Piano di Sorrento, seconda sera della novena di San Michele: “Pregare è l’arte di respirare in Dio ed insieme con lui”

Piano di Sorrento. Riportiamo l’omelia di Don Pasquale Irolla nella seconda sera della novena in preparazione alla solennità di San Michele Arcangelo: «La devozione all’Arcangelo San Michele ci attira in basilica in queste sere e di anno in anno vogliamo reimparare, metterci sotto lo sguardo dell’Arcangelo, imparare dagli angeli la vita divina che scorre in noi, curarla, alimentarla, stare a contatto con Dio, ripartire da Dio. E certamente il primo passo che noi facciamo in queste sere è riprendere a pregare, a cantare i salmi insieme. Pregare è come il respiro, pregare è l’arte di respirare in Dio, insieme con lui. E noi in queste sere vogliamo riprendere il gusto della preghiera. Non sempre è così perché pregare vuol dire perdere tempo, perdere tempo per Dio, con Dio. Noi molte volte non siamo disposti a perdere tempo, vorremmo fare tutto in fretta. Se noi siamo qui è perché abbiamo tolto tempo al marito, ai figli, alla casa, alla cena, ai nostri nipoti, alle nostre occupazioni, a tutto ciò che è urgente e che sembra essere determinante per noi nell’arco di una giornata. Pregare è perdere tempo, accettare di rinunciare a qualcosa che per noi può essere importante per dedicare tempo a Dio. Noi siamo qui proprio perché stiamo perdendo un’ora, un’ora e mezza del nostro tempo. Questo sembrerebbe essere uno scandalo per chi è abituato ad ottimizzare la giornata. Gli antichi dividevano la giornata in otium et negotium e cioè nelle occupazioni ovvero il negotium che perlopiù veniva delegato ai servi e l’otium cioè il tempo per passeggiare, per leggere. Da qui anche i monaci hanno tessuto un elogio dell’otium in senso spirituale come il lavoro dell’anima, cioè come il fare vuoto, il dire “adesso non faccio niente, lascia che io mi sieda per un momento al tuo fianco, continuerò più tardi il lavoro che mi attende” scriveva Tagore. Più tardi mi dedicherò ai miei figli, possono aspettare i miei familiari. Ognuno di noi è qui non perché non avrebbe altro di importante da fare in questo tempo, ma proprio perché ci sono persone determinanti che hanno bisogno di noi, cose importanti da portare a termine, ma sappiamo che se noi vogliamo davvero portare a termine una giornata e un domani perfezionare e portare a termine una vita abbiamo bisogno di imparare a perdere tempo.

Anche noi siamo presi dalla corsa quotidiana e siamo qui perché vogliamo reimparare l’arte del perdere tempo e cioè quella di rinunciare, di fare il vuoto, di dire a quanto dentro di noi grida perché vuole essere ascoltato: “aspetta”. Non è automatico tanto è vero che tanti non riescono a dire no alle occupazioni quotidiane, molte volte anche noi non riusciamo a trovare questo equilibrio.

Mi sembra che il primo aspetto importante e bello della preghiera sia quello più prosaico cioè perdere tempo, dire a se stessi: “io non posso racchiudermi, identificarmi con le cose che faccio, con le cose che ho, con i ruoli che mi sono addosso cui sono affezionato e non posso neanche identificarmi con le persone che amo, ho bisogno di reimparare a perdere tempo”. Chissà che la pandemia non ci insegni proprio questo, vivere una giornata lasciando un tempo da perdere, perché è in quel tempo perso che si inserisce la grazia ed in quel tempo che impara a perdere che io riprendo il gusto del pregare. Perché noi possiamo anche metterci sotto lo sguardo di Dio frettolosamente, con la mente ad altro, con il cuore ad altre preoccupazioni e alla fine ci rendiamo conto che non sappiamo che cosa sia accaduto e non proviamo il gusto del pregare. Allo stesso tempo pregare è attardarsi. Vorrei che questo aspetto che molte volte noi viviamo lo prendessimo come un grande dono. Che cosa succede stasera? Che noi ci attarderemo. Una cosa è venire di corsa a cantare i vespri di San Michele e scappare un’altra cosa è venire a cantare i vespri e attardarsi. Penso che l’arte della preghiera sia il gusto di attardarsi con Dio, cioè di fare tardi. I nostri figli fanno tardi perché amano parlare a lungo, stare per strada e guardarsi, perdere tempo e non contare le ore. La giovinezza ci insegna quanto sia bello avere degli amici, essere amico ed attardarsi con gli amici come quando da bambini noi giocavamo per strada, si faceva tardi e la mamma ci richiamava per rientrare a casa.

Pregare è attardarsi con Dio. Per me l’esperienza e l’invito quotidiano della novena di San Michele a cantare i vespri riesce nella misura in cui colgo certamente il gusto di cantare ma anche il vedervi attardarvi, cioè scambiare uno sguardo, inginocchiarsi davanti al Santissimo, salutare una persona, chiacchierare un poco, vuol dire che è tutto è diventato preghiera e che attraverso la preghiera noi abbiamo riscoperto la bellezza di esser vivi, di esserci per le persone a cui vogliamo bene. Sarà bello attardarci con uno sguardo, come anche dirci una parola sul sagrato o attardarci nel passeggiare per le navate della basilica. Quando noi riprendiamo il gusto di fare tardi con Dio e cioè di saltare gli schemi, di renderci conto che è passato più del tempo che avevamo previsto allora siamo ancora innamorati, non contiamo i minuti, non ci facciamo prendere dall’ansia di dover far quadrare la giornata gli impegni perché il piacere di stare sotto lo sguardo di Dio e dell’Arcangelo San Michele, di cantare i salmi, ci fa stare talmente in pace, ci rimette talmente in sintonia che si fa tardi si fa tardi.

Non recitiamo i vespri ma li cantiamo e quindi il canto aiuta a pregare meglio, aiuta a sedimentare meglio le parole, proprio perché il vespro è solenne dura tutto il tempo che deve durare e la preghiera ha il suo effetto, perché stare altrove a recitarlo in dieci minuti non permette all’anima di carburare. Alla fine ci accorgiamo che tutto è preghiera. Siamo entrati a pregare, abbiamo rinunciato ad altre occupazioni, ci siamo attardati con tutto il tempo che piacevolmente abbiamo speso e poi ci accorgiamo che tutto canta, tutto è lode, tutto è preghiera, tutto è un cantico di lode. La mia preghiera vocale ha risvegliato la preghiera che è in me. Questo è il grande dono del metterci a pregare, noi cominciamo poi ci accorgiamo che sorge da noi la preghiera dello Spirito Santo e che questa preghiera è di tutta la creazione, è delle colonne della basilica, e degli ori, è del pavimento, è del crocifisso, è di tutta la comunità.

Cogliamo il cantico di lode che sorge dalla creazione che Kafka esprime in queste poche righe: “Non è necessario che tu esca di casa, rimani al tavolo e ascolta. Non ascoltare neppure, aspetta soltanto. Non aspettare neppure, resta in perfetto silenzio e solitudine, il mondo ti si offrirà per essere smascherato. Non può farne a meno, estasiato si torcerà davanti a te”.

L’effetto della preghiera è che cade la maschera del mondo e noi lo guardiamo in tutta la sua essenza. Il mondo estasiato si torcerà davanti a te, come quando uno viene finalmente notato, messo a fuoco e spero che il canto del vespro di sera in sera contribuisca in ciascuno di noi a sperimentare dentro l’esperienza contemplativa che tutto è lode, tutto canta, tutto è preghiera alla gloria di Dio. Basta soltanto dedicare tutto il tempo, attardarsi, perder tempo, rinunciare ad altro e tutto confluirà verso questa preghiera corale di cui la creazione è protagonista e che molte volte ci sfugge, ma che in determinati tempi si svela davanti a noi».

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