Dopo Reithera stop anche a Takis: il vaccino «italiano» funziona, ma la ricerca è senza fondi

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Dopo Reithera stop anche a Takis: il vaccino «italiano» funziona, ma la ricerca è senza fondi. Ce ne parla Gigi Di Fiore in un articolo dell’edizione odierna del quotidiano Il Mattino.

Hanno avuto primi risultati positivi, ma le sperimentazioni dei due vaccini tutti italiani sono a un bivio. Fermo il vaccino Reithera per lo stop ai finanziamenti pubblici disposto dalla Corte dei conti, per il Takis su cui è coinvolto anche l’Istituto Pascale di Napoli è invece tempo di primi bilanci e sospensione obbligata. L’Italia, per ora, mentre la campagna di vaccinazione va avanti, resta senza vaccini prodotti in proprio.

IL TAKIS Finita la prima fase, le sperimentazioni hanno avuto buoni risultati: la risposta immunitaria e di anticorpi è stata positiva sul 90 per cento dei volontari. Ma spiega Lucio Rovati, presidente e direttore scientifico dell’azienda biotech Rottapharm: «La fase due, che ha bisogno di centinaia e centinaia di volontari, per ora non può essere avviata perché la popolazione italiana è in gran parte immunizzata».
Era il giugno del 2020, quando le aziende Takis di Castel Romano e Rottapharm di Monza annunciano l’accordo di collaborazione per produrre un vaccino italiano. La sperimentazione è affidata a più strutture: l’Istituto Pascale di Napoli, l’ospedale San Gerardo di Monza con l’Università Bicocca di Milano, l’Istituto Spallanzani di Roma e il Centro ricerche cliniche di Verona. Lo scorso aprile, si parte con il volontario zero proprio al Pascale. È un 26enne informatico napoletano, precede 80 volontari tra i 18 e i 60 anni, che si fanno vaccinare con il Takis. A loro ne seguono altri 240. Spiega il professore Paolo Ascierto, ricercatore e direttore dell’unità di Oncologia medica e terapie innovative al Pascale: «Siamo molto soddisfatti dagli esiti della sperimentazione della fase uno, che ha dimostrato l’importante effetto di stimolazione dell’immunità cellulare sui volontari. Aumentano non solo gli anticorpi, ma anche i globuli bianchi con una reazione all’infezione virale che lascia memoria sull’azione del virus».
La difficoltà per proseguire è trovare un alto numero di volontari per la fase successiva, con gran parte della popolazione italiana vaccinata o immune per effetto della guarigione dal Covid. Ma, su questo vaccino, che utilizza un Dna realizzato in laboratorio e quindi flessibile e adattabile ai mutamenti del virus, per ora la sperimentazione deve fermarsi. Aggiunge il professore Ascierto: «Soprattutto la fase tre richiede alta copertura finanziaria, ma il problema è l’attendibilità del prosieguo di una sperimentazione con condizioni generali di immunizzazione differenti da quando abbiamo iniziato». E aggiunge: «Abbiamo raggiunto comunque un risultato da utilizzare sulla ricerca per un vaccino contro il melanoma, che era l’obiettivo del nostro lavoro prima del Covid. La sequenza antigenica individuata può essere utilizzata proprio per sviluppare il progetto dei vaccini sul melanoma».

REITHERA È diversa, invece, la situazione sulla sperimentazione avviata da Reithera, altra azienda biotech di Castel Romano, che doveva ricevere finanziamenti da Invitalia, per un accordo che coinvolgeva anche il ministero dello Sviluppo economico. Terminata la fase uno, è arrivato dalla Corte dei conti lo stop al finanziamento di 50 milioni di cui 41 a fondo perduto. Uno stop arrivato in piena fase due avviata con sperimentazioni su 900 volontari in 26 centri italiani e uno in Germania. La fase uno, su 90 volontari divisi in due gruppi di diverse fasce d’età, si era conclusa con risultati incoraggianti. C’era già il nome commerciale del vaccino futuro: Grad-Cov2. Un progetto su cui l’azienda ha investo finora 12 milioni di euro. Un vaccino che, come Pfizer e Moderna, interviene sul Rna del virus. Il Takis, invece, utilizza un Dna ottenuto in laboratorio, mentre Astra Zeneca sfrutta il Dna di scimpanzè.
Lo stop della Corte dei conti nasce da rilievi sui 7,7 milioni impegnati dalla Reithera per acquistare una sede operativa. Somma ritenuta insufficiente a raggiungere i 10 milioni di euro giudicati il minimo per un investimento produttivo. È il momentaneo stop per la sperimentazione di entrambi i vaccini made in Italy, nonostante la prima fase abbia dato risposte positive con percentuali di immunizzazioni al 90 per cento. Per ora, la campagna vaccinale deve proseguire affidandosi ai vaccini stranieri, prodotti in poco tempo. Ma hanno avuto a disposizione altre ricerche in corso, solide aziende farmaceutiche e finanziamenti governativi.

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