Olimpiadi: paura del Covid a Tokyo, lo stop non è più un tabù

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Olimpiadi: paura del Covid a Tokyo, lo stop non è più un tabù. Ce ne parla Gianluca Cordella in un articolo dell’edizione odierna del quotidiano Il Mattino. 

Nonostante i 36 gradi che ieri hanno causato non pochi problemi ai giocatori del beach volley, costretti a interrompere gli allenamenti per la sabbia troppo rovente, sulle Olimpiadi di Giappone cala il gelo. Effetto diretto delle parole di Toshiro Muto, presidente del Comitato organizzatore di Tokyo 2020. Che, a una precisa domanda sulla possibilità di fermare la macchina dei Giochi in caso di picchi di contagi da Covid, ha risposto così: «Non possiamo prevedere cosa accadrà con il numero di casi di coronavirus. Continueremo le discussioni, se ci fosse un picco». Dichiarazione abbastanza ovvia, ma che sia uscita dalla bocca di chi invece dovrebbe metterci la mano sul fuoco sull’inizio e poi sulla corretta conclusione delle Olimpiadi, assume ben altri toni allarmistici. «Abbiamo fatto un meeting a cinque l’altro giorno e abbiamo detto che continueremo a monitorare la situazione. Se i contagi dovessero aumentare ancora dovremmo consultarci nuovamente – ha spiegato Muto a tre giorni dalla cerimonia di apertura -. A questo punto, i casi di coronavirus possono aumentare o diminuire, quindi penseremo a cosa dovremmo fare quando si presenterà la situazione». Peccato che nella stessa giornata, parlando all’apertura dei lavori della 138/a sessione del Cio, il presidente Thomas Bach fosse entrato con decisione sull’argomento.
«Il Cio non abbandona mai gli atleti, la cancellazione di Tokyo 2020 non è mai stata un’opzione», ha detto senza mezze misure. E, di fatto, arrivati a questo punto la cancellazione che aleggia sullo sfondo delle parole di Muto appare abbastanza improbabile. Il che fa pensare più a un’uscita di quelle poco felici che, fra le altre cose, hanno caratterizzato in serie questo avvicinamento del Giappone ai Giochi di casa.

LO SCENARIO Certo di base c’è una situazione che rosea non è. I contagi tra atleti e lavoratori di vario tipo legati alle Olimpiadi ormai sfiorano la settantina (siamo a quota 67). Ieri si sono aggiunti il coach del beach volley della Repubblica Ceca, due giocatori di baseball messicani (e ora il resto della squadra è in isolamento) e Fernanda Aguirre, cilena del taekwondo. E mentre si teme l’esplodere di un focolaio a cinque cerchi, con tanto di paventata nascita di una variante olimpica del virus, l’opinione pubblica contraria continua a mobilitarsi. Accademici, giornalisti e scrittori ieri hanno consegnato al Governo metropolitano della città una petizione con 140 mila firme per chiedere la cancellazione dell’evento. «E’ assurdo andare avanti con i Giochi in queste circostanze, di fronte alla diffusione del Coronavirus e ad altri problemi», ha detto Chizuko Ueno, sociologo giapponese, tra i promotori della raccolta firme. Il partito dei contrari è trasversale e c’è anche qualche atleta che sposa lo scetticismo, come Maya Yoshida, capitano del Giappone del calcio e difensore della Sampdoria. «Credo che tanti soldi delle nostre tasse siano serviti a finanziare queste Olimpiadi ha detto – ma le persone non potranno andare a seguirle dal vivo e allora mi chiedo a cosa servano». L’ha toccata piano.

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