Sigismondo Nastri continua il suo racconto su Amalfi sparita: «’A via ‘e coppa e ‘a via ‘e vascio»

Amalfi. Il giornalista Sigismondo Nastri continua il suo racconto sulla città della costiera nei tempi antichi (QUI la prima parte del racconto): «Alla fine del Muro rutto c’era la casa di Nicola ‘o Pàstene e Maria ‘e Titucco. Più avanti l’accesso al fondo di Peppino ‘o Sìnnaco, un personaggio conosciuto per l’abilità di acconciare i traumi prodotti da slogature, distorsioni, lombaggini. In fondo, la strada continuava, sul lato sinistro, con uno stretto vicoletto dove abitavano il dentista Falcone e, al piano superiore, Angelo e donna Chicchina Confalone, e poi, una decina di metri più avanti, Ferdinando e donna Sisina Amatruda. Confalone e Amatruda erano proprietari di rinomate cartiere. L’unica rimasta in attività, grazie all’impegno degli eredi – Luigi Amatruda e, ora, le figlie Teresa e Antonietta – è la cartiera Amatruda, che produce splendida carta a mano, apprezzata in Italia e all’estero.

Sulla destra, dopo l’imponente cancello di Villa Anastasio, inizia la salita per Pontone. C’erano Michele e Mariettella De Riso, Margarita ‘a Sementa, Gigino Balzamo, genero di De Riso.

Villa Anastasio ha appartamenti accessibili dall’esterno. Vi abitavano, ai miei tempi, Romolo Rabesco (Brescia), Biagio Staiano, la mia famiglia e, fino a un certo periodo, mio zio Luigi Rispoli, poi trasferitosi al nord. L’ingresso principale era riservato ai proprietari.

In tempo di guerra, a Villa Anastasio, avevano preso alloggio il professore Mario Lauria, eminente giurista napoletano, con la famiglia, e una principessa russa, sfuggita alla Rivoluzione sovietica. Usciva di sera, sempre vestita di bianco. A me, bambino, incuteva terrore: la identificavo in un fantasma. Invece, l’ho saputo tanti anni dopo, si recava ad incontri galanti con un personaggio indimenticabile della vecchia Amalfi: Alfonso Mostacciuolo (‘O Mofone), che aveva il negozio di ceramica in piazza, dirimpetto al duomo. Me lo raccontò lui stesso, e gli si illuminarono gli occhi. Capitò la stessa cosa quando mi parlò della sua amicizia con Maxim Gorky e mi mostrò lettere e cartoline ricevute dallo scrittore quando, negli anni venti, aveva trovato rifugio a Sorrento.

In cima alle Grade lunghe, che portano alla Madonna del Rosario, a destra c’era il cancello che immetteva proprietà della famiglia Pinto (Tabborio); sulla sinistra, il portone di palazzo Confalone, sormontato dallo stemma nobiliare, dove abitavano Giovanni Imperato, proprietario dell’omonima cartiera, e la famiglia Fraulo (il figlio Silvio fece carriera nella Polizia). Degli altri abitanti, purtroppo, non riesco a ricordare i nomi.

Più avanti, sulla destra, il cancello che immetteva nella proprietà d’ ‘O Russo (per via dei capelli. Mi sfugge il cognome Non era della zona, ma ‘e fora Amalfi) e, a sinistra, la casa dei miei nonni materni: Michele ‘e Pannone (Sarno) e Franceschella. Poi, accanto alla chiesa, la casa di Filippo Milano, il padre di Nicola, altro cartaro famoso. Andando avanti, fino alla Madonna del Rosario “vecchia” (i ruderi dell’antica chiesa distrutta da un’alluvione), si trovavano le famiglie di Melchiorre Celia, Luigi Schiavi, Pasquale ‘e ‘Ntonetta (Criscuolo). E qualche altra persona che in questo momento mi sfugge. La strada saliva – dopo aver oltrepassato il serbatoio dell’acquedotto – fino alla Centrale elettrica, frequentatissima da noi ragazzi che ci facevamo le scampagnate, con qualche rituale sciavichiello (furtarello di uva e altra frutta). A volte, dalla Ferriera, per un sentiero, salivamo a Pestrofe e di qui a Pontone, per poi scendere dalla Ponta ‘e Priece sulla strada di Ravello.

Continuando, invece, lungo il fiume, dopo il palazzo caratterizzato da una splendida meridiana sulla facciata, quello abitato da Gennaro Maiorino, c’era l’officina di masto Luigi ‘o ferraro (Manzi). Poi le cartiere: quella di Siano e la Cartiera Pagliara, di Nicola Milano, oggi sede del Museo della carta. Gestita allora da Gaetano Del Pizzo. Dalle parti dello spanditorio, abitavano Antonio e Nanninella Pacileo.

Continuando, dopo le arcate dell’edificio di Umberto Dipino, cartiera e tipografia, sul quale si ergeva l’alta ciminiera crollata alcuni anni fa, c’era, oltre il fiume, la proprietà di Michele e Lauretta Cretella. Poi quella di mio zio, Vincenzo Sarno, denominata ‘O Pasetano. Comincia qui la salita dei Morti, raccordata ad un sentiero (non so se esiste ancora) che immette alla scalinata per Pogerola. Nel bosco c’è una piazzola con una monumentale carcara, che era frequentata abitualmente dagli scout nel primo dopoguerra.

Lungo la strada, a lato del fiume, si affacciava la fabbrica di confetti e caramelle di Andrea Pansa, in abbandono da anni. Ai miei tempi – mi riferisco all’immediato dopoguerra – le caramelle venivano incartate a domicilio. Il compenso era stabilito in un tot per caramella. Al ritiro si provvedeva a pesare caramella e carta. Alla riconsegna, ovviamente, il peso doveva corrispondere. Spesso il lavoro veniva eseguito sotto lo sguardo dei bambini, ai quali non restava altro che fare l’acquolina in bocca. Erano tempi difficili, quelli!

P.S. Questa mia ricostruzione è sicuramente incompleta. Sono certo che, con uno sforzo di memoria collettivo, riusciremo a recuperare gli elementi mancanti».

Sigismondo Nastri continua il suo racconto su Amalfi sparita: «'A via 'e coppa e ‘a via ‘e vascio»

 

 

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