Congo la foresta a rischio di cui nessuno parla

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    Congo la foresta a rischio di cui nessuno parla  . La foresta pluviale, così chiamata per l’elevata piovosità che la caratterizza, si estende su tutto il pianeta accogliendo circa i 2/3 di tutte le specie viventi animali e vegetali (e si stima che milioni di queste siano ancora sconosciute).

    La foresta del Congo è una foresta pluviale di tipo equatoriale, che occupa gran parte del bacino del Congo. Con una superficie di circa 200 milioni di ettari (che interessa ben sei paesi: Gabon, Guinea equatoriale, Camerun, Repubblica Centroafricana, Repubblica del Congo e Repubblica Democratica del Congo), questo polmone verde ospita circa 10.000 specie di piante tropicali di cui il 30% uniche della regione, ed un gran numero di animali in via di estinzione. Con la sua estensione, insieme alla Foresta Amazzonica rappresenta una delle principali difese naturali del pianeta contro il riscaldamento globale.

    Per questa ragione, molte organizzazioni non governative (ong) stanno portando avanti una dura battaglia per la difesa della Foresta del Congo, gravemente minacciata dalla “tempesta perfetta” di cattiva gestione e corruzione, specie nell’area che ricade all’interno dei confini della Repubblica Democratica del Congo che, secondo il report Global Forest Watch, avrebbe perso l’anno scorso una superficie boschiva pari al doppio del Lussemburgo.

    Nella Repubblica Democratica del Congo le maggiori minacce per l’ecosistema discendono dalle estreme condizioni politiche e sociali che caratterizzano il paese: dai poveri che fanno affidamento sul carbone per ottenere carburante in un paese con scarse risorse, agli alti funzionari che traggono profitto dal disboscamento illegale. Il codice forestale del 2002 del governo imponeva una moratoria sulle nuove concessioni e regolava il numero di alberi che potevano essere abbattuti in base alle autorizzazioni esistenti. Ma in RDC circa 1200 lavoratori dipendono dal settore illegale della produzione del carbone dal legno e le condizioni ambientali (molti fiumi e poche strade asfaltate) rendono estremamente difficili le missioni di controllo. Inoltre, la corruzione non fa che aumentare il problema della deforestazione della Foresta del Congo.

    Dal conto loro, Greenpeace Africa e una coalizione di otto ong della Repubblica Democratica del Congo e del vicino Congo-Brazzaville hanno chiesto di fermare tutte le attività industriali nei milioni di ettari di torba condivisi dai due paesi. Intanto, Global Witness sta indagato sul commercio illegale del legno e, dall’inizio di quest’anno, ha apertamente accusato un generale dell’esercito congolese di rivendicare illegalmente i permessi di disboscamento.

    Tuttavia, la RDC rimane un paese drammaticamente povero, in cui l’elettricità è un lusso raro, il che significa che la maggior parte dei congolesi fa ancora affidamento sul carbone come principale fonte di carburante. Il commercio di carbone – conosciuto localmente con il nome di makala – vale milioni di dollari e sta attirando gruppi armati nell’area di Goma (una città sulla riva settentrionale del Lago Kivu, a poca distanza dal Ruanda) che minacciano il parco di Virunga, un santuario per i gorilla di montagna in via di estinzione. Anche nella capitale, Kinshasa, il mercato del carbone sta causando gravi problemi. I residenti, infatti, consumano 5 milioni di tonnellate di legna all’anno, secondo il gruppo di ricerca francese Cirad, e la crescente urbanizzazione sta solo aumentando la pressione sulle foreste.

    Se il WWF sta cercando di ridurre al minimo l’impatto della combustione del carbone introducendo forni “eco makala” (che bruciano il combustibile in modo più efficiente e quindi utilizzano meno legna), il presidente Felix Tshisekedi sta cercando di puntare sull’energia idroelettrica per ridurre la domanda di combustibile a base di legno e salvare la Foresta del Congo. Tuttavia, come riportato da Phys.org, secondo Tshisekedi “dato l’attuale tasso di crescita della popolazione e il nostro fabbisogno energetico, le nostre foreste potrebbero scomparire entro il 2100“.

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