In ricordo di Mino Infante

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Il mio vuole essere un ricordo personale, un’affettuosa testimonianza dell’impegno pubblico e sociale di Mino Infante (scomparso il 9 aprile 2021). Nello stesso tempo, un ricordo anche di un tempo vissuto che ancora oggi mi appassiona. La memoria scorre a ritroso agli anni 70 e 80. Questo è un periodo in cui la vita politica e il pensiero politico dei miei genitori Stefania Venturini e Giannino di Lieto si intreccia molto con il pensiero politico di Mino. Mia madre Stefania era nata politicamente con le battaglie libertarie per il divorzio e l’aborto,  poi era entrata a pieno titolo nel Partito Socialista. E’ stata molto vicina alle posizioni della cd. Sinistra socialista di Claudio Signorile, pur rimanendo estremamente attenta al riformismo di ispirazione autonomista del Segretario del PSI Bettino Craxi.

Mio padre Giannino è stato per una vita intera un appassionato assertore                dell’Unità dei partiti della Sinistra ideale (comunisti e socialisti). Più un comunista “atipico” che un socialista. Non un “Pcista”, come lui amava affermare compiaciuto, marcando un distacco da un monolite culturale ed ideologico che era estraneo alla sua personalità e alle sue convinzioni.

Mia madre nei primi anni 70 entra a fare parte, diventando Segretario della Sezione di Minori, del Partito Socialista Italiano (il mio ricordo va anche ai compagni, fondatori della Sezione locale, Francesco Fraulo, Costantino Amatruda, Mario Citarella).

Mino aveva radici comuniste, di un comunismo però aperto al dialogo con i socialisti. Forse gli derivava anche dalla sua militanza nel Sindacato, nella CGIL, dove comunisti e socialisti erano assieme a condurre le loro battaglie sociali nel comune interesse dei lavoratori. Per esemplificare, forse si sentiva più vicino alle posizioni politiche di mio padre che non a quelle di mia madre. Mio padre è stato un intellettuale, però del tutto “inadatto” ad una partecipazione attiva alla vita politica (per non parlare di quella amministrativa).

In questo, Mino ha avuto un percorso di impegno nella vita politica ed amministrativa vicino e parallelo con quello di mia madre Stefania. Seppure da posizioni comuniste, più vicine a Luciano Lama che non a Enrico Berlinguer, per intenderci. Credo che inizialmente non fosse iscritto alla sezione di Minori del PCI poi, dopo dialoghi assidui con mio padre nella nostra abitazione di Marmorata di Ravello, aveva deciso di prendere la “tessera” del Partito. Ricordo la sua partecipazione alla Sezione locale, spesso caratterizzata (e lo dico con il sorriso) da posizioni in contrasto con quelle di un altro comunista “storico”, Tittino Fasano. Devo dire che, nonostante i dissidi sulla linea politica, credo che Mino e Tittino si volessero bene e che quell’essere spesso distanti nella vita politica locale non fosse in contrasto con la loro condivisione di un ideale a favore di una società più giusta che doveva tutelare le classi deboli, i lavoratori e non il capitale, considerato frutto di non-lavoro e di rendita da affari.

Cultura del partito, delle sezioni e del dibattito interno, della discussione e della partecipazione popolare. Per citare Gramsci, vivere significava partecipare e non essere indifferenti a quello che succedeva. Ci si chiamava “Compagni”, per identificare tutti quelli che condividevano l’Idea di “Sinistra” (l’Alternativa di Sinistra), ci si dava “del tu” e scomparivano le differenze di classe. Altri tempi.

Il mio primo forte ricordo va alla Lista Rinascita del 1975 (PSI – PCI uniti) alle elezioni comunali di Minori, di cui spesso parlo nei miei scritti.

Mino era un componente della lista. Mia madre era la capolista (il candidato Sindaco si direbbe oggi). L’idea era quella di superare quei personalismi – qualunquismi che caratterizzavano la competizione locale, alla ricerca della Politica nuova. Il simbolo della lista, che era stato disegnato dal pittore Mario Carotenuto (Movimento di popolo con bandiera), era stato censurato dalla Federazione del PCI salernitano, perché la punta della bandiera “puntava” a destra (mio padre rimase sbigottito, ma in questo vi trovò conferma a quel suo dichiararsi convintamente non “Pcista”). Mino pure rimase deluso e nelle discussioni di politica con mio padre un sorriso e considerazioni amare prevalevano.

Non dimentico la piazza Umberto di Minori piena, l’entusiasmo, i fiori, il disco de El pueblo unido (cantato dal gruppo cileno degli Inti-Illimani), che “apriva” ogni comizio di Rinascita, quella tensione positiva di un “discorso” Nuovo che si tentava di proporre alla collettività. Un passato che non ritorna. In Cile, in quegli anni, il colpo di stato dei militari aveva portato all’uccisione del Presidente Salvador Allende, che era un grande Socialista. Nell’aria si respirava una tensione positiva al cambiamento che dava una spinta alla partecipazione alla politica, che era voglia di cambiamento e non solo competizione amministrativa locale per la guida del Comune. Le elezioni comunali del 1975 andarono male e credo che ancora oggi quella sfida al superamento dei personalismi trasversali non sia stata definitivamente superata (il personalismo è sempre una forma di qualunquismo).

Poi ci furono le elezioni nazionali del 1976. Mia madre Stefania fu candidata al Parlamento nazionale nel 1976 nella lista del PSI. Comizi entusiasti in tutto il vasto collegio elettorale salernitano (con Enrico Quaranta, Antonio Landolfi e tanti altri autorevoli compagni di partito). Mino partecipò attivamente a questa campagna elettorale, perché da compagno di sinistra non sentiva la separazione di essere comunista. C’era cioè quella partecipazione attiva del “militante” di sinistra che superava gli steccati di Partito. Per una società che si auspicava contro il conservatorismo e le incrostazioni di potere, a favore del merito e della giustizia sociale.

Qui, da posizioni diverse ci si ritrovava, socialisti, comunisti, sinistra radicale. Ricordo una contestazione ad un comizio nella piazza di Minori di un esponente della Democrazia Cristiana del tempo. Furono portati in caserma per un controllo, fra gli altri, Mino e Frank Cimini, che sarebbe poi diventato negli anni a venire un giornalista stimato. Lo stesso Frank, che Mino portò a casa dei miei genitori a Marmorata di Ravello, dopo il funerale del padre di Frank. Forse l’appartenenza ideologica significava anche un’amicizia profonda e una condivisione delle vicende della vita. Ma forse sarò un nostalgico. Io ero un appassionato craxiano (lo confesso) e Mino spesso mi provocava divertendosi, dandomi del socialista riformista e non rivoluzionario (la parola rivoluzione, ai tempi, significava aspirazione ad un profondo cambiamento della società, le riforme erano considerate quasi da blandi socialdemocratici).

Quello che voglio dire è che c’è un “vissuto” in ciascuno di noi che riaffiora, la nostra storia personale, familiare.

Dicevo che Mino, con mia madre, sono stati impegnati attivamente nella “battaglia” politica locale e provinciale. Un altro segmento furono le successive elezioni comunali a Minori. Nel 1980 e nel 1985 mia madre è stata Vice – Sindaco socialista al Comune di Minori (fino al 1988). Con la scelta del simbolo di partito ad individuare i componenti socialisti nelle liste comunali del 1980 e del 1985 (liste frutto di una alleanza elettorale), scelta che ancor oggi può considerarsi “rivoluzionaria”, cioè non praticata. Mino entra in quella lista (che aveva Angelo Amorino Sindaco) alle elezioni del 1985, da “Indipendente”. E’ stato più volte Assessore (dal 1985 al 1990), penso sia stato Assessore all’Urbanistica dal 1995 al 1999. Ha portato avanti negli anni con fatica ed impegno quel Piano regolatore generale che mia madre Stefania a partire dal 1982 (con l’adozione del PRG) aveva fortemente voluto come scelta urbanistica pianificatoria. Ed altre opere pubbliche di rilevo (l’opera pubblica è nel Dna delle politiche della Sinistra).

Una politica – quella di Mino – fatta di impegno quotidiano, generosa, non cattiva, dal volto umano, fatta di disponibilità alla gente, senza che l’attenzione alle persone diventasse mai calcolato scambio di consenso. Condivido pienamente aver qualificato Mino come “Amico del popolo” (la definizione è di Gaspare Apicella).

Una politica fatta non di esposti e denunce, pur praticate al tempo da taluni all’interno del paese, che erano del tutto estranei alla nostra cultura garantista e a quella di Mino. Si è sempre pensato che non vi dovesse essere una via giustizialista al consenso, che il consenso dovesse essere espresso dal popolo (condividere o non condividere il voto popolare è altra questione). Questo è un principio di democrazia che dovrebbe essere applicato a qualsiasi forma di competizione elettorale.

Ricordo Mino commosso ai funerali dei miei genitori.

C’eravamo negli ultimi tempi persi di vista, quelle volte che ci incontravamo per strada qui a Minori, io lo salutavo affettuosamente, chiamandolo “Compagno Infante” e lui sorrideva, in quel sorriso affettuoso c’era in tutti e due il ricordo di un tempo vissuto e forse rimpianto.

Una delle ultime volte che abbiamo avuto modo di scambiare qualche riflessione sulla politica, io argomentavo sul voto a favore del sì al referendum confermativo sulla riforma costituzionale voluta da Matteo Renzi nel 2016. Mino, che restava un comunista “storico”, era contro il sì al referendum, ma soprattutto era profondamente contrario a Renzi. Ed io mi divertivo, compiaciuto della provocazione andata a buon fine. In questo Mino, ne sono certo, avrebbe avuto dalla sua parte anche il “compagno” Tittino (sono certo che se ne sarebbero andati insieme, protestando contro di me, qualificandomi ancora oggi come un socialista craxiano).

“Compagno” Infante, ti abbiamo voluto bene.

25/04/2021

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