Piano di Sorrento, protesta per i lavori e viene minacciato: condannato imprenditore edile

Piano di Sorrento, protesta per i lavori e viene minacciato: condannato imprenditore edile. Ce ne parla Dario Sautto in un articolo dell’edizione odierna del quotidiano Il Mattino.

Un intero condominio ostaggio di lavori rumorosi e che facevano tremare un edificio storico, perché gli imprenditori vantavano parentele nel clan D’Alessandro. Per quei lavori in corso in via Bagnulo, una stradina di Piano di Sorrento, erano nate discussioni tra residenti e imprenditori edili, i quali si erano fatti sentire, facendo leva su parentele «pesanti» nella camorra stabiese. Ieri pomeriggio, il tribunale di Torre Annunziata ha condannato un imprenditore edile sorrentino originario di Castellammare e un residente di quel palazzo per violenza privata, reato aggravato dal metodo mafioso. Dovranno scontare un anno e mezzo di reclusione F. D.I e un anno (con pena sospesa in caso di pubblicazione della sentenza A.C., entrambi incensurati e residenti tra Sorrento e Piano. Il primo è un imprenditore edile, l’altro un vicino di casa di un magistrato in pensione. A lui in particolare era stata rivolta una frase che somigliava molto a una minaccia di camorra: «Quelli sono capaci anche di venire a sparare qua. Meglio evitare l’accesso agli atti al Comune». Una frase ribadita anche durante la testimonianza al pm Giuseppe Cimmarotta dell’allora magistrato in servizio a Santa Maria Capua Vetere, nel frattempo in quiescenza.

LA VICENDA In pratica, l’ex giudice ha raccontato di essersi lamentato di quei lavori per la costruzione di un edificio in Penisola Sorrentina. La movimentazione di terra, con camion e altri mezzi, aveva disturbato non poco il sonno dei residenti della zona, che avevano chiesto più attenzione e l’utilizzo di altre strumentazioni, per evitare eventuali danni strutturali. In quel palazzo del Settecento vivono diversi professionisti e proprio il magistrato decise di chiedere accesso agli atti per ottenere le autorizzazioni e di denunciare subito i fatti. Era il 2009, quando la discussione tra le parti sarebbe degenerata a tal punto da spingere D.I. a far leva su pesanti parentele tra le fila della camorra stabiese. Secondo l’accusa, lo aveva fatto tramite Cannavacciuolo, che aveva riferito quella strana frase al magistrato. «Da lui non me lo aspettavo – disse il giudice testimone . perché è un brav’uomo». Quei parenti vicini al clan D’Alessandro – ha ricostruito l’Antimafia – erano i cugini di D.I., anche loro imprenditori edili, più volte coinvolti (e scagionati) in inchieste sulla camorra, anche a Salerno, inizialmente finiti a processo, la cui posizione è stata stralciata per sopraggiunta prescrizione dei reati. Ieri l’ultimo capitolo del processo di primo grado, con le due condanne.

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