Mezzo secolo fa. Dal 1970 c’è il divorzio, come è cambiata l’ Italia

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    L’approvazione alla Camera il 1° dicembre 1970 della legge Fortuna-Baslini per il divorzio (386 voti contro 319) non fu solo la conquista di un diritto civile di tipo occidentale, ma rappresentò anche uno dei maggiori mutamenti nel rapporto tra politica e società del Novecento.

    Il divorzio non era mai passato in Italia, né nell’Italia liberale per la resistenza di fronte alle iniziative riformatrici come quella di Giuseppe Zanardelli del 1902, né nel ventennio repubblicano in cui l’egemonia della DC vincolata dalla Chiesa aveva impedito il procedere delle timide proposte dei partiti laici e socialisti nell’assenza del PCI.

    Nel secondo dopoguerra , scrive l’Huffington Post, sussisteva la convinzione dei partiti di massa che la società italiana non fosse matura per quel tipo di riforma, convinzione sostenuta dalla pressione del Vaticano che, in nome del Concordato, pretendeva di mantenere con la Sacra Rota il monopolio sugli effetti civili del matrimonio religioso.

    Sulla proposta del deputato socialista Loris Fortuna del 1965 si creò una nuova situazione. Per iniziativa dei radicali di Mauro Mellini e Marco Pannella, e di altri politici e intellettuali laici e socialisti si sviluppò un movimento, extrapartitico ma non extraistituzionale, che grazie al settimanale popolare semipornografico “Abc” diretto da Enzo Sabato, mobilitò masse dei “fuorilegge del matrimonio” intorno alla Lega per l’Istituzione del Divorzio (LID).

    Il movimento divorzista non era “sessantottino”: anzi sfidava la cultura giovanilistica extraparlamentare che riteneva quella riforma un “lusso borghese”. Il nuovo tipo di mobilitazione popolare e culturale su un diritto civile ebbe però significativi effetti politici: unificò i partiti laici e socialisti in parlamento intorno alla Fortuna-Baslini, costrinse il prudente PCI ad abbandonare il suo storico veto volto a mantenere il dialogo con i cattolici, quindi risultò determinante nel creare un fronte parlamentare comprensivo dei comunisti che sconfisse DC, Monarchici e MSI.

    Nel 1970 la Democrazia Cristiana consentì che si arrivasse al voto solo dopo il passaggio della legge istitutiva del referendum previsto dall’art.75 della Costituzione, un compromesso suggerito dall’on. Aldo Moro. Subito dopo un variegato gruppo della destra e sinistra clericale guidato da Gabrio Lombardi attivò l’abrogazione referendaria per cui si votò nel maggio 1974.

    Anche nella nuova prova elettorale i protagonisti furono i movimenti sociali e popolari, seguiti dai partiti. Da una parte la cultura laica europea e dall’altra non tutto il mondo cattolico ma la sua ala clericale. Il comitato per l’abrogazione fu guidato da Sergio Cotta, Augusto Del Noce, Giorgio La Pira e Luigi Gedda, ed ebbe il sostegno con toni sanfedisti del segretario DC Amintore Fanfani, insieme alla Conferenza episcopale Italiana ed allo stesso pontefice Paolo VI che si pronunziò pubblicamente.

    A favore del divorzio, accanto alla LID di Mellini, Pannella, Fortuna e Baslini si schierarono non solo numerosi intellettuali laici, democratici e socialisti, ma anche i “Cattolici del no” tra cui Pietro Scoppola, Raniero La Valle, Luigi Pedrazzi, Pierre Carniti e molti religiosi come Dom Franzoni, padre Ernesto Balducci ed Enzo Mazzi.

    La vittoria referendaria del 13 maggio 1974 (con quasi il 60% dei voti popolari) rivelò una società secolarizzata e influì sui rapporti politici. I laici e socialisti presero coscienza che potevano svolgere nel Paese un ruolo autonomo dalla Dc e dal PCI, come poi tentò Bettino Craxi. Il grande comizio che si tenne a Roma, Piazza del popolo, il 10 maggio con un inedito gruppo di padri della patria, Ferruccio Parri, Giuseppe Saragat, Pietro Nenni, Ugo La Malfa e Giovanni Francesco Malagodi, ne fu un simbolo.

    Il PCI berlingueriano attestato sul compromesso storico prese atto che si era sviluppato un movimento riformatore non guidato dai suoi “compagni di strada”. Pasolini scrisse sul “Corriere della Sera” : “La vittoria divorzista è in realtà una sconfitta non solo di Fanfani e del Vaticano, ma in un certo senso, anche di Berlinguer e del Partito comunista”.

    Il Vaticano dovette arrendersi di fronte a una società che non era più formata in maggioranza da cattolici fedeli alle sue direttive politiche. E la Democrazia cristiana, che era stata trascinata in una campagna “sanfedista” da Fanfani nel riserbo di altri suoi dirigenti liberali, comprese che era finita la sua incontrastata egemonia.

    L’orizzonte riformatore dei diritti civili si allargò dopo il divorzio che aveva sconfitto i vertici della DC e del PCI: seguirono aborto, obiezione di coscienza, nuovo diritto di famiglia, e legge sui manicomi. Nel bene e nel male l’Italia si era rivelata ben diversa da come la sua classe politica ufficiale la immaginava.

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