tuoi confronti, quindi, tornando a curiosità tecniche, ricordo che Bosso ci parlava della tormentosa ricerca del bocchino giusto per la sua tromba, è così anche per un sassofonista?
Beh, devi sapere che io ho scoperto il jazz con Fabrizio Bosso; stavo per iscrivermi al conservatorio e un amico mi invitò alla presentazione del disco “Latin Mood”, suonavano Fabrizio Bosso e Javier Girotto, ascoltandoli rimasi letteralmente inchiodato alla poltrona e decisi che avrei studiato quella musica. Poi quando qualche mese fa ho pubblicato “Maschere”, visto che c’era questo precedente, ho voluto sentire il parere di Bosso sull’album e gli ho telefonato. Ci sono stato dietro un bel po’ perché lui come sai ha mille impegni, ma alla fine ha ascoltato il disco. Fabrizio mi disse che se gli fosse piaciuto, avrebbe scritto anche la recensione, e così è stato. Sono molto orgoglioso e onorato per le belle parole che ha speso per me e per il mio lavoro musicale. Tornando alla parte tecnica della domanda, ti dico che il becco per il sassofonista come per il trombettista, così come l’ancia, sono fondamentali, danno personalità al tuo suono. Personalmente di becchi ne avrò cambiati a migliaia e a casa ne ho una cinquantina. In questo momento della mia vita artistica adopero un Theo Wanne di cui sono endorser e aggiungo che sono onorato di essere l’unico italiano per questo tipo di imboccatura. Con il becco di metallo suonare il Conn è ancora più difficile, ma ottengo il suono che  desidero.
Quindi preferisci il metallo all’ebanite?
L’ebanite è più confortevole, la usava Mulligan, mentre il becco di metallo lo preferiva Pepper Adams per il suo Selmer. La mia più grande aspirazione è riuscire ad ottenere il suono di Mulligan e il fraseggio di Pepper Adams unendo il becco di metallo al mio Conn del 1933, prima o poi ci riuscirò.
Infine una parola per Marco Zurzolo e una per Pietro Condorelli.
Ho avuto l’onore di averli come insegnanti nel mio primo anno di conservatorio a Napoli, due grandi professionisti. Zurzolo lo ricordo estroverso e disposto a darti spazio, Condorelli più rigido e severo. In sintesi, bastone e carota per costringere gli allievi a dare il meglio, ricorrendo ad una metafora. Questa scelta però si è rivelata vincente perché grazie a loro dal conservatorio napoletano sono usciti fior di musicisti jazz.
di Luigi De Rosa

Sorrento, solo applausi per “Maschere” di Andrea Abbadia e il suo quartetto
Andrea Abbadia Quartet

Link Utili : http://www.andreaabbadia.com

Comune di Sorrento : https://www.comune.sorrento.na.it/

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