Venerdì 13: perché si pensa porti sfortuna?

Venerdì 13 è solo il tredicesimo giorno del mese che cade di venerdì, ma non per i superstiziosi e per una lunga tradizione che lo crede nefasto, specialmente nel mondo anglosassone.

Perché il 13 porta male?

Il 13 è infatti il numero che porta male nella mitologia nordica dal momento che corrisponde a Loki, la tredicesima divinità dell’universo pagano del Nord, dio dell’inganno, malizioso, maligno al punto che nel primo film Marvel della trilogia, Thor (2011), attenta perfino all’ordine cosmico. Loki era crudele con gli uomini e di qui la fonte primaria del 13 sfortunato in tutta l’area nordica. Ma nell’antichità anche nel bacino del Mediterraneo il 13 era già guardato con sospetto, forse perché nella numerologia degli appassionati astronomi assiro-babilonesi non era perfetto come il 12 divisibile per tutto. Poi, secondo lo storico greco Diodoro Siculo (I secolo a. C.), Filippo II (IV secolo a. C.), re di Macedonia e padre di Alessandro Magno, fu ucciso da una sua guardia del corpo dopo aver fatto mettere una propria statua accanto a quelle delle dodici divinità dell’Olimpo e la sua morte sarebbe stata la punizione di questo «sgarro» portando al 13 lo stigma della sfortuna.

Perché il venerdì porta male?

All’Ultima Cena, Giuda era il tredicesimo e qui siamo alla pessima reputazione del venerdì infausto perché di venerdì fu crocefisso e ucciso Gesù. Benché chiamato «santo» in quanto culmine della Passione di Cristo, il venerdì è il giorno della morte di Gesù. Nel mondo nordico i due significati del numero e del giorno si sono saldati. Del resto il venerdì aveva poche chance se vogliamo metterci che Adamo ed Eva, rei di superbia e disobbedienza, sarebbero stati cacciati dal paradiso terrestre di venerdì nella tradizione delle religioni monoteiste; che il primo fratricidio – di Caino su Abele – sarebbe stato perpetrato venerdì; e pure la decollazione di San Giovanni Battista e l’infame ordine di Erode della strage dei bambini innocenti dato di venerdì: c’è poco da dire. Volendo un argomento più materialistico, il primo crollo della borsa, il grande crack nel 1869 quando precipitò il prezzo dell’oro, avvenne di venerdì. Volendone un po’ esoterico invece, si deve guardare alla storia dell’ordine dei Templari, ai quali il genere calza perfettamente: era venerdì 13 (ottobre) del 1307 quando furono arrestati in massa dopo un’istruttoria sommaria per ordine del re di Francia, Filippo IV il Bello, torturati, costretti ad ammettere eresia, blasfemia, sodomia e nefandezze varie (e i beni dell’ordine incamerati dalla corona). In quell’occasione gli sfortunati cavalieri avrebbero lanciato una maledizione sul giorno venerdì 13 affinché fosse sfortunato per tutti. In ogni caso, nel mondo settentrionale il venerdì 13 è il colmo della sfortuna per i superstiziosi e questa credenza si è ormai diffusa un po’ dappertutto, creando confusione in Italia dove invece il numero sfortunato sia il 17.

L’Italia è controcorrente

In Italia il 13 è anzi un numero fortunato, basti pensare al suo significato nelle vecchie schedine dell’amato Totocalcio. Venerdì resta quello che è, per le tutte le suddette ragioni, e anzi si è un po’ persa la memoria della cultura romana che attribuiva al martedì un’aura sinistra per essere il giorno dedicato al bellicoso e irascibile dio della guerra della discordia, Marte. Nella fase arcaica il  mondo latino era intriso di suggestioni magiche, di auspici e riti sciamanici e in seguito aveva perfino codificato i giorni fausti (nei quali si poteva amministrare la giustizia) distinguendoli da quelli infausti. Si credeva che i figli nati di venerdì avessero davanti una vita difficile e – attenzione – che gli anni bisestili fossero catastrofici: guardando al 2020, ci avevano azzeccato alla grande. La sfiga del 17 è da attribuire al fatto che sulle tombe solitamente si scriveva in latino «VIXI», ovvero «Vissi», per dire «Ero vivo (sono morto)». VIXI è anagramma di XVII, cioè 17 in numeri romani. Una spiegazione meno numerologico-enigmistica e più legata all’antropologia culturale, invece, attribuisce la mala fama al fatto che il 17 dicembre e il 17 febbraio, nella Roma antica, si celebravano rispettivamente i Saturnalia e Quirinalia. I primi erano un ciclo di festeggiamenti dedicati a Saturno, coincidente con l’arrivo dell’inverno e si erano innestati sugli antichi culti sciamanici di protezione dal freddo e dalla fame. Implicavano sacrifici e grandi banchetti prima della dura stagione adatta a consentire l’emersione delle creature degli inferi, mondo di Saturno. Il nesso tra inedia invernale, terrore delle creature del sottosuolo e di tutte le sventure che si portano appresso è presto fissato col 17. I Quirinalia erano invece una festa dell’epoca monarchica, istituita da re Numa Pompilio, in cui si concedeva a tutti di fare la torrefazione del farro, altrimenti esclusiva di alcuni clan che lo lavoravano in corporazione: se il 17 febbraio lo si concedeva a tutti, era la data degli outsider, più o meno sfigati non in linea con la regola sociale. Fatto sta che l’idea di un nefasto 17 è così sedimentata nell’inconscio collettivo che difficilmente si trovava un tempo nei palazzi l’appartamento con questo numero di interno per timore restasse invenduto: c’erano il 16A e il 16B.

Fonte: GQ

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