Furbetti del bonus Covid, sindaci e assessori dovranno restituire i 600 euro all’Inps

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Indossano la fascia tricolore, ma non hanno comunque saputo resistere al fascino del bonus autonomi da 600 euro. Soldi facili, che adesso però dovranno restituire. L’Inps sta bussando alle porte dei sindaci (e di altri amministratori locali) che in quanto titolari di partita Iva ad aprile hanno richiesto e ottenuto l’indennità anti-Covid allo scopo di riavere indietro le somme che hanno percepito nel 2020. Percepito indebitamente, secondo il parere dell’ufficio legislativo del ministero del Lavoro, che ha definito il bonus incompatibile con i trattamenti dovuti a chi ha un mandato politico, purché continuativi. Lo leggiamo oggi sul Mattino.

Tradotto: sindaci, assessori (comunali e regionali) e consiglieri di Regione dovranno ridare all’Inps il denaro, mentre si salvano dalla tagliola i consiglieri comunali che prendono solo un gettone di presenza. Così il ministero del Lavoro: «I gettoni di presenza non sono assimilabili alle indennità di funzione e ai compensi di natura fissa e continuativa corrisposti agli amministratori locali». Il gettone di presenza, quando non accompagnato da altri emolumenti connessi alla carica, configura una forma di pagamento di carattere non continuativo (vi si ha diritto solo se si partecipa a consigli e commissioni) oltre che di modesta entità. Risultato? Il dicastero competente in materia ha stabilito che solo gli amministratori locali senza fisso stipendio avevano effettivamente diritto al bonus da 600 euro, mentre tutti gli altri no.

L’Inps aveva richiesto a settembre un chiarimento da parte di via Veneto, dopo che si era acceso un faro sui bonus elargiti a deputati, sindaci, assessori e consiglieri. Le procedure per la riscossione delle indennità “rubate” sono state avviate proprio in questi giorni. Gli amministratori locali sedotti dal bonus autonomi sarebbero circa duemila, tutti inclusi. Adesso la maggioranza di loro dovrà pagherà dazio. L’indennità ha fatto gola a consiglieri regionali di ogni colore politico, si va dal pentastellato senza macchia al leghista in purezza. Ha scatenato l’appetito dei primi cittadini, come il sindaco Cinquestelle di Campobasso Roberto Gravina che all’epoca in cui esplose lo scandalo dei bonus anti-Covid versati ai politici si difese con un «ho devoluto l’intera somma al fondo del Comune» e che adesso dovrà restituire all’Inps l’importo dato in beneficenza. Lato Pd: ci è cascato il sindaco di Cagno, in Lombardia, Federico Broggi. «Nei mesi del lockdown ho fatturato zero con la mia partita Iva», dichiarò a suo tempo.

Giustificazioni di cartapesta che ora che il ministero del Lavoro ha fatto chiarezza non basteranno a neutralizzare le richieste di rimborso da parte dell’Inps. A molti degli amministratori comunali che hanno ricevuto l’indennità lo scorso anno, totalizzando in alcuni casi 2200 euro d’incasso tra aprile e giugno, è stato chiesto allora se avessero esitato prima d’inoltrare la richiesta. «Assolutamente no», la risposta di tanti. Forse, invece, avrebbero fatto bene a pensarci due volte. Nella lista dei furbetti anche Ubaldo Bocci, ex candidato sindaco di Firenze del centrodestra che sfidò Dario Nardella, e Gianluca Forcolin, che appena sei mesi fa era il vice di Luca Zaia in Veneto e poi è stato allontanato da quest’ultimo proprio a causa del bonus autonomi, nonostante lui abbia sempre detto di non averlo richiesto in prima persona né tantomeno di averlo incassato.

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