L’amore del matematico Renato Caccioppoli per la città di Amalfi

Il giornalista Domenico Della Monica scrive un bellissimo articolo su “La Città” raccontando dell’amore di Renato Caccioppoli per la città di Amalfi: «Per quasi trent’anni fu un protagonista della scena culturale napoletana e della cultura matematica internazionale. Poi, un venerdì di maggio del 1959, dopo aver riempito alcuni fogli di equazioni, si tolse la vita. Un suicidio lucido e ragionato come le formule lasciate sullo scrittoio, un gesto che turbò la comunità scientifica e non solo.

Renato Caccioppoli, nato a Napoli nel 1904 da Giuseppe, celebre chirurgo e da Sofia Bakunin, figlia dell’anarchico russo Michail Bakunin, deve forse a questa ascendenza il costante interesse per la questione sociale che lo porterà, nel 1948, a unirsi agli operai durante l’occupazione delle Officine Meccaniche e Fonderie.

Dal nonno materno eredita anche una certa insofferenza per l’ordine e l’autorità. Benché militi di fatto nelle file del partito comunista, non ne prende mai la tessera. Renato, istintivamente uomo di sinistra, ha molte riserve sul Pci, come del resto ha riserve su tutto e su tutti. La sua militanza politica è molto intensa nel periodo 1950-1956, prima del XX congresso del Pcus e della denuncia dei crimini di Stalin. Tiene applauditi comizi nelle piazze di Napoli, e l’impegno nel movimento della pace lo porta anche all’estero, sempre accompagnato dalla minaccia di ritiro del passaporto da parte della polizia di Scelba.

Intorno a lui si raccoglie in quegli anni un gruppo di giovani intellettuali che formano un’isola a parte nell’arcipelago del comunismo napoletano. Quando, in seguito ad un episodio, interviene la polizia e Renato è arrestato, ai fascisti che, scortandolo al commissariato, promettono di prenderlo a calci, risponde: «Naturalmente, i calci sono l’arma degli asini». Per reati del genere, all’epoca, c’è il tribunale speciale. Ma la famiglia del matematico interviene: la madre, Sofia Bakunin, d’accordo con la sorella Maria, professoressa di chimica all’Università e terrore degli studenti napoletani, fa passare Renato per pazzo, ne ottiene il ricovero in una clinica per malati mentali di Capodimonte. La leggenda della pazzia, che Renato si porterà dietro per il resto della sua vita (e nella drammatica morte) nasce qui, in questo ricovero strumentale che però gli imprime una specie di marchio indelebile, della cui responsabilità Caccioppoli farà sempre carico ai suoi familiari.

Ma torniamo alla notte brava del Lowenbrau. Anche Sara viene arrestata in quella occasione, e Renato sente verso di lei come un debito, un dovere di risarcimento che non è l’ultima ragione del loro matrimonio. Si sposeranno il 29 giugno del 1939. Subito dopo fanno tappa ad Amalfi. Renato c’era stato più volte con Andrè Gide, nel 1937: entrambi amavano molto l’antica repubblica marinara, e Renato la definiva semplicemente sublime, un posto estremo, il suo posto dell’anima.

Caccioppoli amava di Amalfi il suo essere città-teatro, dove ovunque gli veniva voglia di farsi prestare una sedia e sedersi a guardare, amava quell’aria di volubile invenzione e improvvisazione scenica che sentiva circolare ovunque. L’unione con Sara non durerà a lungo: lascerà Renato per Mario Alicata e si trasferirà con quest’ultimo a Roma. Caccioppoli non si riprenderà mai del tutto dal trauma di questo abbandono, conservando per Sara la più devastante delle nostalgie: quella sessuale. E ricorderà talvolta agli amici quella notte d’estate, durante una villeggiatura ad Amalfi, quando svegliati dal temporale Renato scende giù al piano terra dell’albergo, seguito da Sara. Si mette a suonare la Danse Macabre di Saint-Saens: gli ospiti dell’albergo si affacciano sulla porta delle loro camere, ma nessuno osa fiatare, tale è la suggestione di quelle note, a cui lampi e tuoni fanno da contrappunto. Renato non dimenticherà mai più il volto di Sara rigato di lacrime».

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