Positano premia Milva: «La memoria diventa vita»

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Positano premia Milva: «La memoria diventa vita». Riportiamo di seguito l’articolo realizzato da Federico Vacalebre pubblicato nell’edizione odierna del quotidiano Il Mattino.

È una serata di assenze, quella che apre il «Positano festival» alle 20.45 nella piazza dei Racconti. L’assenza di Gerardo D’Andrea, che questo piccolo festival inventò, diresse e difese fino a disegnare quest’edizione prima della sua morte il 2 giugno scorso; l’assenza di Milva, a cui è dedicato «La rossa», lo spettacolo inaugurale su testi di Gianmarco Cesario con le voci di Antonella Morea e Martina Carpi, accompagnate da Vittorio Cataldi (piano, fisarmonica e violino), da Luigi Fiscale (contrabbasso), da Franco Ponzo (chitarra) e Gianluca Mirra (batteria); l’assenza di Martina Corgnati che doveva ritirare il Premio Annibale Ruccello attribuito in memoria alla madre, ma è stata impossibilitata da una dolorosissima patologia articolare.

Mamma sarebbe stata felice di questo premio, Martina.
«Credo proprio di sì. Avrebbe goduto del fascino di Positano che tanto amava, dell’entusiasmo di Gerardo D’Andrea che era evidente nell’invito rivoltomi, del sapersi parte di una comunità controcorrente, innamorata della grande bellezza».

Milva (Goro, 17 luglio 1939 Milano, 23 aprile 2021) amava questa terra e la sua cultura.
«È vero, tra gli anni Ottanta e Novanta aveva scelto Capri per le sue vacanze e ne approfittava sempre per rivedere anche la costiera, Sorrento, Pompei… Si sentiva a casa in un luogo d’arte, di storia e cultura. E, poi, amava la canzone napoletana».

A cui dedicò, nel 1997, uno splendido album, «La mia Napoli».
«Ci teneva molto, aveva scelto il repertorio, il tipo di arrangiamenti che voleva, si era sentita felice nel registrare quel disco nel cuore dell’antica Partenope. Ma la sua passione partenopea veniva di lontano».

Certo. Nel 1961 partecipò, in tandem con Mario Trevi, al «Giugno della canzone napoletana» con «Mare verde», scritto per lei da Giuseppe Marotta e Salvatore Mazzocco; si classificò seconda, alle spalle di se stessa: aveva vinto con «Credere», divisa con Nunzio Gallo.
«Mio padre, Maurizio Corgnati, regista televisivo e cinematografico, documentarista, negli anni Sessanta era punto di riferimento di mamma anche nella costruzione del repertorio, volle dare una inedita corposità culturale a quella voce straordinaria. Lui amava la canzone popolare, ed era convinto che all’apice di quell’arte ci fosse la canzone napoletana, soprattutto nella versione di Roberto Murolo. Ricordo e conservo ancora l’antologia Napoletana che mi regalò».

L’Italia fa più cerimonie agli artisti da morti che da vivi. Com’è stata trattata la Rossa?
«Negli ultimi anni, prigioniera della malattia che l’avrebbe portata via, si sentiva non dico dimenticata, ma isolata, è anche naturale che se non ti fai vedere o sentire tu non sia più al centro dell’agenda culturale, artistica, massmediatica. Fu felice, lo avvertii distintamente, di quel premio alla carriera che andai a ritirare per lei al Sanremo del 2018. Accettai proprio per la soddisfazione che le avrebbe dato sapersi ancor amata, per l’applauso di un Festival che l’aveva vista così tante volte protagonista».

E ora? Il ricordo è vivo come merita?
«Mi sembra di sì, anche se io non ho ancora iniziato a mettere in campo alcune operazioni che credo giuste, oltre che importanti. Intanto, tanti, come a Positano, si ricordano di lei, del suo magistero, dei suoi dischi, delle sue interpretazioni teatrali, del suo Brecht, del suo Piazzolla, del suo Battiato, della sua Napoli… Lei è stata al centro di tante storie importanti, ha messo la sua ugola al servizio di parole e note d’eccezione, è bene rammentarlo, raccontarlo ai giovani».

Come? In che direzioni andranno le sue operazioni?
«Ci sono tante direzioni possibili, come tanti sono stati i rivoli della sua arte. Io vorrei sottolineare la sua italianità: artista internazionale, amata in Germania, di casa in Francia, più di venti volte in tour in Giappone, amava la sua terra con orgoglio. Sentiamoci tra un mese e ne parliamo».

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