Amalfi, il giornalista Sigismondo Nastri ricorda Paolo Rossi: “Addio, indimenticabile Pablito”

Amalfi. Lo scrittore Sigismondo Nastri dedica un personale ricordo al grande calciatore Paolo Rossi: «La notizia della morte di Paolo Rossi, eroe del campionato mondiale di calcio del 1982 in Spagna, è davvero scioccante. Ero a Parigi con la famiglia, quella estate. Ricordo che, all’arrivo, avevo trovato la Gare de Lyon tappezzata con le bandiere di tutte le squadre in competizione: undici bandiere per ogni nazione. E, insieme, decine di gigantografie dei calciatori più famosi alle pareti. Che spettacolo!

Prima della finale vi erano rimaste sono quelle di Italia e Germania. Tante, da riempire l’intero soffitto della stazione ferroviaria. Mi godetti le imprese dei ragazzi di Bearzot, Paolo Rossi & C., con mio figlio Antonio, davanti al televisore, nella hall di un piccolo albergo di rue Monge. La sera dell’11 luglio eravamo gli unici a tifare Italia, in mezzo a un gruppo di tedeschi esaltati, presuntuosi, arroganti. Ma finirono come quei pifferi di montagna, di cui si racconta, andati per suonare e invece suonati. Mia moglie se ne stava defilata per contenere la vivacità di Manuela, che aveva meno di quattro anni. A ogni azione d’attacco dei nostri, a ogni gol, ci arrivava l’eco delle grida dei parigini, affacciati ai balconi delle case a manifestare la loro esultanza. Tifavano contro la Germania perché aveva eliminato malamente i “bleus” in semifinale.

Al triplice fischio dell’arbitro, che ci proclamava campioni del mondo, ci spostammo rapidamente in metro al boulevard di Saint-Germain per partecipare alla festa: migliaia di italiani in corteo, un interminabile carosello di auto, una incontenibile euforia accentuata da generosi calici di champagne. Baccano infernale. E noi a sventolare delle piccole girandole, con i colori della bandiera tricolore, verde-bianco-rosso, acquistate per l’occasione a un mercatino. Eppure, in quel trambusto, accentuato dai clakson a tutto volume, riuscii a individuare un’auto dalla quale sventolava un vessillo bianconero. Al volante, il mio caro amico Ennio Iovane, amalfitano di Parigi. “Non avevo a disposizione la bandiera italiana – mi spiego -, ho preso quella della Juve, la mia squadra del cuore”. L’indomani i giornali, riportando a caratteri cubitali la notizia del trionfo degli azzurri, scrissero: “justice est faite”. Grazie, indimenticabile “Pablito”, per quella straordinaria emozione di trentotto anni fa, regalataci a suon di gol. Riposa in pace!».

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