Vico Equense: «Minacciato di morte a 12 anni lanciai la bomba»

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Vico Equense: «Minacciato di morte a 12 anni lanciai la bomba». Ce ne parla Dario Sautto in un articolo dell’edizione odierna del quotidiano Il Mattino.

«Dal tablet mi fece vedere un video su YouTube di gente che lanciava bottiglie incendiarie. Mi chiese se lo potevo fare pure io, mi promise 150 euro». Così Michele Ferraro, 38enne rampollo di una famiglia di costruttori di Vico Equense, ingaggiò un ragazzino di appena 12 anni per fare «dispetti» ad aziende rivali. Ieri mattina Giovanni nome di fantasia ha offerto la sua testimonianza shock ai giudici del tribunale di Torre Annunziata (presidente di collegio Riccardo Sena, a latere Gabriella Ambrosino ed Enrico Contieri) rispondendo alle domande del pm Emilio Prisco.

GLI EPISODI Prima Giovanni fu obbligato a lanciare una testa di maiale in un parcheggio, poi una bottiglia incendiaria verso l’auto di un imprenditore che stava lavorando alla ristrutturazione di un b&b senza dirlo a Ferraro, secondo l’accusa. «Michele mi chiese di incendiare anche il cantiere ha raccontato Giovanni ma decisi di non farlo. Avevo paura di dare fuoco a tutto il palazzo». Tra tanti «non ricordo» e molte risposte tipiche di un teenager, il ragazzino ha confermato tutte le accuse mosse la sera dopo il raid incendiario. Era il 25 ottobre scorso, quando andò in fiamme l’auto di un imprenditore edile di Sant’Andrea, a Vico Equense. Le telecamere ripresero quel ragazzino che prima accompagnava a casa il fratellino e il cane, poi tornava con una busta dalla quale lanciò una molotov. La sera dopo, i carabinieri della stazione di Vico Equense erano già a casa sua: lui consegnò il restante liquido infiammabile che aveva ancora a casa e spiegò chi era il mandante del raid. La sua posizione da indagato fu immediatamente archiviata dalla Procura per i Minorenni di Napoli: appena 12enne, non era ancora imputabile. Ma può testimoniare. E lo ha fatto ieri, mentre la mamma attendeva fuori dall’aula perché a sua volta testimone, mentre in aula c’erano gli avvocati Massimo Sartore e Salvatore Pinto.

LE CHAT «Non sapevo il motivo, capivo che non era normale. Ma lui mi intimava in maniera aggressiva di farlo ha aggiunto Giovanni e mi disse che mi avrebbe fatto sparare e sotterrare da qualche parte. Così tornai a casa e poi andai a lanciare la bottiglia. Il giorno dopo mi disse che non dovevo fare il suo nome se qualcuno me lo chiedeva. Invece, quando vennero i carabinieri lo dissi subito». Giovanni ha continuato a frequentare la casa di Ferraro, finché il 38enne non decise di cacciarlo via e di intimargli di non farsi più vedere. Quella stessa sera la mamma denunciò la presenza di due individui in scooter che parlavano del figlio e che lo cercavano. Ieri in aula sono stati ascoltati anche i carabinieri che hanno effettuato le indagini ed hanno acquisito alcune chat tra Giovanni e la moglie di Ferraro. Alcune frasi, scritte su WhatsApp due giorni prima dei raid, vengono considerate di interesse: «Devi venire per la porchetta. Sali un attimo. Sali e parla poco». Giovanni ha confermato che «quel telefonino era usato sia da Michele Ferraro che dalla moglie».

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