Meta, il racconto del Prof. Ciro Ferrigno: “La Madonna e ‘o brigante”

Meta. Riportiamo il tradizionale racconto del lunedì del Prof. Ciro Ferrigno che oggi si intitola: “La Madonna e ‘o brigante”.

C’era una volta un uomo che si chiamava Antonino De Gennaro, che era molto devoto alla Madonna del Lauro… Un tempo tutte le fiabe cominciavano così, con il “C’era una volta”, ma questa non è una favola ma una storia vera, degna di entrare nella leggenda.

I sospetti erano fondati, dopo le accorate e ripetute segnalazioni del parroco, erano intervenute la Sovrintendenza alle Belle Arti, il Genio Civile e non era mancato il parere di ingegneri ed architetti, professionisti locali stimati. Il campanile della Madonna del Lauro, quando suonavano le campane oscillava troppo, e la criticità diventava massima, quando a muoversi era quella grande. Non si trattava più di quelle normali oscillazioni che sono più o meno percettibili in tutti i campanili, a Meta erano da capogiro per un movimento di dondolio verso destra e verso sinistra, un fenomeno mai verificatosi prima, almeno a memoria d’uomo. Nell’attesa degli interventi opportuni, per prima cosa si decise di legare le campane e non suonarle più. Era necessario agire sulla statica della torre, operazione che avrebbe richiesto tempi lunghi, un lavoro delicato, trattandosi di un edificio secolare, storico e per di più tutelato dalle Belle Arti, come monumento nazionale.

La campana muta, in passato, per la comunità era cosa grave; veniva a mancare la voce del tempo, che scandiva le ore del giorno e quella “Voce di Dio”, cara al popolo. Tanti giuramenti si facevano proprio al suono di una campana, aggiungendo la frase: “Voce ‘e Ddio, ca nunn’è bucia”. Quell’anno sarebbe passata anche la festa patronale, senza il suono festoso delle campane.

Ma il De Gennaro la pensava diversamente, dondolio più, dondolio meno, almeno per la festa, la campana doveva suonare! Giorno dopo giorno l’idea diventava un tarlo, un’ossessione, la Madonna era tutta la sua religione, il suo credo e nutriva per la Vergine del Lauro una devozione filiale che costituiva il filo di unione con l’eterno, la fanciullezza e con tutti i suoi cari che se n’erano andati già da anni nel camposanto. Giurò a sé stesso, che avrebbe suonato la campana con le sue mani, a Gloria di Maria! Era convinto che un atto di devozione non potesse essere censurato o creare un malinteso; laddove gli altri non osavano per paura o per obbedienza, sarebbe arrivato lui, per festeggiare degnamente ‘a Mamma ‘o Llauro! Cercò e trovò amici che l’avrebbero aiutato nell’impresa, infondo progettava un atto di fede e devozione, non c’era nulla di male nel voler suonare le campane per la festa al paese.

La notte tra l’undici e il dodici settembre un gruppo furtivo di uomini, complice l’oscurità e l’ora tarda, arrivò sotto il campanile con un’altissima scala di legno e Antonino salì, da solo, intrufolandosi nella cella campanaria. A mezzanotte in punto, con grande, immensa fatica, riuscì a sollevare la campana grande, portarla nella posizione detta “a bicchiere” per poi farla precipitare giù nel suono a distesa del Gloria. Saltava aggrappato alle funi mentre il campanile vibrava come scosso da moto tellurico, come albero maestro d’un veliero nel vento tempestoso. Le mani erano arrossate, quasi sanguinanti, ma ogni volta che la campana saliva per poi ridiscendere a precipizio, gli sembrava di vedere la Signora dal volto sorridente, godere di quell’armonia, come una bambina felice.

Il suono, complice il silenzio della notte, si spandeva per vicoli, strade e piazze, giù fino al mare, ovunque. Qualcuno pensò di sognare, ma c’era chi apriva la finestra, chi usciva fuori al balcone, donne in camicia da notte erano fuori ai terrazzi e guardavano in alto, verso il cielo stellato, qualche vecchietta piangeva credendo in un evento miracoloso. Quando cominciò a correre gente presso la chiesa, gli amici di Mario pensarono bene di squagliarsela. Arrivarono uomini: qualche prete, ragazzi ed anziani, nell’ora insolita, nel cuore della notte, mentre il campanile continuava a dondolare in maniera paurosa.

Lo scampanio arrivò fino alla Caserma carottese? Forse qualcuno pensò bene di chiamare i Carabinieri? Non lo sappiamo, certo è che in breve arrivarono a sirena spiegata. Intimarono all’uomo di scendere subito, pronti ad arrestarlo, ma Antonino non sentì o non volle sentire.

Tre giorni e tre notti dovette restare chiuso in chiesa, dove i Carabinieri non potevano in nessun modo fare irruzione per prenderlo. Come fece a sopravvivere? Mi piace pensare a borse e borsette piene di pane, bottiglie d’acqua e ruoti con le melanzane alla cioccolata, portate dalle donne, di nascosto, in dono al De Gennaro, con un sorriso di compiacimento e di complicità. Infondo tutti avevano capito che il motivo di quella insolita bravata, altro non era che un grande, immenso amore per la Madonna. Da quel momento cominciarono a chiamarlo ‘o Brigante, un nomignolo affettuoso che diventò distintivo per tutta la famiglia, anche per le generazioni successive. Infatti il nipote Mario che oggi vive ad Eboli e che mi ha raccontato questa storia incredibile ci tiene a far sapere a tutti che egli appartiene a “chille d’’o Brigante!”

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