Piano di Sorrento, “Una voce fuori dal coro”. La toccante lettera di un corista del Miserere segui la diretta

Piano di Sorrento. Torna l’appuntamento con “Una voce fuori dal coro” a cura dell’Arciconfraternita “Morte e Orazione” e del Priore Michele Gargiulo. Questa volta abbiamo modo di ascoltare una toccante lettera inviata al priore da un corista del Miserere: «Caro Michele, la mia è una delle tante voci fuori dal nostro coro e per giunta, come tante, anche stonata. Da ragazzo manco mi alzavo dal letto quando il venerdì di Pasqua la tua processione passava sotto casa. Mi sarebbe bastato spalancare le imposte del balcone per vedervi sfilare ma ho sempre preferito il caldo delle mie coperte al rullo di tamburi, alla banda, al coro dei bimbi, al Miserere, alle statue e alle tante croci.

Devo ammetterlo, le processioni non hanno mai occupato un posto di rilievo nella mia infanzia. Per giunta il mio lavoro mi ha imposto quasi sempre turbi bizzarri per cui alle levatacce notturne ho sempre preferito il caldo delle mie coperte. In questi anni spesso incrociavo all’alba gruppi di giovani con le vesti appallottolate sottobraccio di ritorno dalla tua processione del venerdì notte e sempre lo stesso pensiero ricorrente: “Io al lavoro e questi…”.

Ma un giorno l’imprevedibile, dalle 8.00 uno dei tanti treni Circum soppressi. Passaggio in macchina da un collega a fine turno ed un cd occasionalmente infilato dentro un impianto con Sound Coufer a palla. La traccia? Un miserere 2003. Il cofanetto custodito nel cruscotto come una reliquia. Tra una strofa e una parte letta – unico momento in cui si riusciva a farlo – mi arrivava telegrafico il racconto di un evento epocale, di un coro valanga, di prove, di incontri, preghiere, di tour, concerti ed incisioni con vere orchestre, di colazioni perfino.

Dai vieni venerdì alle prove… Quel giorno qualcosa che ancora oggi non so spiegare è scattato dentro di me, un impeto dirompente mi ha devastato il cuore. L’invito a partecipare a quel coro, unanime, da parte degli altri occupanti la macchina. Fui nel coro, non ero un frequentatore abituale della nostra Basilica ma presto imparai ad esserlo. I momenti di riflessione prima delle prove di don Pasquale sono stati per me massaggi benefici al cuore ed allo spirito e mi hanno tanto avvicinato a questa comunità. Tra gli scanni di questa Basilica ho visto seduti affianco padri e figli, nonni e nipoti, fratelli, amici, assorti nell’ascolto delle parole del parroco che, come overture, facevano da preludio alle prove.

Il miserere mi ha avvicinato un po’ a Dio. E tra quegli scanni, grazie al miserere, sto imparando anche ad essere e fare il padre. Sì, quel padre che mi è venuto a mancare proprio alla vigilia di una Pasqua di tre anni fa. Cantavo ed asciugavo le lacrime usando il cappuccio della mia veste, cercando di darmi delle risposte a tanti perché esistenziali, a chiedermi se esistesse quel Dio in cui nel miserere avevo Chiesto perdono e aiuto. Non potrò mai dirti grazie abbastanza e dimenticare quel sabato mattina in Chiesa mentre tu Michele e un gruppo di tuoi collaboratori eravate intenti a rimettere a posto le statue e notandomi in fondo alla navata avete asciugato le mie lacrime e rinfrancato il mio cuore. Piangevo e non me ne facevo una ragione, la persona che mi aveva generato, cresciuto, allenato ad avere spalle larghe in questo mondo, non era più al mio fianco. Porterò sempre con me il volto di quei ragazzi in chiesa, il calore delle loro mani poggiate sulle mie spalle, sembrava mi conoscessero da sempre. Che bello! Una comunità è anche questo.

Questa pandemia però ha messo a dura prova tutti noi, compreso me. Chiudere la porta di casa questi venerdì per scendere alla preghiera è stata una prova di forza e di coraggio. I momenti vissuti insieme tra le parole del parroco e qualche strofa del miserere mi hanno reso più lieve appoggiare la testa sul cuscino per riaddormentarmi. La pandemia, la scuola del mio piccolo, le tensioni a casa, il futuro. Questa ormai abituale insicurezza e, ahimè, il lavoro. Sono ormai da mesi senza ma per fortuna in una situazione di privilegio rispetto a tanti altri. Sono in cassa integrazione, la percepisco in ritardo e mi basta a coprire il fitto e le spese indispensabili. Ogni tanto il cuore di mamma interviene e risolve. Quando ripete quel gesto con discrezione di salutarmi e infilarmi qualche banconota piegata tra le mani stringendomi a sé col bene che solo una mamma sa donare mi uccide.

Voglio però ringraziare voi tutti, te e il parroco compreso, per quel piccolo aiuto da voi ricevuto. Un dono per me così importante, un pianto misto di gioia e gratitudine ad ogni ritiro. Che bella questa comunità. A te posso dirlo, a casa nessuno lo sa, voglio almeno dimostrare di farcela da solo. Quella processione che ho per tanti anni evitato mi mancherà, spalancherò però quelle imposte tenute chiuse per troppi anni, in silenzio cercherò le voci del nostro coro, per me quest’anno un coro di perdono sì, ma di tanta grazia ricevuta. Grazie».

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