A 100 anni dalla nascita, il ricordo di Leonardo Sciascia: lo scrittore che amava le ceramiche di Vietri

Costiera amalfitana. A 100 anni dalla sua nascita, Domenico Della Monica sulla Città di Salerno dedica un meraviglioso ricordo a Leonardo Sciascia, lo scrittore che venerava la ceramica vietrese. «Lei è di Vietri sul Mare?». «Sì Maestro». «Maestro elementare », precisò. Mi trovavo di fronte al più grande scrittore italiano del dopoguerra, a uno dei più grandi intellettuali del Novecento. Un incontro casuale avvenuto nella libreria Rizzoli di Milano, in Galleria, un sabato pomeriggio di fine marzo del 1989, e proseguito ai tavoli del “Biffi”, con Giulio Nascimbeni – che aveva fatto le presentazioni – redattore capo della terza pagina del “Corriere”.

«Fanno della splendida ceramica, dalle sue parti…». Le sue parole mi sorpresero, non pensavo che lo scrittore fosse un ammiratore della “nostra” ceramica. Ammirazione nata nel 1977, in occasione di un convegno tenutosi presso l’Istituto “Suor Orsola Benincasa” di Napoli: gli organizzatori del convegno gli fecero dono di un servizio da caffè. Aggiunse che era un appassionato collezionista di piastrelle in ceramica. Al mio rientro a Pavia pensai di fargli omaggio di una piastrella con impressa la sua immagine, mi sarei rivolto all’amico Vincenzo Solimene che avrebbe certamente esaudito la mia richiesta. Pensavo di consegnarglielo l’estate successiva, nel suo “buen retiro” de “La Noce”, a Racalmuto. Purtroppo nei mesi seguenti le sue condizioni di salute peggiorarono. Colpito da un male fatale, sottoposto a cure dolorose, con consapevolezza si avviava alla fine. Leonardo Sciascia (Racalmuto, 8 gennaio 1921 – Palermo, 20 novembre 1989) è stato e rimane lo scrittore dello “scandalo”.

Lo scandalo di una vita borghese che nelle sue manifestazioni esterne (la pubblicazione di libri e articoli, la politica) si colloca sempre all’opposizione, voce fuori dal coro, anche quando il prezzo da pagare è quello, altissimo, dell’isolamento. Nonostante le sue pacifiche, casalinghe abitudini, la vita di Sciascia è stata una tempesta di polemiche. Perché scrittore “eretico”, con il culto dell’opposizione, perché anticonformista delle idee sempre pronto a dare battaglia, da instancabile combattente, in un Paese dove non mancano gli opportunisti.

Il percorso della “scandalosa eresia” di Sciascia è tutto nei suoi libri. Ogni libro un capitolo, tra cui la mafia, quando se ne parlava appena e, poi, quando invadeva tutto, avvelenava tutto, provocando lacerazioni, scontri politici e culturali. Memorabile è rimasto il titolo di un suo articolo apparso sul Corriere della Sera nel gennaio 1987: “I professionisti dell’antimafia”. Agli occhi di Sciascia i professionisti dell’antimafia erano retori che sfruttavano a loro favore la rabbia sacrosanta dell’opinione pubblica contro la “piovra”. Il criterio polemico era giusto, ma il nome scelto (Borsellino) quanto di più sbagliato. «Sono stato male interpretato» confesserà più tardi a Gianni Riotta. Lo scrittore e Borsellino si incontrarono qualche tempo dopo e Sciascia spiegò all’eroico giudice che non era certo lui il bersaglio della polemica. Il risultato di quell’articolo scatenò un terremoto sui giornali, negli ambienti politici, nella magistratura, tra i cittadini sensibili alla lotta alla criminalità organizzata. In quell’occasione la vis polemica dello scrittore, le sue provocazioni arrivarono a tal punto da farlo apparire come un dottor Jekyll e mister Hyde. E questo perché l’emergenza dell’ordine pubblico in Sicilia premeva, pretendeva il consenso di tutti i cittadini onesti e non implicati. La trincea antimafia non poteva essere smantellata e con essa i suoi assediati difensori.

Lo Stato, insomma, andava difeso: contro la mafia così come contro il terrorismo. Senonché, Sciascia dà scandalo, semina dubbi, provoca ulteriori lacerazioni nel tessuto sociale del Paese. Si fa interprete dei siciliani “puliti”, non implicati in alcun modo nelle malefatte dei boss e dei loro accoliti, con quei siciliani insomma che, scoraggiati, potevano pensare che bisognava guardarsi non solo dalla mafia ma anche dall’antimafia. Lo scrittore si fece interprete di questi cittadini, sperimentando sulla sua pelle che – così come l’antifascismo opportunista e voltagabbana nato dal fascismo aveva saputo essere più solerte del vero antifascismo – in Sicilia, l’antimafia, in certi suoi chiassosi e attivi esponenti, per affermare la sua supremazia, il suo monopolio nella sacrosanta lotta alla mafia, aveva finito col praticare metodi che potevano anche apparire “mafiosi”.

Ventisei anni prima Sciascia aveva dato scandalo facendo della mafia addirittura la “protagonista” di un romanzo. Quando, nel 1961, uscì “Il giorno della civetta” erano pochi gli italiani a conoscere il devastante fenomeno dell’inquinamento mafioso e, in Sicilia, erano tanti, specie di area democristiana, i politici che negavano l’esistenza della mafia. “Il giorno della civetta” fece scandalo al suo apparire, e ancora oggi vale un trattato sociologico. Dentro quel libro c’è tutto: il silenzio omertoso, il distacco tra i cittadini e lo Stato, la tribale idea di famiglia e quella equivoca e soffocante dell’amicizia; c’è la convivenza tra mafiosi e politici, il controllo degli appalti, l’imposizione del “pizzo” e già allora la denuncia dell’espandersi del fenomeno mafioso. Scandaloso Sciascia, scandalosi i suoi libri.

E non soltanto quelli sulla mafia, ma tutti, perché in ognuno di essi si applica il concetto di etica alla politica (Il contesto, Todo modo, L’affaire Moro), alla religione (Todo modo, Dalle parti degli infedeli), alla scienza (La scomparsa di Majorana). Ma c’è un’altra ragione di scandalo nel percorso letterario e umano di Sciascia: stava dalla parte dei “cretini” in un manzoniano Paese dove non mancavano furbi, maneggioni, mafiosi, prevaricatori, opportunisti, figure refrattarie alla legge e al diritto. Il “cretino” che Sciascia illumina di eroica luce è colui il quale osa ricercare la verità, sempre e a ogni costo, anche se per questo dovrà soccombere, come il protagonista di A ciascuno il suo.

Mi resta il ricordo di quella figura segnata da un male oscuro, evidente anche nella pelle olivastra, i suoi occhi vividi di quella passione intellettuale che resiste ai morsi della malattia, un sorriso triste e una debole stretta di mano.

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