Addio a Chick Corea, leggenda del jazz. E’ stato tra i protagonisti del Ravello Festival

È morto all’età di 79 anni Chick Corea, pianista statunitense leggenda del jazz. Vincitore di 23 Grammy, ha suonato con i più grandi jazzisti del mondo, da Miles Davis a Stanley Clarke. Origini italiane – all’anagrafe si chiamava Armando Antonio Corea -, l’artista è morto a causa di una rara forma di tumore che solo da poco tempo aveva scoperto di avere. Chick Corea ha preso parte al Ravello Festival: grande successo e grande intesa con il pubblico per il suo spettacolo con Stefano Bollani.

La notizia della morte del grande artista è stata pubblicata sul suo profilo Facebook con un post che contiene anche il suo commiato, il ringraziamento a “tutti coloro che lungo il mio viaggio hanno contribuito a mantenere vivo il fuoco della musica” e un pensiero a chi gli è stato vicino.

Corea aveva iniziato negli anni Sessanta accanto a esponenti della musica latinoamericana come Mongo Santamaria e Willie Bobo, prima ancora c’era stata la collaborazione con il trombettista Blue Mitchell mentre il primo album è del 1966, si intitola Tones For Joan’s Bones e lo realizza in quintetto con Woody Shaw alla tromba e Steve Swallow al contrabbasso. Due anni dopo, si apre una prima porta d’ingresso tra i grandi del jazz, è l’album Now He Sings, Now He Sobs, Roy Haynes alla batteria e Miroslav Vitous al contrabbasso. La passione per la musica era nata durante l’infanzia, grazie al padre Armando J., da Albi, Catanzaro, che suonava la tromba in una formazione Dixieland negli anni Quaranta e che iniziò il figlio al pianoforte alla tenera età di quattro anni. Dal Massachusetts si spostò a New York per studiare musica in varie istituzioni accademiche che però mollò ben presto. In sessant’anni circa di carriera Corea avrebbe abbracciato numerosi generi musicali, non solamente nell’ampio spettro del jazz, ma coltivando parallelamente la passione per la musica classica e sviluppando così uno stile unico e insieme completo, con il pianoforte ma anche con tastiera elettrica, a proprio agio accanto a Herbie Hancock, Gary Burton e Michael Brecker ma anche con Bobby McFerrin o Pat Metheny.

Verso la fine degli anni Sessanta, poco prima di avvicinarsi per la prima volta alle letture di Ron Hubbard e quindi a Scientology, l’incontro che cambierà definitivamente la carriera: entra a far parte del gruppo di Miles Davis e partecipa alla realizzazione di album storici come In a Silent Way e Bitches Brew. “Con lui c’è stato l’apprendistato definitivo”, dichiarò Corea, “ero un apprendista accanto a Miles. Lo eravamo tutti, l’intera band. Quando sono entrato nel gruppo, nel 1968, tutti quelli che suonavano con Miles non facevano altro che imparare da lui. Uno dei suoi primi pianisti era stato Horace Silver, che è stato un mentore per me. Ho avuto gli insegnanti migliori e sono stato fortunatissimo di avere avuto la possibilità di fare queste esperienze. Miles era il miglior insegnante silenzioso, solo poche parole e una dimostrazione alla tromba di quello che voleva”.

Il primo Grammy Award lo vinse nel 1976 per l’album No Mystery della sua band Return to forever, considerata tra le più importanti del genere jazz-fusion e nata dall’incontro di Corea e Clarke con Airto Moreira e Flora Purim e poi soggetta a numerosi cambi di formazione. L’ultimo se lo è aggiudicato un anno fa, nel 2020, nella categoria dedicata ai migliori album di musica jazz latina, con Antidote, registrato insieme alla Spanish Heart Band. Nel 2001 anche un riconoscimento per la versione per sestetto e orchestra della sua Spain, tra le composizioni più note, risalente al 1971 e contenuta poi nell’album dei Return to forever Light as a Feather, tra i più apprezzati della sua lunga discografia. Già nella storia per il maggior numero di Grammy vinti in ambito jazz, potrebbe aggiudicarsene anche due postumi perché è candidato nell’edizione 2021 dei premi in due categorie: miglior solo jazz improvvisato per All Blues e miglior album strumentale per Trilogy 2.

Nel 1993 Corea fu omaggiato anche da Pino Daniele che lo volle al suo fianco per una nuova versione di Sicily, brano inciso negli anni Ottanta da Corea che il cantautore partenopeo volle inserire nel suo album Che Dio ti benedica e che poi vinse una Targa Tenco. Pino Daniele e Corea avevano già diviso il palco anche in occasione del concertone del Primo Maggio nel 1992. Nel 2016, in occasione di un concerto a Napoli, Corea si rivolse al pubblico con queste parole: “C’era un grande musicista con cui tanti anni fa ho registrato una canzone speciale. E allora stasera, suonandola, la dedico a lui. Dedico a Pino Daniele la nostra Sicily”.

In Italia aveva collaborato anche con Stefano Bollani, con il quale aveva inciso l’album Orvieto nel 2011, registrazione di un’esibizione in coppia a Umbria Jazz Winter Festival del 2010, ma già nel 2009 avevano suonato insieme in giro per l’Italia. E proprio a Umbria Jazz era prevista una nuova data insieme, fissata per il 10 luglio 2021.

E Corea era ancora sul palcoscenico anche lo scorso ottobre, quando si era esibito a Clearwater, in Florida, dove abitava da anni, per un programma di piano solo che andava “da Mozart a Monk” ispirato al suo album più recente, Plays, in cui spaziava da Scarlatti e Gershwin a Stevie Wonder, senza preoccuparsi di categorie ed etichette come aveva fatto in tutta la sua incredibile carriera. “La mia missione è sempre stata quella di portare la gioia di creare ovunque potessi”, si legge nel messaggio affidato alla famiglia e diffuso dopo la sua scomparsa, “e averlo fatto con tutti gli artisti che ammiro tanto, questa è stata la ricchezza della mia vita”.

Fonte: La Repubblica

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