Festa della Mamma, con i figli le donne perdono lavoro e stipendio

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    Oggi è la Festa della mamma, di tutte quelle piccole grandi equilibriste che ogni giorno si barcamenano in un sottile gioco di incastri che inizia la mattina presto e finisce la sera tardi, tra figli da gestire, casa da organizzare, orari e impegni di lavoro da rispettare. Lavoro, quando c’è, se c’è. Sì, perché in Italia le donne rappresentano ancora l’anello debole del sistema lavorativo, insieme ai giovani. Un paradosso, perché invece dovrebbero essere delle risorse a cui attingere, in termini di flessibilità, abilità nel risolvere i problemi, velocità decisionale, precisione. Ma in Italia, complice un sistema patriarcale che non favorisce la maternità e la famiglia, meno di una donna su due lavora e i figli rappresentano ancora un ostacolo alla carriera e alla piena occupazione femminile.

    Stando a una ricerca di WeWorld, l’organizzazione che da mezzo secolo difende i diritti di donne e bambini in 27 Paesi, in Italia l’11% delle madri non ha mai lavorato, e alla nascita dei figli l’11% lascia l’impiego nel caso di un figlio solo, percentuale che sale al 17 se i figli sono due e al 19 se sono tre o di più. La pandemia ha peggiorato questo quadro, già piuttosto triste. Molte donne infatti si sono trovate a doversi far carico, spesso da sole, della cura di figli e anziani, trovandosi costrette a lasciare l’occupazione. Così una donna su due è stata costretta a rinunciare ai progetti per il futuro, anche in termini lavorativi. Tra gli uomini questa situazione si è verificata in due casi su cinque. “Gli effetti della maternità si vedono anche in termini economici: dopo la nascita del figlio, nel lungo periodo le donne perdono il 53% dello stipendio” sottolinea Elena Caneva, coordinatrice del Centro studi WeWorld, “perché l’uscita, seppure temporanea, dal mercato del lavoro, incide negativamente su possibilità di carriera, formazione e salario”.

    Tutto questo si è tradotto, in 10 mesi di pandemia, in 312mila posti di lavoro persi da parte delle donne, su un totale di 444mila. Le donne hanno rivelato tutta la loro fragilità nel mondo del lavoro. Fragilità determinata da una resistenza culturale che identifica alcune professioni come ‘maschili’ o ‘femminili’, che penalizza le donne, sebbene più istruite, in termini di carriera e retribuzioni ma anche da “una cultura familiare che non è ancora in grado di distribuire con equità i compiti, con ripercussioni sulle opportunità di carriera” sottolinea l’Eurispes, che già venti anni fa nei suoi report sul lavoro femminile in Italia, definiva le donne lavoratrici delle ‘acrobate’. Una definizione che calza a pennello, soprattutto se si considera che mediamente gli uomini dedicano 5 ore a settimana alla cura della casa e 11 ai figli, mentre le donne ne spendono 13 per la faccende domestiche e 17 ai figli. Con ripercussioni negative sulla carriera e la retribuzione, che è inferiore a quella maschile del 30%, del 37% per ciò che riguarda la pensione.

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