Sorrento, Profondo Rosso: il mio giudice tutelare

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Rintanata in casa per difendermi dalla pandemia, dedico molte ore allo studio dei faldoni giudiziari per comprendere come la giustizia si stata trasformata negli ultimi ottanta anni.

Leggo gli scritti difensivi: formalmente corretti ma asettici, privi di empatia per il proprio cliente; leggo i verbali delle udienze e noto che molti di essi sono stati scritti da difensori del tutto ignari dell’oggetto della vertenza e rilevo che una delle parti in molte udienze non era né rappresentata, né difesa; leggo i foliari e mi rendo conto che i documenti probatori non sono stati depositati; mi rendo conto che qualche “termine” è stato saltato; leggo le ordinanze e le sentenze e mi rendo conto che spesso si viene condannati perché nel nominare l’avvocato ci siamo fidati delle commissioni che l’hanno abilitato all’esercizio della funzione forense e dell’albo dell’ordine nel quale sono iscritti. Nei momenti di pausa richiamo alla mia mente un incontro con il mio giudice tutelare. Mia madre, rimasta vedova a solo ventitre anni, aveva chiesto al giudice tutelare delle mie sorelle e mio l’autorizzazione alla vendita di un piccolo manufatto ereditato dal nostro nonno paterno. Il giudice, benché la primogenita avesse otto anni, la secondogenita poco più di sei anni ed io poco più di quattro anni, chiese a mia madre di andare in Pretura con noi tre perché desiderava parlare con noi. Eravamo intimidite ed il viaggio in tram non attenuò il nostro viaggio. Del resto nonno Mattia mi aveva sempre intimidita poiché ricordavo di lui il profilo immobile ed il braccio destro che si allontanava dal corpo per sollecitare il rituale baciamano ed il giorno che lo avevo visto immobile sul suo letto avevo tirato un gran sospiro di sollievo. L’Ammiraglio LAURO, che in famiglia chiamavamo zio Fufù, se davamo con troppa energia i tre colpi di batacchio per chiedere alla nostre zie paterne di aprire il portone, usciva sul ballatoio antistante il suo appartamento, armato di fucile e con due enormi cani da caccia costringendoci a richiudere il portone e scappare via.

Incontrare un giudice non sarebbe stato piacevole. Ma il nostro giudice tutelare era una persona eccezionale; il giudice BIFANI ci accolse con un ampio sorriso, fece accomodare nostra madre e noi tre e, dopo aver spiegato a mia madre come doveva essere ripartito il danaro ricavato dalla vendita, rivolto a noi chiarì che era suo desiderio chiarire che, poiché la somma destinata a noi bambine non era divisibile per tre, aveva assegnato alla primogenita ed alla secondogenita una lira in più della somma assegnata a me. Ci spiegò che quelle somme sarebbero stata depositate con vincolo pupillare su di un libretto di risparmio postale e che, ciascuna di noi, al raggiungimento del 21° anno di età avrebbe potuto prelevare la somma depositata con gli interessi maturati e, rivolto a me, disse “a te ho assegnato una lira in meno ed avrai di meno” Tranquilla gli risposi. “Signor Giudice, io avrò di più” Pensando che non avessi capito, ripeté quanto aveva già detto molto chiaramente. Ed io gli replicai: ma ci vorranno più anni perché io diventi maggiorenne ed avrò più interessi. La mia risposta illuminò il suo volto … entrambi ignoravamo che quelle somme nessuna di noi le avrebbe riscosse. L’ufficio Postale di META ne conserva traccia?

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