Hackert, l’estroso pittore che amava Vietri sul Mare

Hackert, l’estroso pittore che amava Vietri sul Mare. Lo scrive Domenico Della Monica in un articolo dell’edizione odierna del quotidiano La Città di Salerno.

All’alba del 21 dicembre 1798, dopo una notte passata silenziosamente in rada, una nave prese il largo nel golfo di Napoli. E furtivamente rivolse la prua verso Sud-Est, verso la Sicilia. Era la “Vanguard” dell’ammiraglio Nelson e a bordo trasportava il prezioso carico del re di Napoli, Ferdinando I: il sovrano fuggiva dalla sua città e dal suo regno, e per vergogna estrema ospite di un vascello straniero. I francesi erano alle porte, la sciagura imminente, meglio la fuga. La nave inglese, oltre ai reali di Napoli, trasportava anche l’ambasciatore britannico sir William Hamilton e la sua bella moglie Emma avvinta alla vecchia regina Maria Carolina, lo sguardo languido rivolto all’ammiraglio. Le ricchezze del regno consistevano non solo in oro, argenti e gioielli, ma anche in opere d’arte e in quadri. Fra queste, oli, tempere e incisioni del pittore ufficiale di quella corte.

L’artista del re. L’artista prediletto del re era Phillip Hackert, quel prussiano che terrorizzato dalla piega che stavano prendendo gli avvenimenti sarebbe fuggito di lì a poco anche lui per mare, munito di un lasciapassare del generale francese Championnet, impietosito. Anche Hackert era seduto sulle casse di un tesoro: erano le sue opere, incisioni, dipinti e disegni che costituivano il suo patrimonio personale. Riparò a Livorno, porto sicuro dei Lorena. Gente ospitale, tollerante e per di più parente della sua regina. E in Toscana di rivoluzioni, almeno per il momento, non si parlava.

L’arrivo in Italia. Allievo dell’Accademia berlinese, dopo un viaggio in Svezia e un soggiorno a Parigi e in Normandia, Hackert, nel 1768, in compagnia del fratello Johann, anch’egli pittore e incisore, si era trasferito a Roma dove divenne ben presto famoso eseguendo numerose vedute specialmente per Robert Cecil, visconte di Cranbourne. Tre anni dopo, l’ambasciatore inglese Hamilton chiamò entrambi i fratelli a Napoli, incaricando Johann di dipingere quadretti vari e Phillip vedute del Vesuvio e del Monte Nuovo di Pozzuoli, che dovevano illustrare l’opera “Campi Phlegraei” cui stava lavorando. Hackert, fra i tanti pittori che circolavano più o meno in cerca di ricche committenze fra Roma e Napoli, viene eletto pittore della corte borbonica nel 1782. Situazione assai redditizia e invidiata. Divenne il pittore meglio pagato d’Europa, e quindi ricchissimo anche grazie alla sua naturale parsimonia. Del resto già a Roma si era creato un fior di clientela nobilissima e Caterina di Russia gli aveva affidato la serie delle tele sulla battaglia di Cesmè contro i turchi. La zarina lo avrebbe voluto a Pietroburgo, ma il prussiano al freddo e ai ghiacci della forse troppo impegnativa imperatrice del Nord, preferì il clima incomparabile del golfo mediterraneo e la mite ignoranza di re Ferdinando.

L’incontro a Persano. Secondo quanto lui stesso racconta, Hackert aveva incontrato per la prima volta il re di Napoli nella tenuta di caccia di Persano: era seduto in un fossato per disegnare la campagna dove il re stava cacciando. Sua maestà si avvicinò curioso e fu molto sorpreso quando il pittore aprì una delle sue grandi cartelle, nella quale si trovavano già pronti e ben eseguiti i disegni di tutti i siti preferiti da Ferdinando. Se il Borbone poco o nulla si intendeva di arte e di pittura, Napoli però era una città speciale. Antica e moderna insieme, affollata e internazionale, diversa da tutte le altre metropoli dell’Europa di allora. Capace di suscitare da situazioni forse caotiche e confuse in apparenza, emozioni profonde. Così profonde che fu a Napoli che Goethe, esaurita la furia dello “Sturm und drang”, raggiunse la sua dimensione di olimpica serenità. E di ciò Hackert fu l’amatissimo interprete, amato al punto da dedicargli una biografia. Non solo, ma giunto ansioso commosso e fremente a Napoli, la prima persona che l’autore del Werther andò a visitare nel suo studio lussuoso a Palazzo Cellammare a Chiaia, fu sempre Hackert. Divennero inseparabili e, insieme, in quella anarchica baraonda, in quell’anarchico caleidoscopio di luci e colori trascorsero giornate indimenticabili. Scrutavano le eruzioni del Vesuvio fin troppo da vicino, visitarono gli scavi di Pompei, vietati a tutti ma non a loro, si recarono in visita a Paestum. Goethe riteneva che nei paesaggi di Hackert la realtà era così reale da diventare irrealtà. Forse solo un nordico poteva trasformare la visione tradizionale del paesaggio fino al limite dell’invenzione fantastica. Come se, abbagliato dalla luce della nostra terra volesse cristallizzare paesaggi e vedute, siti archeologici e colate laviche in una atmosfera sospesa e immobile.

Le opere. Molte sono le opere del pittore prussiano dedicate alla nostra regione: dai Porti del Regno ai Siti reali alle scene che illustrano la Mietitura a San Leucio, Ischia, Capri, il Giardino inglese di Caserta, Cava de’ Tirreni. A proposito di quest’ultimo luogo, vorrei raccontare un particolare della vita di Hackert legato alla nostra terra e che forse non molti conoscono.

L’amore per Vietri. Nel corso del suo lungo soggiorno napoletano, Hackert si ammalò e venne curato da un grande medico, Domenico Cirillo (uno dei Dioscuri, con Domenico Cotugno, della Scuola Medica Napoletana). Su consiglio di Cirillo, si recò in convalescenza a Vietri. Qui prese dimora alla Marina in un’abitazione situata all’inizio di via Contorno, affacciata sulla spiaggia e caratterizzata da due archi, a pochi metri dalla Torre saracena.

Non di rado chiedeva a qualche pescatore del borgo di fare un giro in barca. Amava sostare soprattutto in quel tratto di spiaggia che guarda gli scogli dei “Due Fratelli”, lì dove ora è situato il lido-ristorante “La Ciurma”. In seguito, Hackert tornò ancora nel nostro territorio dove creò veri capolavori, A Vietri (1779) e Veduta di Cava de’ Tirreni(1792). Queste stampe che ritraevano paesaggi di queste due località, furono definite da Sergio Ortolani «le prime incisioni paesistiche di motivi nostrani che siano opera d’arte».

La fuga e la morte. Dopo la sua fuga da Napoli, nel gennaio 1799, Hackert (come abbiamo visto) riparò in Toscana. A Livorno, Pisa e Firenze continuò a dipingere e a disegnare vedute ormai stereotipe, paesaggi anonimi: lontano dalla nostra terra l’incanto si era rotto per sempre, la grande vena creativa si era esaurita. Morì a Careggi, sobborgo di Firenze, il 28 aprile 1807.

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