“Fondazione Ravello , con la cultura sviluppo e benessere per il Sud Italia”, l’intervista ad Antonio Scurati sul Mattino

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“Fondazione Ravello , con la cultura sviluppo e benessere per il Sud Italia”, l’intervista ad Antonio Scurati sul Mattino a firma di Titti Marrone fa ben sperare per la “visione” che ha il neo presidente su questa importante realtà della costa d’ Amalfi, sicuramente dal punto di vista culturale una delle più importanti non solo della Campania , ma d’ Europa. Scurati, che vive Ravello, conosce bene sia la struttura che i meccanismi che la muovono, per cui potrebbe davvero far bene. Fra le tante interviste questa di Titti Marrone, che a sua volta è una delle migliori giornaliste per il settore, la riproponiamo e condividiamo in tutti i sensi, rispecchia in pieno anche l’idea che Positanonews ha sempre avuto sulla “mission” della Fondazione.

 

«Con Ravello ho un legame di origine che risale all’infanzia: vi ho trascorso tutte le estati della mia vita. Per me è il luogo del nostos, del ritorno». Dice così Antonio Scurati, appena insignito della nomina a presidente della Fondazione Ravello che mette fine al commissariamento. E si spera a veleni, scontri politici e tra istituzioni, veti incrociati, nomine annunciate e disdette. Negli ultimi anni il «Ravello festival» è stato questo, e anche un paradigma dell’incapacità di far fruttare una risorsa del nostro Sud, unica al mondo. Ora tocca allo scrittore, legatissimo al borgo di Torello che ha eletto a suo buen retiro, e cittadino onorario ravellese dal 2019, l’anno della vittoria al premio Strega con M.
Con quale progetto si insedia?
«Non condivido questa visione del Ravello Festival. Io vedo, allargando lo sguardo, una brillante intuizione di un ravellese che nel dopoguerra inventa una tradizione musicale sulla base di un solo pomeriggio di Wagner a Ravello, poi una seconda nascita all’inizio del nuovo secolo con la creazione da parte di Domenico De Masi del festival multidisciplinare e l’avveniristico progetto dell’Auditorium donato dal grande Oscar Niemeyer, quindi, di recente, un breve periodo di stagnazione e declino (penso soprattutto alle penose condizioni dell’auditorium). Io, se guardo a Ravello, vedo un esempio luminoso dell’enorme potenziale di sviluppo del nostro Sud. A me pare, insomma, una storia bellissima, in buona parte ancora da scrivere».
Pensa a un festival «destagionalizzato», che duri tutto l’anno, o a un ritorno alle origini con pochi eventi selezionati?
«La nostra ambizione è più vasta, lo sguardo deve essere più ampio. La Fondazione Ravello non deve limitarsi a rilanciare il festival. Io, con il concorso di tutti, a cominciare dagli stessi ravellesi, miro a realizzare tutti i fini statutari della fondazione, soprattutto quelli che sono stati trascurati: tutelare e valorizzare, anche in termini economici, i beni di interesse storico e artistico del territorio, renderli pienamente fruibili al pubblico, e fra questi beni includo anche quelli ambientali e paesaggistici, vale a dire l’intero territorio, con le sue tradizioni materiali e immateriali che si vanno perdendo, con la sua storia, la sua identità, la sua vita autoctona. Si tratta di dimostrare come la cultura, intesa nell’accezione più ampia, possa e debba essere motore di sviluppo e fonte di benessere, non solo di ricchezza, per un intero popolo. Quello di Ravello e della costiera amalfitana, del Sud e dell’Italia tutta».
Quale utilizzo ci sarà per l’auditorium di Niemeyer, che necessita di ristrutturazione? E Villa Episcopio potrà essere coinvolta?
«L’auditorium Niemeyer è stato un sogno, il sogno di aggiungere bellezza moderna alla bellezza naturale e storica. Un sogno trasformatosi in incubo. È tempo di tornare a sognarlo come era stato progettato dal grande brasiliano. Dovrà essere il perno del processo di destagionalizzazione anche allargando l’offerta a un turismo legato al mondo dell’impresa. Villa Episcopio dovrà essere certamente coinvolta: penso a un innovativo spazio espositivo di storia locale che parli al mondo perché la storia di Ravello, della costiera, di Capri è la storia del mondo che in questi luoghi ha trovato il proprio ideale di bellezza e benessere. Poi un centro studi sul Sud e per il Sud».
I fondi stanziati saranno sufficienti, e di quale provenienza?
«Al momento i fondi provengono prevalentemente dalla Regione Campania. Dovremo fare ogni sforzo per far tornare anche gli investimenti privati come negli anni della rinascita quando io, ancora giovane, collaborai al progetto del festival multidisciplinare dirigendo la sezione di riflessione culturale».
E torniamo al festival che conosce bene per avervi appunto collaborato fin dagli inizi del 2000 su invito di De Masi. Perché uno scrittore, sia pure grande come lei, dovrebbe riuscire dove hanno fallito, su fronti differenti, nomi diversi ma impegnativi?
«Anche a questo proposito, io la vedo diversamente, non in termini di fallimenti ma di obbiettivi solo parzialmente raggiunti. Il festival di De Masi aveva la giusta ambizione di trasformare Ravello in una sorta di Salisburgo del Sud, realizzando una manifestazione artistica quasi permanente che non si limitasse ad accompagnare, seppure gradevolmente, la stagione turistica, ma attirasse a Ravello un pubblico di amanti della musica, dell’arte, del cinema, della letteratura etc. Ecco il nostro obiettivo. La pandemia di Covid segna la fine del turismo di massa, di quel fenomeno di eccesso della domanda, con il caratteristico modello mordi e fuggi, che impoverisce umanamente i territori invece di arricchirli. Ravello è perfetto per proporsi come esperimento pilota di un nuovo turismo imperniato su sostenibilità, equità, sicurezza e bellezza. Non i pochi che si arricchiscono a danno dei molti, ma un’esperienza di benessere condiviso da tutti: turisti, villeggianti e residenti. L’Italia è stata famosa nel mondo per la bella vita. Ora dovrà esserlo per la buona vita».

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