Calcio, il Papa: “fare il portiere è stato un insegnamento di vita. Vi dico cosa penso di Maradona…”

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In una intervista concessa alla Gazzetta dello Sport, Papa Francesco ha ricordato di quando era piccolo e giocava a calcio, anche con il pallone di stracci perché quello di cuoio costava troppo: “ma non ero tra i più bravi – afferma il pontefice –  anzi ero quello che in Argentina chiamano un “pata dura”, letteralmente gamba dura”. Il suo ruolo è dunque ben presto diventato quello del portiere: “Fare il portiere è stato per me una grande scuola di vita. Il portiere deve essere pronto a rispondere a pericoli che possono arrivare da ogni parte”. Il Papa era anche un grande tifoso e andava allo stadio: “Ricordo molto bene e con piacere quando, da bambino, con la mia famiglia andavamo allo stadio, El Gasómetro. Ho memoria, in modo particolare, del campionato del 1946, quello che il mio San Lorenzo vinse. Ricordo quelle giornate passate a vedere i calciatori giocare e la felicità di noi bambini quando tornavamo a casa: la gioia, la felicità sul volto, l’adrenalina nel sangue”.Poi il pensiero al Dio del Calcio: “Maradona in campo è stato un poeta, un grande campione che ha regalato gioia a milioni di persone, in Argentina come a Napoli. Era anche un uomo molto fragile”. Ho un ricordo personale legato al Campionato del Mondo del 1986, quello che l’Argentina vinse proprio grazie a Maradona – ha aggiunto Francesco – Mi trovavo a Francoforte, era un momento di difficoltà per me, stavo studiando la lingua e raccogliendo materiale per la mia tesi. Non avevo potuto vedere la finale del Mondiale e seppi soltanto il giorno dopo del successo dell’Argentina sulla Germania, quando una ragazza giapponese scrisse sulla lavagna ‘Viva l’Argentina’ durante una lezione di tedesco. La ricordo, personalmente, come la vittoria della solitudine perché non avevo nessuno con il quale condividere la gioia di quella vittoria sportiva”. Ma non solo il calcio nella vita del Papa che ha voluto esprimere un pensiero su Alex Zanardi: “Quando vedo di che cosa sono capaci certi atleti, che portano impressa nel loro fisico qualche disabilità, rimango sbalordito dalla forza della vita. Dello sport mi piace l’idea di inclusione, quei cinque cerchi che si inanellano tra loro finendo per sovrapporsi: è un’immagine splendida di come potrebbe essere il mondo. Il movimento paralimpico è preziosissimo – ha continuato – non solo per includere tutti, ma anche perché è l’occasione per raccontare e dare diritto di cittadinanza nei media a storie di uomini e donne che hanno fatto della disabilità l’arma di riscatto. Quando vedo o leggo di qualche loro impresa, penso che il limite non sia dentro di loro ma soltanto negli occhi di chi li guarda”.

 

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