Picchiati e torturati in carcere perchè protestavano per il rischio Covid, 99 poliziotti accusati in Campania

Picchiati e torturati in carcere perchè protestavano per il rischio Covid, 99 poliziotti accusati in Campania . Lascia allibiti la cronaca della collega Mary Liguori del Mattino di Napoli
Colpiti con i manganelli, presi a testate con i caschi, insultati, coperti di sputi e di minacce. Poi indicati come autori di una protesta violenta, loro che quel pomeriggio si erano limitati a chiedere maggiori garanzie anticovid battendo con i mestoli contro le inferriate delle celle mentre in altre carceri d’Italia scoppiava l’inferno. E, ancora, calunniati. Ché, quando nei giorni successivi la rivolta e i pestaggi la tensione mediatica salì alle stelle, la polizia penitenziaria divulgò informazioni su presunti ritrovamenti nelle celle di oggetti atti ad offendere e olio bollente. Ma era tutto falso. Era la pezza che ha finito per allargare il buco anziché coprirlo. I 99 indagati per la rappresaglia punitiva nel penitenziario di Santa Maria Capua Vetere rispondono a vario titolo di tortura e maltrattamenti, calunnia e di una lunghissima serie di falsi e depistaggi. Le contestazioni riassumono il maldestro tentativo di orientare i media dopo i primi, sinistri, racconti dei detenuti picchiati nella notte più lunga che il carcere casertano abbia mai vissuto. Duecentonovantadue carcerati che per quattro ore persero ogni diritto, la dignità e, alcuni di loro, anche la speranza di uscire sulle proprie gambe dal reparto Nilo. Furono tirati fuori dalle celle, costretti a passare attraverso un corridoio umano di agenti che picchiavano sulle loro teste e sulle loro mani con i manganelli. Non fu una perquisizione quella del 6 aprile del 2020. Fu una rappresaglia, un’azione dimostrativa con la quale chi in quel momento rappresentava il Dap in Campania intese mandare un messaggio chiaro alla popolazione carceraria del penitenziario sammaritano e «dare soddisfazione» agli agenti di polizia penitenziaria.
PROVVEDITORE INTERDETTO
Per questo il provveditore Antonio Fullone è stato interdetto dalle sue funzioni. La Procura di Santa Maria Capua Vetere lo accusa di essere il «regista» delle violenze e dei depistaggi che ne seguirono e per tale ragione ne aveva chiesto l’arresto, ma il gip Sergio Enea ha ritenuto che la misura interdittiva fosse sufficiente. «Riprendiamoci il carcere, è il minimo che possiamo fare». Sono le frasi che, secondo gli inquirenti, diedero il via ai pestaggi che il gip definisce in ordinanza «un’orribile mattanza». A dire il vero per quei fatti non ci furono morti, o meglio ce ne fu uno. Akimi Lamine fu messo in isolamento insieme ad altri 14 senza l’autorizzazione del direttore del carcere e nessun nulla osta medico benché fosse schizofrenico, un giovane algerino morì dopo avere ingerito degli oppiacei. Per il gip fu un suicidio, per la Procura morte a seguito di altri reati, nel caso di specie la tortura e i maltrattamenti. Resta da comprendere come l’uomo si procurò le droghe che, ingoiate, ne causarono il decesso.
I NUMERI DELL’INCHIESTA
Il gip ha mandato in carcere 8 agenti della penitenziaria, in 18 sono invece finiti ai domiciliari, tra loro i comandanti dei nuclei di Santa Maria Capua Vetere, Avellino e Secondigliano, Gaetano Manganelli, Pasquale Colucci e Tiziana Perillo. Tre gli obblighi di dimora e 23 le misure interdittive, inclusa quella emessa per Fullone. Sono numeri imponenti, ma solo parziali. Gli agenti che presero parte alle violenze furono in tutto 283, membri del cosiddetto «Gruppo supporto interventi» alle dirette dipendenze del provveditore, ma solo una novantina sono stati identificati. Si tratta di quelli in servizio all’Uccella che è stato possibile individuare attraverso le testimonianze dei detenuti, e i video della sorveglianza interna dell’istituto, oggetto delle 80 istruttorie dei pm Daniela Pannone e Maria Alessandra Pinto, coordinati dal procuratore Maria Antonietta Troncone e dall’aggiunto Alessandro Milita. Tutti gli altri, provenienti da Secondigliano e Avellino, erano in tenuta antisommossa e quindi indossavano caschi o mefisti.
LE REAZIONI
«Chi sbaglia paga, soprattutto in divisa, ma fare retate come per la camorra non è quello di cui l’Italia ha bisogno». Il commento di Matteo Salvini. Per Mario Perantoni, presidente della commissione giustizia alla Camera «le dichiarazioni del leader della Lega sono irresponsabili a annunciano il caos nei penitenziari in quanto i fatti contestati sono gravi ed è pericoloso usare la vicenda per fini propagandistici anche nel rispetto della polizia penitenziaria che svolge ruolo importantissimo». In una nota, il ministero della giustizia retto da Marta Cartabia ha espresso «preoccupazione» per la vicenda e «rinnovata fiducia nella polizia penitenziaria, in attesa degli accertamenti». Gennaro Migliore di Italia Viva ha infine espresso dubbi «Sulle misure cautelari a 14 mesi dai fatti». Dall’associazione Antigone, infine, l’invito a fare «piena luce» sui fatti.

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