Castellammare di Stabia, processo al clan D’Alessandro: sui boss mano dura del pm

Castellammare di Stabia, processo al clan D’Alessandro: sui boss mano dura del pm. I D’Alessandro sono lungarielli, ma non sono scurdarielli». Una frase «profetica» pronunciata durante uno dei suoi interrogatori da Antonio Fontana, «’o fasano», preannunciava che il suo nome era nella lista dei nemici del clan stabiese e che i D’Alessandro prima o poi si sarebbero vendicati, uccidendolo. E in effetti Fontana è stato ammazzato in un agguato, non a Castellammare ma ad Agerola lontano da occhi indiscreti, poche settimane prima di testimoniare al processo «Sigfrido».

Una frase che ha anche spiegato, secondo l’Antimafia, perché quasi tutti i collaboratori di giustizia si sono rifiutati di testimoniare, nonostante siano trascorsi tanti anni, ad un processo che affonda le sue radici nel 1993, con accuse che vanno fino al 99. Associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione, spaccio di droga. Fatti per i quali un processo era già stato celebrato con condanne esemplari, tutte annullate in Cassazione e che adesso, alla soglia della prescrizione, volge al termine in primo grado.

Una ventina di imputati della vecchia guardia del clan D’Alessandro di Castellammare rischiano condanne per quasi tre secoli di carcere. La requisitoria del pm Giuseppe Cimmarotta è stata durissima, anche alla luce del fatto che «quel passato è ritornato attuale». Diversi imputati del processo più «vecchio» in corso al tribunale di Torre Annunziata sono stati arrestati nuovamente negli ultimi due anni. Da Antonio Rossetti a Giovanni Imparato, passando per Luigi Vitale e Luigi Polito, ritenuti nomi eccellenti di quella camorra che fu e che non ha mai allentato la sua morsa su Castellammare. Ha indossato i vestiti da persone perbene, come ad esempio Ciro Castellano che secondo il pubblico ministero «da testimone di nozze del boss Pasquale D’Alessandro trafficava droga, mentre adesso vive in Romania e possiede un impero economico».

Proprio per «Pasqualino» D’Alessandro che sta scontando una condanna definitiva a 19 anni per omicidio il pm ha chiesto la pena più pesante: trent’anni di carcere. Oggi 50enne, era lui il capo in quel momento ed era protagonista della faida con gli scissionisti guidati da Raffaele Di Somma «’o ninnillo», l’altro boss in quel momento, per il quale pure sono stati chiesti altri trent’anni di carcere. Per Ugo Lucchese, ritenuto nel gruppo di fuoco del clan, 28 anni di reclusione è la richiesta. Vanno condannati a vent’anni ciascuno, secondo l’accusa, i vari Antonio Rossetti, Luigi Vitale, Carmine Caruso, Antonino Esposito Sansone e Alfonso Sicignano; a 17 anni Ernesto Mas; a 16 l’ex pentito Ciro Avella che ha deciso di non testimoniare in aula. Dieci anni la richiesta per Antonio Nocerino, sette anni ciascuno per Michele Abruzzese, Nicola Martinelli, Maurizio Del Sorbo e Luigi Polito, per i quali i reati sono prossimi alla prescrizione. Tra l’altro Polito è finito in carcere nell’ultimo blitz antidroga dell’Antimafia ed è ritenuto ai vertici del nuovo clan, il «terzo sistema» del rione Moscarella, mentre all’epoca dei fatti era nella schiera degli scissionisti di Raffaele Di Somma.

Nel frattempo, invece, è tornato ai domiciliari Giovanni Imparato, il capoultras del rione Savorito e fratello di Salvatore, il boss dello spaccio nel «bronx Faito», che sarà in udienza tra due settimane insieme al detenuto Giovanni Lucarelli, per la seconda volta impossibilitato a presenziare in videoconferenza perché nel carcere di Tempio Pausania non c’è personale per seguirlo, una vicenda per quale i giudici del tribunale di Torre Annunziata e il pubblico ministero hanno inviato un documento al Dap per chiedere spiegazioni.

Fonte Il Mattino 

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