Sorrento, Profondo Rosso: No alle quote

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Nel corso del mio soggiorno in Sicilia seguii con notevole interesse una trattativa pre-matriomoniale che sfociò in un atto dotale: uno strumento giuridico nato per compensare l’esclusione della donna dall’asse ereditario e dagli oneri familiari. In Campania fino ai primi anni del secolo scorso nelle famiglie benestanti vigeva la prassi di consentire solo ad un figlio maschio e ad una figlia femmina di contrarre matrimonio onde evitare la divisione dell’asse ereditario. Per la donna che andava sposa la famiglia doveva conferire un consistente corredo per il quale veniva destinata una cassapanca che, a seconda del ceto della famiglia, poteva essere di piccole dimensioni e di semplice fattura o di ampie dimensioni, legno pregiato lavorato da un abile artigiano. In alcune zone del napoletano la famiglia della donna doveva conferire anche mobili ed arredi per uno o per tutti i locali della casa matrimoniale e partecipare alle spese per la celebrazione delle nozze. Le famiglie numerose, dove le figlie venivano considerate cambiali scadute se, raggiunta la maggiore età, non si erano ancora sposate e non volevano entrare in convento, non erano in grado di provvedere alle spese necessarie per due o più matrimoni. Un bidello (così venivano affettuosamente chiamati i collaboratori scolastici) che lavorava in una delle scuola nelle quali ho insegnato, aveva trovato un sistema per affrontare le spese matrimoniali per le sue figlie: essendo addetto al laboratorio di chimica aveva imparato a farsi del male per ottenere sia il risarcimento del danno subito che l’invalidità per causa di servizio. Le discriminazioni tra donne ed uomini non si annidavano solo nelle famiglie ma anche nella società; alcune sono cadute: riserve di posti a favore degli uomini, impieghi, incarichi e privilegi riservati solo agli uomini; alcune permangono: a parità di lavoro svolto gli uomini guadagnano più delle donne. Le quote rosa, che avrebbero dovuto consentire alle donne di accedere ad incarichi di prestigio e/o di essere incluse di diritto in liste elettorali ed essere proclamate elette pur non avendo riportate un sufficiente numero di voti, hanno trasformato le donne emarginate in donne emarginanti ed hanno determinato l’ inarrestabile decremento di votanti già disgustati dallo svuotamento del valore del voto grazie ai c.d. listini con i quali i partiti decidono chi deve essere eletto. A mio avviso le quote rosa rendono del tutto inutile l’esercizio del diritto di voto e discriminano i cittadini italiani di origini straniere, i cittadini che fanno parte di famiglie arcobaleno, i cittadini disabili, etc per i quali alcuna quota è stata fissata. Se noi donne vogliamo contare quanto gli uomini non dobbiamo avvalerci degli stessi strumenti che sono stati utilizzati per emarginarci, dobbiamo, e le madri hanno la facoltà ed il potere di farlo, educare i figli al rispetto di tutti gli esseri umani senza distinzione alcuna. Tra l’altro la legge che impone le quote rosa è incostituzionale e andrebbe eliminata. È un insulto alla democrazia. E ritengo un insulto al buon senso rivolgersi ad una donna con il titolo maschile perché chiamando avvocato un’avvocata s’intende affermare che questa professione dovrebbe essere appannaggio solo degli uomini. Se qualcuno pensa che non sia sempre facile trovare l’equivalente femminile di titoli ideati per soli uomini, lo tranquillizzo ed affermo che è semplice: ad esempio possiamo dire il mio dott e la mia dott, il mio prof e la mia prof, il mio commercialista e la mia commercialista, etc. Battiamoci per una parità effettiva non per conseguire nomine pro quota ma solo per merito. prof. Francesca LAURO

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