Sorrento, Eugenio Lorenzano ricorda Raffaele Marciano, l’ultimo dei bottai

Sorrento. Eugenio Lorenzano dedica un commosso e partecipato ricordo del maestro bottaio Raffaele Marciano, scomparso nella giornata di ieri. Ecco le sue parole che riportiamo integralmente.

Le favole hanno sempre un lieto fine, ma quella di Raffaele Marciano ha un finale agrodolce. Si può morire a 90 anni soddisfatti a metà? Sembrerebbe di si nel caso di Maestro Raffaele Marciano, classe 1930 che ci ha lasciati pochi giorni fa. Figlio e nipote d’arte Maestro Raffaele ha lavorato come bottaio artigianale per circa 75 anni, iniziando presso la bottega del padre Maestro Pasquale. Mi rivelò che nella bottega del padre venivano prodotte anche 200 botti all’anno. La sua bottega artigianale, un vero museo vivente, era (ed è) situata a Sorrento sul Corso Italia ad angolo con via Rota nel quartiere di “Sotto o’ monte” all’ingresso di Sorrento provenendo da Sant’Agnello. Nonostante la veneranda età, sino a pochissimi mesi fa Maestro Marciano si recava quotidianamente nella sua bottega per produrre le sue botti ed affini. Dopo una vita dedicata soprattutto alla produzione di botti medie e grandi, nella tradizione contadina ed enologica della costa sorrentina, il bottaio ha dedicato gli ultimi lustri della sua vita a produrre botticelle di dimensioni ridotte, ma anche tini e tinozze più piccoli e barilotti mignòn ma leggermente allungati che tanto colpivano i turisti stranieri dei vicini alberghi che ne compravano spesso alcuni esemplari. Scrissi diversi articoli inerenti Maestro Raffaele, l’ultimo nel 2015, (quindi quando era già 85enne) dove mi confessava di esser scampato ad un infarto qualche lustro prima e che la sua migliore medicina contro la cardiopatia fosse lavorare ed applicarsi nella sua botteguccia storica; non si sentiva affatto vecchio almeno per quel lavoro e non si considerava minimamente un pensionato. Maestro Marciano amava la propria professione ed era doppiamente imprescindibile per la sua esistenza come una questione identitaria e passionaria. Oltre alle botti, barilotti , tini, imbuti lignei per il travaso del mosto ed altro materiale per la vendemmia, il maestro bottaro si era specializzato altresì alla produzione di manici in legno per zappe, vanghe, picconi, falci, asce, martelli, picchette (sciamarelle) e mazzuoli, ovvero tutto l’armamentario tradizionale dei contadini della Costa sorrentina e dei Monti Lattari. Il suo più grande cruccio era quello che al momento della sua morte non avrebbe trasmesso il suo patrimonio cognitivo e non avrebbe lasciato la sua attività a nessuno. Eppure il bottaio sorrentino si era impegnato a fondo per trasmettere la sua esperienza a qualche apprendista. L’ultimo tentativo lo effettuò nel 2014 dove invitò per alcuni mesi di prova un giovane apprendista o almeno aspirante apprendista a lavorare ed osservare il suo lavoro. Purtroppo alcune autorità preposte ai controlli gli diedero seri problemi amministrativi, creando non pochi problemi di sussistenza all’attività del maestro artigiano e soprattutto evitarono, ahinoi, che questa attività artigianale potesse avere un prosieguo grazie ad un aspirante apprendista disponibile ad assorbire i “segreti” ed il know-how (mi si perdoni l’anglicismo) di una tradizione secolare. E’ veramente triste notare che le autorità preposte ed i politici locali non abbiano fatto quasi nulla al fine di agevolare le attività artigianali ed ancor più la loro trasmissione alle giovani generazioni. Qualche volta che mi trovavo di passaggio nella sua stupenda bottega-museo; mi mostrava sempre qualche piccola innovazione che si rifaceva alla tradizione nella sua arte di produttore di botti ed affini. Una volta mi mostrò un tino con un incastro eccezionale tra gli elementi orizzontali e verticali, un’altra volta una botte mignon, un’altra volta ancora un boccale di birra sul modello di quelli dell’Oktoberfest bavarese ma assemblato in legno, così come si faceva ad inizio XIX secolo. Pregevoli le sue tradizionali pale da vendemmia dalla forma bizzarra rettangolare e concave all’interno, tini minuscoli che assomigliavano più a posacenere, torchi che davano quel giusto tocco di mistura tra tradizione ed innovazione, i sempre richiesti barilotti più da arredamento che per la fermentazione e conservazione del vino. La vera maestria ancestrale di Marciano erano le riparazioni che riusciva ad eseguire sulle vecchie botti con una tecnica tradizionale diffusa in zona e particolarissima a base di derivati di zolfo con la quale venivano otturate fessure, fenditure ed eventuali discrepanze di livello tra i listelli del fasciame dei barili. Rimanevo incantato, letteralmente a bocca aperta, nel vedere il bottaio eseguire questo tipo di riparazione. Era tutta un’arte speciale quella di assemblare i cerchi (chirchi in dialetto napoletano) in ferro con i listelli lignei ricurvi. Una delizia ottica osservare la maestria dell’artigiano nell’arte della curvatura dei listelli e del fasciame delle botti. Mi confessava che le botti ed i barili gli procuravano una forma di strano affetto, quasi che fossero sue figlie e suoi figli e che quindi andavano trattati con la massima dolcezza e delicatezza. Mi diceva che essenzialmente aveva utilizzato quasi sempre i due legni più congrui alla sua attività: rovere e castagno; talvolta, raramente aveva anche utilizzato frassino, gelso, ginepro o noce. Si rivolgevano a lui molti contadini delle frazioni collinari dei sei comuni della penisola sorrentina, Marciano era l’ultimo bottaio in zona; chissà adesso a chi si rivolgeranno questi contadini? Sembrava una favola quella di questo maestro bottaio Raffaele Marciano, che attuava imperterrito nella sua tradizionale attività artigianale in questo mondo sfregiato da un’immonda pagliacciata chiamata modernità. Pensando agli ultimi anni di attività di Marciano ci vengono in mente due proverbi inerenti il vino, uno vero: “Botte piccola, vino buono!” ed un altro modificato: “Il bottaio è come il vino, migliora invecchiando!” Grazie Maestro Raffaele per averci fatto sognare un po’!

(foto di Eugenio Lorenzano)

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