Piano di Sorrento, il racconto del Prof. Ciro Ferrigno su Rosella Maresca

Piano di Sorrento. Riportiamo l’interessante racconto del Prof. Ciro Ferrigno che ci racconta la storia di Rosella Maresca.

Negli anni in cui assurse agli onori della cronaca, almeno quella della penisola sorrentina, Rosella non doveva certo navigare nell’oro, ma sicuramente non era in condizioni di miseria e, meno che meno, gravata da problemi di sopravvivenza. Era rimasta vedova già da anni ed il figlio Bartolomeo era caduto gravemente malato, in pericolo di vita. A fine Settecento non c’era la previdenza sociale e ogni vedova viveva uno stato di grande disagio, come pure la presenza di una malattia grave in una famiglia era, ed in alcuni casi ancora lo è, motivo di impoverimento. Rosella era pur sempre una Maresca, dello stesso casato era pure il marito, una famiglia benestante di medici ed avvocati, un ramo della stessa era giunto al punto di acquisire un titolo di nobiltà, come duchi di Serracapriola. I Maresca non avrebbero mai abbandonato alla cattiva sorte Rosella ed i suoi tre figli. Prova ne è che, quando si tratterà di costruire una chiesetta per ospitare il quadro miracoloso della Madonna delle Grazie, sarà proprio un altro Maresca, a donare un suo agrumeto a tale scopo. Rosa Maresca, di Carlo e Costanza Jaccarino, era vedova di Vincenzo Maresca, al quale aveva dato tre figli, un maschio e due femmine: Bartolomeo, Maria Luigia e Chiara Stella. La famiglia abitava al Ponte Nuovo, che collega Piano a Meta.

La donna non godeva di buona salute. Per la grave malattia del figlio si era chiusa dentro le mura domestiche ed in sé stessa e trovava conforto solo nella preghiera. Aveva di fronte al letto un quadro ad olio su tela, raffigurante la Madonna delle Grazie, mal ridotto, certamente appartenente alla famiglia ed avuto in eredità, dipinto da una buona mano, tanto che qualcuno ipotizza possa trattarsi di Andrea da Salerno (1490-1530). Questo pittore, molto stimato dai suoi contemporanei, si ispirò costantemente alla pittura umbra, ma accolse pure i modi raffaelleschi ed il colorismo veneto. Lo stato di conservazione era pietoso, essendo ricoperto da una patina scura certo per l’uso maldestro di ceri, il che potrebbe testimoniarci la venerazione verso l’Icona, già in epoche precedenti. Nei giorni dell’angoscia, Rosella promise alla Madonna il restauro, come ringraziamento, in caso di guarigione del figlio. Non si conosce l’anno preciso del miracolo, ma la data gira intorno al 1788 per due motivi: esiste una verbalizzazione dei fatti che risale al 1790 ed anche perché l’incoronazione della Vergine di Rosella avvenne nel 1888, giusto un secolo dopo.

Quando si manifestò in tutta la sua evidenza la guarigione di Bartolomeo dalla grave malattia che lo aveva tormentato, Rosella si diede da fare per adempiere il voto e chiamò un esperto restauratore, il quale predispose tutto l’occorrente, sicché, nel momento in cui accostò il pennello alla tela, questa per incanto tornò in tutto il suo splendore, i colori vividi, come appena dipinta. Al verificarsi dell’evento portentoso, strabiliante, l’uomo cadde in ginocchio, dicendo: “Questo Quadro non vuole essere toccato, forse è opera dell’apostolo San Luca!”

Rosella e i figli vedevano un’immagine dolcissima nelle tinte dell’incarnato, circondata da un manto stellato che con il cupo blu notte sembrava sottolineare ed esaltare i volti della Madre e del Figlio. Rimasero per ore in ginocchio in silenzio e quel silenzio era più di una preghiera. Se la guarigione del giovane era stata un qualcosa che riguardava la sua sfera personale, intima, come può essere il “sentirsi”, ora il miracolo era tangibile, visibile in tutta la sua concretezza. Ci saranno le apparizioni di Lourdes che rivolteranno mezza Europa, ma al Ponte Nuovo la Madonna si era manifestata nell’intimità di una casa dove, la risposta al dolore e alla malattia, era stata il completo affidamento e la preghiera a Colei che “tutti chiameranno beata”.

Il brusio concitato saliva dalla strada, la gente voleva vedere, aveva saputo e ora saliva le scale portando rami di aranci in fiore, gigli, rose e gelsomini. Non so se cadevano a terra, sul pavimento, più lacrime di commozione o petali di fiori, qualcuno recitò una prima Ave Maria. Tutta la notte rimase una lampada accesa ed un vento leggero muoveva la tenda bianca al balcone lasciato socchiuso; la stanza tutta era satura di presenze angeliche che volteggiavano nell’aria al canto del Magnificat.

Fu costruita una prima cappella perché ospitasse la sacra Icona, inaugurata nel 1798 alla presenza dell’Arcivescovo di Sorrento Mons. Silvestro Pepe, in anni successivi, l’attuale Santuario. Quando nel 1817 Rosella lasciò questo mondo, fu seppellita all’interno della chiesa, ma nessuno sa dove. Certo nelle fondamenta, perché il tempio è costruito sul corpo di una madre che ha pregato e ha creduto, sconfiggendo la malattia con la fede, fino a legare il suo nome a quello della Vergine: la Madonna di Rosella. È un monito per tutti noi, in tempo di pandemia.

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