Quarant’anni dalla tragedia del Marina d’Aequa: prima l’SOS, poi dolore e mistero

Quarant’anni dalla tragedia del Marina d’Aequa: prima l’SOS, poi dolore e mistero. Ne parla Antonino Pane in un articolo dell’edizione odierna del quotidiano Il Mattino.

Si è detto e scritto di tutto. Ma i segreti, quelli veri, giacciono ad alcuni chilometri di profondità, negli abissi del golfo di Guascogna. Quarant’anni dalla tragedia del Marina d’Aequa. Erano le 17,55 del 29 dicembre 1981 quando la nave si inabissò in meno di un minuto, trascinando sul fondo del mare i trenta uomini di equipaggio i cui corpi non sono mai stati ritrovati. Mare agitatissimo, un solo Sos, e poi un lungo silenzio di morte. Ed è soprattutto questo, l’assenza di una tomba su cui piangere, che ha tenuto vivo, in penisola sorrentina come a Procida e a Torre del Greco, il ricordo indelebile del dolore di quei giorni. Nella vita di un cronista ci sono fatti che non si dimenticano. I volti delle mogli, delle mamme, dei padri, delle fidanzate, degli amici, sono ancora impressi nella memoria di chi scrive. Dalla speranza di un soccorso giunto in tempo dopo l’Sos lanciato dalla nave alla disperazione che pian piano si faceva strada con il passare delle ore, dei giorni. Da La Coruña, la città basca da dove si coordinavano i soccorsi, arrivarono solo lunghi silenzi. L’ultimo rilevamento della Marina d’Aequa veniva dato a 175 miglia dalla costa spagnola. E quel buio corridoio dell’ultimo piano della palazzina Italmare, la società armatrice, in via delle Rose a Piano di Sorrento, diventò presto il luogo della disperazione. Il continuo via vai del personale nello studio dell’armatore Mariano Pane permetteva di sbirciare all’interno della stanza dove facevano capolino anche i soci Antonino D’Esposito e Luigi Savarese. Pochi attimi per cogliere eventuali segnali di speranza dalla linea diretta con la Guardia Costiera spagnola. Ma niente. Anzi i volti diventavano sempre più cupi e preoccupati. Fino alla disperazione quando fu comunicato che una nave di soccorso aveva raggiunto il posto indicato dalle coordinate dell’Sos ma non aveva trovato niente. Solo una scialuppa di salvataggio vuota con incise sullo scafo il nome Marina d’Aequa, come racconterà successivamente, in un commovente ricordo, il marinaio spagnolo José Ignacio Andrès, che partecipò ai soccorsi.

LE RICOSTRUZIONI Cosa era successo? Poteva un mercantile di 132mila tonnellate di stanza, lungo 178 metri, essere inghiottito dall’oceano senza che nessuno dei trenta uomini di equipaggio fosse riuscito a salvarsi? Questo dubbio fece propendere per ricostruzioni tecniche tutte attendibili, visto che l’unica certezza è che, come dall’ultimo Sos, la nave imbarcava acqua dalla stiva numero 1, quella di prora. Una falla? Un portellone aperto accidentalmente? In mezzo all’Atlantico si trattava certamente di qualcosa legato al carico. La Marina d’Aequa trasportava grandi bobine di ferro. Essere strattonati tra le onde, con un carico così pesante, può aver rotto i cavi con cui le bobine erano state rizzate nelle stive. Questo significa che il carico era libero di spostarsi. Il resto, con tutta probabilità, lo ha fatto un’onda anomala che, proprio con il carico spostato a prua, ha contribuito a far spezzare in due lo scafo facendolo affondare in pochi secondi, senza dare la minima possibilità di salvarsi all’equipaggio.
I martiri del mare, come sono stati definiti, erano tutti campani. Ventuno erano alla penisola sorrentina, (12 di Meta, 5 di Piano di Sorrento, 2 di Sorrento e 2 di Massa Lubrense). Tre marinai di Procida, 5 di Torre del Greco ed uno di Santiago del Cile.

IL PARLAMENTO Quegli uomini potevano essere salvati? Il naufragio del Marina d’Aequa aprì un grande dibattito e ci furono vari tentativi di ricostruire con esattezza cosa era accaduto. Nacque anche un’Assiciazione, la Marina d’Aequa, appunto, che grazie alla collaborazione del Comitato Seagull fece approdare la tragedia dei marinai campani in Parlamento attraverso una iniziativa portata avanti con determinazione da Raina Dandulova Junakovic (l’allora presidente del Seagull) e dal deputato socialista Franco Accame. Dibattiti, prese di posizione, iniziative legislative ma niente di tutto questo riuscì a lenire il dolore dei familiari che ancora oggi, come allora, piangono senza avere in risposta un reale perché. Solo il comunicato finale della Commissione d’inchiesta che chiudendo i lavori nel 1983 ritenne che «il naufragio della Marina d’Aequa e la conseguente perdita dell’equipaggio e del carico verificatosi il 29 dicembre 1981 siano da attribuirsi alle circostanze eccezionali sopradescritte e che, pertanto, il sinistro sia avvenuto esclusivamente per caso fortuito, senza dolo o colpa da parte di chicchessia».

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