Con il goal di ieri Mertens raggiunge Anton Vojak, il bomber col basco

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Con il goal di ieri Mertens raggiunge Anton Vojak, il bomber col basco.

Con il goal di ieri contro la Lazio l’asso belga del Napoli Dries Mertens ha raggiunto a quota 102 reti in serie A, lo storico attaccante del Napoli degli anni ’30: Anton Vojak. Il belga si è commosso nella realizzazione di quel goal e non solo per la recente dipartita della nonna, ma anche perché aveva raggiunto il nome di un mito del passato. Anton Vojak, questi il suo vero nome e cognome all’anagrafe quando nacque nel 1904 a Pola in Istria, all’epoca parte integrante del multietnico Impero Austro-Ungarico. Vojak era di etnia e madrelingua croata, un giovanottone atletico con il vezzo del basco in campo, estroso e polifacetico, aveva il calcio nel sangue ed iniziò a giocare come portiere nel “Grion Pola”, dove esordì nel 1923, quando Pola e l’Istria erano divenute italiane. Vojak amava marcare goal e quindi si trasformò repentinamente in attaccante. Fu notato dalla Lazio e nel 1924-25 giocò con la compagine Laziale marcando 7 goal in 10 presenze, così che lo acquistò la Juventus e vi rimase per quattro campionati sino al 1929 vincendo anche uno scudetto nel 1925-26 registrando 102 presenze e 46 goal. Nell’estate del 1929 il mitico presidente del Napoli, Giorgio Ascarelli lo acquistò per costituire una compagine formidabile e per accontentare il proprio allenatore britannico: William Garbutt, colui che introdusse la parola “mister” nel vocabolario del calcio italiano. Vojak costituì con l’italo-paraguayano Attila Sallustro ed il fiumano Marcello Mihalich un trio d’attacco senza eguali capace in un sol campionato (29-30) di marcare 42 goal in 31 partite. Ma i tempi erano cambiati per Vojak e per il suo corregionale Mihalich, l’Italia fascista aveva introdotto le leggi anti-slave, che furono di preludio a quelle razziali emandate qualche anno più tardi. Il Napoli del generoso presidente ebreo napoletano Ascarelli, dell’allenatore britannico Garbutt, degli italo-paraguayani fratelli Sallustro e dei croatofoni Vojak e Mihalich dava molto fastidio e fu velatamente osteggiato dalla federazione e dalle autorità politiche del tempo. Nonostante una serie di ottimi piazzamenti nelle prime cinque posizioni per diverse anni. Dopo la prematura morte di Ascarelli e la conseguente naturale intestazione dello stadio da lui voluto, le autorità fasciste ordinarono il cambio del nome dello stadio napoletano (da Stadio Ascarelli a Stadio Partenopeo) ed italianizzarono Anton Vojak in Antonio Vogliani. Il Napoli era “impuro” ed andava in qualche modo italianizzato, secondo i miopi ed ignoranti schemi nazionalistici dei fascisti. Vojak però insieme ai suoi due “impuri” compagni di linea Sallustro e Mihalich era un idolo della calda tifoseria napoletana. Per le strade della città facevano a gara le ragazze a dedicargli sguardi languidi ed i commercianti ad offrirgli regali di ogni tipo. Il polese ricambiava tutti e tutte a suon di goal, ben 102 in 6 campionati dal 1929 al 1935 con un’incredibile sequenza: 20, 20, 9, 22, 21, 10. Aveva il vezzo di indossare un basco nero; si diceva che fosse il suo inseparabile portafortuna. Per ciò che abbiamo già espresso poc’anzi Vojak e i suoi due colleghi di reparto non furono quasi mai convocati in nazionale, ma il 14 Febbraio del 1932 la nazionale italiana giocava a Napoli contro la Svizzera ed a furor di popolo Vojak e Sallustro furono schierati, ma il polese nel ruolo a lui poco consono di mediano e non di attaccante. Vojak amava Napoli e l’aria del Golfo, si trasferì a fine carriera a Genoa, Lucca ed Empoli per ritornare in Campania e terminare la carriera come calciatore-allenatore a Castellammare di Stabia. In piena guerra fu chiamato ad allenare il Napoli dal 1940 al 1943, incarico che svolse con passione, professionalità e soprattutto amore per la città del Vesuvio. La sua riservatezza e signorilità nella vita privata lo hanno sempre caratterizzato, morì a Varese nel 1975. Vojak era un cannoniere che aveva il basco al posto dell’elmetto.

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