Cento anni dalla nascita del partito Comunista
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1921/2021 Il 21 gennaio di cento anni fa, al teatro Carlo Goldoni di Livorno, il XVII congresso del Partito socialista italiano si concluse con la scissione della componente comunista e la nascita del Partito comunista d’Italia. Fu un momento fondamentale della storia della prima metà del ‘900, seguito dalla stampa nazionale ed estera. Il dibattito che portò alla scissione riguardava la richiesta dell’Internazionale comunista di espellere dai partiti che la componevano qualunque frazione riformista e non rivoluzionaria. All’alba della dittatura fascista, la sinistra italiana conobbe la sua prima frattura, che forse la distolse dal più reale pericolo squadrista che si stava velocemente avvicinando.
I 21 punti del Comintern
Nell’agosto del 1920, l’internazionale comunista, o Comintern, sorta nel 1919 per iniziativa dei bolscevichi russi, adottò formalmente i 21 punti che ne regolavano le condizioni di ammissione. Il Psi aveva aderito al Comintern già dal 1919, ma la maggioranza massimalista, sostenitrice del marxismo ortodosso, rifiutò l’accettazione dei 21 punti di derivazione leninista, in particolare per quel che riguardava l’espulsione dei riformisti, il cambiamento del nome del partito da socialista a comunista e la necessità della lotta armata. Il congresso del 1921 si riunì proprio per porre fine alle discussioni interne e decidere sull’adesione alle direttive del Comintern.
Le frazioni
Il partito arrivò al congresso già diviso in tre frazioni principali. L’ala destra, composta dai socialisti o di concentrazione socialista, era la corrente riformista sostenuta da Filippo Turati. Al centro si schieravano i comunisti unitari, o massimalisti, il cui leader era il direttore dell’Avanti Giacinto Menotti Serrati, convinti della necessità di una mediazione tra socialisti e comunisti. Mentre a sinistra c’erano i comunisti puri, sostenitori dell’espulsione della frazione riformista, guidati da Amedeo Bordiga, primo leader di quello che sarebbe diventato di lì a poco il Partito comunista d’Italia, e in seguito il futuro Pci.
Le mozioni
Le tre frazioni presentarono altrettante mozioni contrapposte al congresso, per rispondere alle direttive dell’Internazionale. I riformisti dell’ala destra, pur confermando l’adesione al Comintern, chiesero l’autonomia interpretativa dei 21 punti, rifiutando il cambiamento del nome del partito e le disposizioni per cui la conquista del potere sarebbe dovuta avvenire giocoforza con la violenza, giudicando negativamente la necessità di sconvolgimenti rivoluzionari a breve termine. I comunisti unitari sostennero invece che la rivoluzione comunista si sarebbe dovuta attuare con ogni via, “legale ed extralegale”, ma sostennero il mantenimento della denominazione “socialista” e l’apertura interpretativa dell’applicazione dei 21 punti. Infine, l’ala sinistra insisté per accettare in pieno le direttive del Comintern, compreso il cambiamento del nome da “socialista” a “comunista”, sostenendo inoltre il ruolo del partito di classe come organo indispensabile della lotta rivoluzionaria e l’abbattimento violento del potere borghese.
Il Comintern inviò due delegati per seguire i lavori, il bulgaro Christo Kabakciev e l’ungherese Matyas Rakosi. La loro presenza e l’intransigenza che dimostrarono nei confronti dei tentativi di mediazione che le frazioni italiane tentavano di compiere contribuì a esacerbare il dibattito e arrivare alla scissione finale.
I protagonisti
I protagonisti delle giornate di dibattito furono Serrati, che riuscì a ottenere la maggioranza del partito scontrandosi duramente con le posizioni intransigenti di Kabakciev; Bordiga, capo della frazione comunista che conquistò l’appoggio di quasi tutta la componente giovanile del partito, e infine Turati, che difese il riformismo socialista nella sua “opera quotidiana di creazione della maturità delle cose e degli uomini” contro il “mito russo”. L’intellettuale Antonio Gramsci invece, allora trentenne e già molto noto e stimato per le sue riflessioni sulla rivoluzione, presente a Livorno per tutte le giornate, non interverrà mai, restando in silenzio anche quando chiamato in coro dalla platea.
Il voto e la scissione
Le tre mozioni furono votate dai congressi provinciali, registrando la vittoria della posizione unitaria. Il sesto giorno di congresso, la comunicazione dei risultati fu seguita da un intervento di Luigi Polano, leader della Federazione giovanile socialista italiana, in cui annunciava la volontà della Federazione di “seguire le decisioni che prenderà la frazione comunista” e dalla dichiarazione di Bordiga secondo cui la maggioranza del congresso si era posta al di fuori dell’Internazionale comunista. Immediatamente i comunisti abbandonarono i lavori e si riunirono presso il Teatro San Marco, a poca distanza. Si aprì così il primo Congresso del Partito comunista d’Italia, che sancisce la nascita del Partito comunista. La scissione fu anche segno di una frattura generazionale: i comunisti erano la frazione più giovane del Psi, e la federazione giovanile socialista entrerà quasi in toto nel nuovo partito.
Il risultato del congresso fu salutato con favore dalla stampa italiana dell’epoca, che celebrò l’arresto della “corrente estrema” e del “rivoluzionarismo anarcoide”. Purtroppo, i lavori del congresso tralasciarono la questione fascista, che di lì a poco avrebbe colpito il paese con la violenza della marcia su Roma. Lo stesso Gramsci, nel 1923, formulò una riflessione critica, rimpiangendo l’incapacità della frazione comunista di riuscire a portare verso l’internazionale la maggioranza del proletariato, e in qualche modo lasciando la strada sgombra ai crimini del fascismo. Fonte Wired Livorno Getty Im